Il concetto di amore in Spinoza

Jos Scheren

cole porterWhat is this thing called love

this funny thing

called love

just who can solve its mystery

why should it make

a fool of me?

–Cole Porter, 1929

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I. Secondo Spinoza le dimensioni sociali si sviluppano attraverso gli affetti. L’amore è uno di questi, e come tutti gli affetti si manifesta in gradi diversi: dall’amore privato all’amore per la vita, o per la realtà in quanto tale.

In ogni caso, anche nel caso di un amore apparentemente privato, ci troviamo di fronte ad una produzione attiva di relazioni. Dovremo tornare su questa attività produttiva che è alla base degli affetti. Per ora, dobbiamo sottolineare che questa attività non è meno sostanziale dei suoi effetti. Conosciamo bene la parola d’ordine della filosofia di Spinoza: c’è solo una sostanza; per questo non esistono diversi gradi di sostanzialità, e per questo non è possibile giudicare una forma di amore come più sostanziale di un’altra.

Allo stesso tempo, e più in generale, non c’è ragione di considerare un effetto come gerarchicamente inferiore alla causa che lo ha prodotto. Considerare inferiore un effetto sarebbe come considerare inferiore anche la sua causa. Nessun effetto è inferiore alla sua causa, ma semplicemente ne mostra, almeno parzialmente, la capacità di produrre effetti. Un effetto potrebbe non essere espressione completa della sua causa, ma ne è tuttavia un segno.

Nei termini di Spinoza l’effetto implica la causa, e per questo la causa è chiamata immanente, immanente alsuo effetto. Tuttavia, la causa non è identica all’effetto, almeno per quanto riguarda i modi. L’identità di causa ed effetto si ha solo per qualcosa che è causa di se stessa, causa sui. Un effetto che implica la sua causa invece di esprimerla deve causare in parte un altro effetto, ma non può causare se stesso. Questa è la legge dei modi.

Spinoza considera l’amore, questa capacità di costruire relazioni, come inalienabile, una capacità che non può esserci tolta, una capacità essenziale senza la quale la cosa non potrebbe esistere. L’amore non può essere astratto e considerato come un fine da raggiungere, identificato con un oggetto da volere o a cui tendere.

La tensione è lo sforzo per continuare a esistere, e non può essere uno sforzo per esistere. Di certo, non è possibile tendere all’essenza, perché l’essenza stessa è tensione. Una conseguenza non secondaria è che l’essenza, in quanto conatus, può essere immaginata. Può essere pensata attivamente, ma il più delle volte l’essenza sarà percepita inadeguatamente. Tuttavia, sarà percepita.

L’aspetto interessante dell’immaginazione dell’essenza non è tanto la sua inadeguatezza, ma il fatto che, nonostante questa inadeguatezza, ha una sua necessità: che lo vogliamo o no, dobbiamo cercare cause ed essenze. Pensare è intrinsecamente cercare essenze. Ogni modo, in virtù della sua essenza, attua in maniera più o meno adeguata uno sforzo di comprendersi.

Secondo Spinoza niente esiste senza essere allo stesso tempo un’idea. Non c’è corpo fisico che non sia simultaneamente un’idea, e neanche le idee possono esistere senza le loro idee.1 In quest’ultimo caso, siamo di fronte a idee di idee: anche le idee sono formalmente delle cose. Ma questo non significa che tutto sia idea: un corpo è simultaneamente corpo e idea. Di conseguenza: un’idea non è l’essenza di un corpo, perché ogni corpo ha la sua essenza e produce necessariamente i propri effetti e le proprie relazioni. Ma il corpo e la sua idea producono effetti in maniera identica. Questi effetti non possono essere chiamati inessenziali o accidentali, come voleva la tradizione filosofica prima di Spinoza. Ancora, non c’è motivo per cui l’essenza debba essere considerata gerarchicamente superiore ai suoi effetti. Gli effetti non sono accidentali, ma completamente determinati dalle loro cause. Questo è il punto principale del determinismo liberatorio di Spinoza, che esclude la nozione gerarchica di accidente.

Sicuramente ci possono essere saggi e filosofi che generosamente mettono la propria intelligenza al servizio dell’essenza e della sua espressione, e Spinoza può essere annoverato tra questi. Ma questo non significa che le essenze siano prerogativa esclusiva dei filosofi: al contrario, tutti hanno a che fare con le essenze, non importa se attraverso idee adeguate o meno. Esistere significa orientarsi nella vita attraverso la produzione di idee come modi dell’attributo del pensiero. Questo attributo, come ogni attributo, è proprietà comune e inalienabile.2

Da queste considerazioni preliminari possiamo trarre qualche conclusione, a partire dalle quali potremo procedere a definire il concetto di amore in Spinoza.

L’essenza non può essere un fine da raggiungere, dato che i fini da raggiungere sono sempre effetti. Volere o tendere a tali effetti è un risultato del conatus, dell’essenza stessa in quanto sforzo. Ma siccome la causa è sempre simultanea al suo effetto, è sempre possibile confondere l’una con l’altro, e questa confusione di causa ed effetto è inevitabile al livello dell’immaginazione.3 Ogni attività produce effetti, che a loro volta producono altri effetti. Questo potrebbe indurci a pensare che dopo tutto è l’effetto che produce totalmente la propria attività.

Spinoza ci offre una spiegazione causale dell’immaginazione, delle idee inadeguate e, come vedremo, delle passioni. L’attività in un effetto induce la nostra immaginazione a considerarlo come una causa.4 Questa confusione a livello dell’immaginazione è inevitabile, ma non necessariamente permanente. Ma qualsiasi cosa facciamo, nonostante il livello di confusione nel quale ci troviamo, siamo determinati a cercare cause, e avremo sempre idee di queste, siano esse giuste o sbagliate. E la stessa cosa vale per l’idea di sostanza. Secondo Spinoza, ognuno è determinato ad avere un’idea, adeguata o non adeguata, della sostanza. La comprensione della la sostanza è immanente alla sostanza stessa.

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II. Iniziamo con la definizione di amore che si trova in Etica, III, proposizione 13 (scolio) e definizione 6: “L’amore è Gioia concomitante con l’idea di una causa esterna”. Nella stessa proposizione troviamo la definizione di odio: “tristezza concomitante con l’idea di una causa esterna”.

Già si intuisce dalla proposizione 13 che l’amore e l’odio hanno per Spinoza qualcosa in comune. Entrambe hanno a che fare con una causa esterna e con l’idea di tale causa. La relazione tra amore e odio si può esprimere in termini ancora più spinoziani: l’amore e, in particolare, l’odio, sono per la maggior parte delle persone, e il più delle volte, passioni, vale a dire sentimenti che non riusciamo a definire, o dei quali ignoriamo l’origine. Oppure, sempre in termini spinoziani: le passioni sono fenomeni che possono causare altri fenomeni, ma che ci appaiono senza causa. In breve, passioni come l’amore e l’odio ci appaiono come misteri.

Il testo dello standard di Cole Porter del 1929 What is This Thing Called Love, riportato in epigrafe, ci può venire in aiuto a definire la passione dell’amore. Come avrebbe reagito Spinoza a questo testo? Prima di tutto, non si sarebbe accontentato della parola “fool” (stupido, illuso), ma avrebbe aggiunto il termine “schiavo.” Il termine schiavo, o schiavitù, hanno per Spinoza un significato preciso. Da ciò che si è detto finora, non possiamo considerare la schiavitù come qualcosa di assolutamente passivo, una totale privazione di potenza. Quando Spinoza parla di un individuo schiavo delle proprie passioni, intende che questo individuo tende a permanere nel suo stato di attività contro le pressioni di altri modi soggetti a passioni. Dotati di una comprensione che, sebbene inadeguata, si riferisce in modo determinato alla complessa realtà modale, il modo soggetto a passioni impiega tutte le proprie energie per permanersi nel suo stato di attività. Ma ciò non gli è consentito a lungo, data l’influenza di altri modi. In questa condizione di schiavitù non è possibile utilizzare l’attività di altri modi per aumentare e stabilizzare la propria attività, dato che gli altri modi sono percepiti come minacce, e non come possibili alleati con i quali istituire forme di comunanza.

Le passioni sono segni di attività poco affidabili, che disorientano l’attività di un modo nei confronti di altri modi, in quanto sono caratterizzate da una grande instabilità, dovuta precisamente all’ampio consumo di energie necessario a mantenerle in attività. Se ci è concesso un anacronismo, si potrebbe dire che per Spinoza uno schiavo è un soggetto entropico, e le passioni sono attività che, pur essendo produttive, sono dissipative e inefficienti.

Gli effetti dei modi in questo caso sono senza dubbi prodotti dalle loro cause, ma in maniera indiretta. Come suggerisce Deleuze, questi effetti sono segni indiretti delle loro cause, e non la loro espressione diretta.5 Lasciano tracce di una causa che è virtualmente presente: i modi significano l’esistenza di qualcosa che li causa, ma non esprimono la natura di questa causa.6

Un altro termine che nel testo di Cole Porter avrebbe lasciato interdetto Spinoza è “mistero.” Spinoza stesso utilizza il termine, ma sottolineandone l’inadeguatezza.7 Per Spinoza un mistero è qualcosa di anomalo, al di fuori dell’ordine della natura. Un buon esempio dell’uso inadeguato di questo termine può essere trovato alla fine della Meditazione III di Descartes, dove il filosofo francese parla dal punto di vista di una mente completamente accecata da Dio e dalla sua “bellezza incomparabile” (corsivo mio).8 Dalla prospettiva di Spinoza si può affermare che, immaginando Dio come incomparabile, Descartes abbia creato un Dio ammirevole, unico e quindi incomprensibile.9 La comunanza tra Dio come sostanza e i suoi modi è persa per sempre.

A questo punto è necessario aggiungere un nuovo livello di complessità: questo Dio unico e incomprensibile è però sempre una idea, certamente inadeguata, e per la precisione un’idea immaginativa. Il che ci permette di affermare che ciò che è apparetemente incomprensibile, irrazionale, rimane sempre nel ambito del attributo del pensiero. L’irrazionale per sé non esiste in Spinoza.Per meglio comprendere le passioni dovremo quindi capire più nel dettaglio questainesistenza dell’irrazionale.

Come abbiamo detto in precedenza le passioni sono segni delle variazioni nell’attività dei modi. Certo, esse vanno necessariamente sempre insieme a delle idee, e in particolare a delle idee inadeguate, ma questo stretto rapporto non deve far dimenticare che esse non sono idee: sono transizioni che non rappresentano nulla. Nel caso dell’amore ci deve essere ovviamente l’idea del modo amato, ma l’amore come passione non rappresenta niente. Una passione è un modo non rappresentativo del attributo del pensiero ed è allora solo all’interno di questo attributo che dobbiamo cercare le cause delle sue variazioni.

Come possiamo concettualizzare queste variazioni, in sé prive di forma, come construire una idea di qualcosa, pure essendo un modo del pensiere, che non e una idea.? In altre parole, come si può dare alle passioni, variazioni per eccellenza, una coerenza tale per cui si possa parlare di amore, odio invidia, ecc., in quanto passioni? A questo proposito, dovremo trovare un principio che ci permette di concettualizzare variazioni come idee di passioni. Un passo utile verso la costruzione di queste singolarità è capire che questi elementi variabili esistono solo all’interno di un campo continuo, e non possono essere compresi in sé ma solo in quanto costituiscono una moltitudine. Ogni elemento in sé è nulla, un’astrazione, che sfugge ogni tentativo di isolamento, ma che tuttavia continua ad esistere in qualcos’altro.

Certamente questo ha a che fare con la definizione di Spinoza di un modo come qualcosa che esiste in qualcos’altro, attraverso il quale può essere compreso. Questa definizione si applica perfettamente anche alle passioni: se considerassimo come la causa di una passione l’oggetto esterno al quale essa è diretta, non avremmo trovato la vera causa della passione, ma la causa come è immaginata dall’idea concomitante alla passione, la causa di cui il modo soggetto a tale passione è conscio.

L’amore come passione si ridurrebbe in questo caso all’amare qualcuno o qualcosa perché questo qualcuno o qualcosa è amabile. Il ché significherebbe spiegare l’amore attraverso l’amore, l’amore come causa di sé. È qui che comincia il mistero dell’amore: se l’amore fosse causato da se stesso, allora ci troveremmo davanti a un amore eterno. Ma l’interazione spesso violenta tra i modi ci mostra chiaramente che l’amore è instabile e mutevole. Il mistero dell’amore è causato dal modo in cui l’amore è immaginato tautologicamente, aspettandosi l’amore come un fenomeno quasi sostanziale, mentre ci troviamo di fronte a un fenomeno modale. O più precisamente, possiamo dire che i modi vogliono che l’amore sia sostanziale. Il modo innamorato vuole l’esistenza dell’oggetto del suo amore, in modo che il piacere relativo all’esistenza di tale oggetto possa permanere.10

Sappiamo tuttavia che la volontà del modo soggetto a passione verso l’oggetto amato è causato dal conatus: lo sforzo di permanere nella propria esistenza, il ché significa sempre il permanere in una esistenza piacevole. È fuor di dubbio che Spinoza non possa considerare il conatus come uno sforzo di mantenere un’esistenza triste.11 Ma lo sforzo di mantenere il piacere concomitante con l’amore potrebbe essere eccessivo. Per questo Spinoza (Etica, III, Prop. 13) considera il rischio della perdita del piacere come presente già dal momento in cui l’amore si manifesta. Se la paura diventa così un ingrediente della passione dell’amore, la passione diventa un composto confuso. La passione diventa troppo complessa perché l’amante possa comprenderla. L’amore diventa il mistero cantato da Cole Porter. L’amante soffre per qualcosa causato non intenzionalmente da lui stesso. La storia d’amore inizia grazie alla sua potente e autonoma volontà ma, proprio per questa illusione, può finire in una situazione in cui l’amante si considera una vittima delle circostanze priva di volontà. Il triste finale in questo caso è presente come destino già nel suo inizio gioioso. Gli amanti diventano schiavi delle proprie passioni. Questo sforzo di mantenere il piacere connesso alle proprie attività, accompagnato dalla paura per la possibilità di una sua perdita, risponde in parte alla famosa domanda “perché gli uomini combattono per la loro schiavitù come se fosse la loro salvezza?”12 Forse è per via dell’eccesso delle loro passioni gioiose, e i loro disperati tentativi di non perdere ciò che già possiedono.

Il possibile finale drammatico di una storia d’amore può anche aiutarci a capire la preoccupazione di Spinoza per il concetto del libero arbitrio. La volontà è considerata libera, cioè capace di causare ma non di essere causata, solo fino al momento in cui sopraggiunge la tristezza, l’incontro inevitabile con modi più potenti. In questa situazione l’illusione del libero arbitrio svanisce. Il modo si trova quindi a vivere in un mondo che appare alternativamente dominato dal libero arbitrio o completamente abbandonato a incontri casuali e nel quale ogni possibilità di volere è cancellata. Il concetto di libero arbitrio, che dovrebbe servire come strumento di orientamento nel mondo, è in realtà poco affidabile, presentandoci un mondo diviso in due. Il sospetto di Spinoza nei confronti del libero arbitrio è dovuto al suo aspetto opportunistico: siamo tentati ad abbandonare la nostra adesione entusiasta al libero arbitrio non appena abbiamo l’inevitabile esperienza di cattivi incontri con modi più potenti. Il concetto di libero arbitrio è instabile e non può funzionare al di fuori delle passioni.

La risposta di Spinoza a questo problema è che la sostanza è una, mentre il libero arbitrio è qualcosa che esiste solo talvolta. Una sostanza unica significa che non esistono due mondi, e qualsiasi tristezza, solitudine e miseria deve essere affrontata e superata in questo mondo. Non esiste un altro mondo senza dolore e sofferenza: tale mondo sarebbe un mondo eternamente privo di passioni, ma per Spinoza l’unica possibilità per vincere le passioni è superare la temporalità all’interno di questo mondo e trasformare le passioni in affetti attivi. L’amore è lo ciò che permette di costituire questa condizione trovando elementi di eternità nel continuum della temporalità.

L’amore è una passione, e l’amante è il suo schiavo. Ciò appare tanto più quando si considera che, per via della sua composizione, esso può trasformarsi in odio. In quanto effetto di un eccessivo sforzo per il mantenimento del piacere dell’amore, la transizione da amore a odio non è intenzionale. Nessuno vuole odiare. La non-intenzionalità di questa transizione può però derivare dall’intenzione dell’amante di mantenere a sé il modo amato. La ragione di ciò è che per l’amante il miglior modo di trattenere a sé l’amato è prevenire che cada in possesso di altri modi. L’amante possessivo vuole il proprio amato solo per sé. Isolando il modo amato dall’interazione con altri modi, questo diventa unico, come se fosse qualcosa di sostanziale.

Ci troviamo di nuovo nella confusione inevitabile dell’immaginazione dei modi, una confusione tra causa ed effetto, sostanza e modi. La causa di questa confusione è lo sforzo di mantenere l’esistenza della gioia e della sua causa immaginata. Un compito difficile e doloroso che inevitabilmente produrrà tristezza: prolungare l’esistenza del modo amato la gioia senza capirne la natura e la relazione intrinseca con altri modi. Il risultato è un consumo improduttivo di energia, che il modo nel suo isolamento percepirà come tristezza. La tristezza è il risultato di un mantenimento entropico della gioia.13

Sarebbe scorretto dire che per Spinoza l’illusione del libero arbitrio, la confusione di causa ed effetto, sostanza e modi, siano causati dagli aspetti passionali e irrazionali dei modi. Sebbene le passioni siano i segni di unattività variabile e concomitanti con idee inadeguate, esse non producono idee. Non si pensa inadeguatamente perché si è soggetti a passione. Al contrario, si è soggetti a passione perché si pensa inadeguatamente. La passione accompagna pensieri inadeguati, ma non li causa. Altrimenti, un’idea adeguata sarebbe un’idea inadeguata meno la passione concomitante con essa. Per passare da una passione a un’idea adeguata occorre qualcosa di meno astratto e più costruttivo di una sottrazione. Prima di tutto, occorre capire la causa razionale di ogni passione. In secondo luogo, operando per tentativi, bisogna utilizzare una passione per innescare nuove composizioni della stessa, o per trovare nuove passioni che possano garantire un’attività più stabile e duratura. Insistere nell’operazione di una sottrazione intenzionale delle passioni dalle idee ci lascerebbe a mani vuote, perché la sottrazione è una negazione. Sappiamo cosa significhi negazione per Spinoza: l’idea impossibile di qualcosa che non è. Al contrario di Hegel, Spinoza non vede la negazione come l’idea di un niente. Per Spinoza la negazione non è un’idea.

Secondo Spinoza non esiste irrazionalità sostanziale. Ci sono solo gradi variabili di razionalità. La ragione di ciò è il fatto che secondo Spinoza esistere significa causare ed essere causa. Ovunque c’è una causa c’è sempre un’idea di questa causa. Niente esiste senza un’idea. Per Spinoza non si tratta di essere razionali o irrazionali, ma di un processo di divenire-razionale. Il migliore esempio di ciò è contenuto in Etica, II, assioma 3, dove Spinoza, parlando di amore e desiderio, afferma in maniera quasi nascosta che amore e desiderio sono modi del pensiero. In altre parole Spinoza restituisce completa dignità agli affetti, che nella filosofia precedente erano stati denigrati in vari modi come fenomeni irrazionali o accidentali. Quando si immagina, quando si producono immagini-idea, si sviluppano affetti: odio, amore, invidia, ecc. Ciò significa che anche quando si odia c’è attività, cioè si lavora all’immaginazione di oggetti. Non ci può essere una totale assenza di attività, solo un continuo divenire. Questo concetto è fondamentale per il difficile compito di superare il dualismo che domina il mondo, le nostre anime e i nostri corpi. Il dualismo non è sostanziale: un’ontologia del male e dell’odio non può esistere. Tuttavia, è una minaccia alla quale siamo quotidianamente soggetti.

Come abbiamo detto, per Spinoza non può esistere una totale passività o assenza di attività. Ogni passione contiene un elemento di attività. Per questo motivo non può esistere una volontà di attività, perché ciò significherebbe partire da un punto iniziale di non-attività dal quale divenire attivi. Per Spinoza l’attività funziona in maniera differente. Ogni passione si trova sempre in medias res: c’è sempre qualcosa di già attivo che causa passioni simultanee. Ogni modo è immerso nell’essere, e nessun modo è causa della propria esistenza, né di conseguenza della propria attività. In questa situazione essere causa di sé implicherebbe una creazione ex nihilo, un passaggio dal non-essere all’essere, che per Spinoza è impossibile. Di conseguenza, il dualismo attività-passività non può esistere, semplicemente perché uno dei termini non esiste per sé.

Utilizzare il dualismo attività-passività non conduce solamente a una conoscenza inadeguata della passività, ma anche dell’attività stessa. Per Spinoza non può esistere un’attività come una controparte della passività. Non si può essere attivi in isolamento, in un contesto di passività. Una attività localizzata in un punto non può essere il risultato della passività di un altro punto. L’attività è possibile solo se esiste qualcosa di già attivo in precedenza, e un aumento di attività è possibile solo sulla base di una condivisione di attività già esistenti. La condivisione di attività produce una loro intensificazione, mentre la loro separazione ne produce un deficit.

Nel classico modello dualistico di attività e passività, forma e materia, che possiamo trovare in Aristotele, si può vedere che l’attività del pensiero si sviluppa a discapito di una materia passiva.14 Per Aristotele le forme sono attive proprio perché la materia è passiva. Questo significa che la passività della materia non è reale ma prodotta, immaginata dalla mente. La materia non è passiva in sé, ma attraverso qualcos’altro. La sua passività non è l’opposto delle forme pensate, ma è la loro proiezione. Quindi il dualismo tra forma e materia, attività e passività, si riduce a un ens rationis. Da un punto di vista adeguato quello del conatus non esiste passività in quanto tale, ma solo un grado di attività.

In particolare, ciò che indispettisce Spinoza è il fatto che secondo il dualismo attività-passività la comunanza dei modi non è radicata sul piano della loro attività, della loro potenza comune, ma deriva da un livello trascendente. Nel modello aristotelico di forma e sostanza non c’è nulla nel modo in sé che possa condurlo verso l’attività, e di conseguenza a una comunanza con altri modi. La generalità delle forme aristoteliche deve avere una preminenza sulla passività immaginata degli individui.15 Non c’è possibilità di costruire qualcosa in comune tra essi, e vedremo come questo dualismo ritornerà nella definizione di amore di Descartes. Nonostante la sua critica alla tradizione scolastica aristotelica, Descartes manterrà il dualismo tra il libero arbitrio di una mente attiva e la passività del corpo.

In Etica, II, Def. 6, expl., parlando dell’amore, Spinoza si riferisce criticamente agli autori che vendono l’amore essenzialmente come la volizione dell’amante a unirsi con l’amato. Probabilmente Spinoza si riferisce qui a Descartes, che nell’art. LXXIX delle Passions de l’âme vede l’amore come “une émotion de l’âme, causée par le mouvement des esprits, qui l’incite à se joindre de volonté aux objets qui paraissent lui être convenables” (corsivo mio). Spinoza non rifiuta completamente questa visione ogni inadeguatezza è pur sempre razionale ma dal suo punto di vista Descartes non riesce a cogliere l’aspetto in medias res dell’amore.

Secondo Descartes il nocciolo dell’amore è che l’amante vuole congiungersi con l’amato, ma per Spinoza l’amore non si limita a questo. Questa volizione è solamente un effetto dell’amore. La ragione di questa volizione è il cambiamento attivo che l’idea dell’amato causa nel modo amante. La potenza esistenziale dell’amante è aumentata. Qualcosa è cambiato nel mondo, ma questo cambiamento non è avvenuto solamente nell’amante. Si ama qualcuno per il piacere che questo modo ci dà. Volere l’unione con quel modo significa semplicemente essere soddisfatti di tale piacere, e il modo amante tende a permanere nella soddisfazione dell’effetto piacevole della propria azione.

La volontà di unione è il segno simultaneo di questa tendenza nel conatus. Ma proprio perché l’effetto è simultaneo alla sua causa, e la coscienza del modo è la coscienza dei suoi effetti (e mai delle sue cause), è impossibile per il modo soggetto a passione conoscere la causa di quest’ultima. Il primato della causa non può essere concepito come un primato cronologico, perché nel tempo la causa e l’effetto sono simultanei. Quindi, deve essere considerato atemporale, al di fuori della durata, sub specie aeternitatis. La causa della volontà dell’amante di unirsi all’amato è sempre presente, eternamente. Questa causa non è altro che il conatus, è l’essenza stessa del modo che fa sì che esso voglia congiungersi con il modo amato. La volizione del modo è solo un’affermazione (con)temporanea del suo conatus, contemporanea ma non identica.

Ora, che significa “in medias res” in questa situazione? Significa che il conatus del modo è costantemente attivo, e che produce effetti costantemente. Come abbiamo visto, questa costanza rende impossibile ogni idea di transizione dalla passività all’attività. Non possono esserci oggetti specifici che innescano o annullano l’attività del modo. Il modo è costantemente affetto da altri corpi e gli altri corpi sono costantemente affetti da esso, e non c’è soluzione di questa continuità affettiva. All’interno di questo continuum non si può che amare, data la costante attività del modo. L’amore non è che l’intensificazione di un’attività già in corso. Per questo diciamo che l’amore è inmedias res, e per questo l’amore non può essere come vogliono gli autori criticati da Spinoza nella già citata def. 4 di Etica, III: l’inizio di una attività eccezionale causata da un modo unico o quantomeno ammirevole scelto tra tutti gli altri modi.

Torniamo ora alla prop. 13 Etica, III e alla sesta definizione degli affetti: l’amore è gioia concomitante con l’idea di una causa esterna. Secondo Spinoza non può esserci un affetto come la gioia, se non c’è un’idea dell’oggetto amato. Si è in qualche modo attivi se si ama, e, come sempre, non si può fare a meno di pensare, cioè di produrre idee, in questo caso l’idea di qualcosa amato. In questo contesto essere attivi significa che si stanno costruendo nuove relazioni, che soddisfano il modo attivo con gioia. Quest’ultima è il segno che indica l’intensificazione di queste relazioni, l’incremento nella comunione tra modi. Ora, è importante notare che l’idea a cui Spinoza si riferisce in prop. 13 e def. 6 non è causata dall’oggetto amato. Quest’idea è concomitante con il fatto di essere affetti da questo oggetto e, secondo Spinoza, ci parla dello stato dell’amante, è un indice della sua costituzione. Segnala le tracce, gli effetti che il corpo amato lascia sul corpo amante.

Tuttavia, un corpo deve avere la capacità di essere affetto. Come abbiamo detto in precedenza, non possiamo mai parlare di una completa passività. Se un modo è affetto da qualcosa, allora significa che questo qualcosa è attivo, ma l’affezione può avvenire solo se il modo affetto è anch’esso capace di affettare altri modi. Gli affetti per sé non creano dipendenza, ma contengono la relazione reale con gli altri e la possibilità di intensificare tale relazione.

Ancora più importante, a questo punto, è capire che l’idea che si ha dell’oggetto amato è veramente un’idea di ciò che si ha in comune con quell’oggetto. In maniera più apodittica: ogni idea che si ha non è mai relativa a un solo oggetto, ma, almeno, relativa alla relazione tra se stessi, questo oggetto e tutte le altre idee avute in passato. Nessuno pensa autonomamente, e ogni idea che si ha si riferisce a un concatenamento di vari gradi di attività in comune con altri oggetti.16

Questo comune che si stabilisce tra modi può essere poco o inadeguatamente compreso, ma è tuttavia attivo e produce effetti indipendentemente dalla nostra coscienza o dalle nostre volizioni. In altre parole, la comunanza nell’amore ha una qualità inconscia, cioè ontologica. Il comune è un inalienabile a priori.

La buona notizia è che anche le forme meno intense e povere di amore possono intensificarsi e divenire differenti, per via dell’immanente comunanza senza la quale non potrebbero nemmeno esistere. Questo divenire-intenso non è necessario e può portare anche a forme di corruzione, ma non c’è modo di dimostrare la sua impossibilità. Il divenire è necessario, ma la sua direzione non lo è mai. L’essenza delle cose che divengono è quella di non poter causare la propria esistenza. Il determinismo spinoziano è tutt’altro che teleologico. Non possiamo sapere in anticipo cosa possiamo, nel bene e nel male, fino a che non lo facciamo.

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III. In Spinoza l’amore ha anche un altro livello. Esso può essere concepito ancora come un affetto, ma non più come una passione. Si tratta dell’amore di Dio che Spinoza discute nella parte V dell’Etica.

L’amore di Dio è irreversibilmente attivo non può tramutarsi in odio ma ciò non deve condurci a pensare che esiste un dualismo tra amore umano e divino. In questo caso Dio dovrebbe essere trascendente, e gli umani dovrebbero essere sostanze individuali e separate da Dio. L’amore di Dio è tuttavia l’amore per la potenza immanente della vita, della vita che produce vita e costruisce il mondo.

L’amore di Dio per Spinoza non è quindi un amore supremo per qualcosa di trascendente, posto al di sopra dei modi singolari. Ricordiamoci che i modi sono i modi di Dio. Per questo Spinoza può affermare nella prop. 24, Etica V, che “quanto più conosciamo le cose singolari, tanto più conosciamo Dio.” Dio è causa di se stesso, e allo stesso tempo dell’esistenza e dell’essenza dei singoli modi.

Ora possiamo capire meglio il disaccordo di Spinoza rispetto alla definizione cartesiana di amore. Come abbiamo visto precedentemente, il problema della definizione di Descartes sta nel suo aspetto volontaristico, nella centralità attribuita alla volontà dell’amante di unirsi con gli oggetti “qui paraissent lui être convenables.” Descartes usa la volontà, la volizione come un termine non definibile, primitivo. Spinoza direbbe che Descartes non ci fornisce la ragione sufficiente della volontà, così come egli non ce la fornisce per l’essenza di Dio. La volontà ha per Descartes un significato che è dato per scontato e che esiste al di là della sua definizione. La volontà in Descartes, come l’idea di Dio, rimane non intelligibile, un asylum ignorantiae. Piuttosto che costruire idee attorno a questi concetti, egli si accontenta di accettare questi nomi così come vengono impiegati nell’uso comune.

Per Spinoza una definizione è più di un nome da attribuire alla cosa, e deve fornire la causa effettiva dell’idea che ci si prefigge di definire. In questo modo si può dire che in una definizione nulla resta lasciato al caso. L’idea diventa il prodotto stesso della sua definizione. In un certo senso, è come se l’idea si definisse da sé, è l’idea che la cosa ha di sé e, siccome è totalmente pensata, quest’idea si chiama adeguata. Un’idea adeguata non ha causa al di fuori dell’ambito della sua definizione. È una espressione completa della forma, dell’attributo del pensiero.17

La definizione dell’amore per Spinoza previene l’insorgere del dualismo tra amore come passione e amore supremo di Dio. In altre parole, la definizione di amore si applica sia all’amore passionale, sia all’amore per Dio. Nella definizione di amore è possibile discernere la stessa causa sia per l’amore come passione, sia per l’amore di Dio, sebbene la relazione tra causa ed effetto differisca nei due casi, nei termini dell’intensità della loro stessa espressione. Il conatus, l’attività di un modo nel mantenere la propria esistenza, è la forza motrice di ogni relazione amorosa come passione. Ma Spinoza ci dice anche che il conatus di un modo è un grado intimo dell’attività effettiva della sostanza. Così, ponendo cioè la causa dell’amore come passione nell’effettiva attività della sostanza, Spinoza è in grado di costruire il punto in comune tra l’amore di Dio e l’amore come passione.

Per la definizione di amore di Descartes, l’amore come passione e l’amore per Dio non hanno nulla in comune. La volontà di unirsi con l’amato, il nocciolo dell’amore secondo Descartes, si basa su un’unione qui e ora. La volontà ha il suo possibile eccesso e la sua stabilità immaginaria proprio in virtù della sua temporalità, per il fatto che si focalizza con ansia su qualcosa che forse non può mantenere. La volontà deve operare come una coscienza istantanea, senza sapere cosa succederà all’oggetto amato in un altro istante nel tempo. Questo non significa che il tempo necessariamente sopraffa gli umani, ma che siamo sopraffatti dal tempo in quanto prodotto della nostra immaginazione nel momento in cui siamo schiavi delle passioni e ci consideriamo un imperium in imperio.

Nel caso dell’amore di Dio non abbiamo più in qui e ora, non abbiamo bisogno di volontà né coscienza per sopravvivere alla successione senza fine di istanti, né siamo più soggetti a passioni soggette a durata. L’amore per Dio è eterno e per questo non è una passione. Non solo non è possibile odiare Dio, ma non è possibile volersene separare. Solo gli oggetti umani possono essere voluti, ma a costo di divenire segni ambigui di un conatus che opera istantaneamente nel tempo.

Se capiamo che è il conatus, e non la volontà, che sta alla base anche dell’amore in quanto passione, allora è possibile una transizione dall’amore e all’amore di Dio.

L’amore come passione, per via della sua causa, è variabile. È l’effetto di una causa che non è identica a esso. Questa non-identità è proprio la ragione della variabilità del modo nel tempo, della sua durata. Questo è l’aspetto passivo della variazione, un’attività che sopraffa il modo, ma ciò significa anche che per Spinoza l’attività potrebbe non limitarsi esclusivamente alla sola passione. Siccome la passione è il risultato di un’attività variabile, tale variazione può condurre la passione a tramutarsi in un affetto attivo. L’amore come passione può divenire un irreversibile amore per Dio.

Non esiste un catalogo eterno di ciò che gli umani possono sentire o pensare. Ciò che gli umani sentono ora, potrebbero non averlo sentito prima, e potrebbero non sentirlo poi. Dato il loro modo di essere causate, le passioni possono divenire altre passioni, o divenire affetti attivi, e questo divenire avviene in maniere a noi sconosciute. Non esiste un destino per le passioni, un circuito chiuso e invariabile dell’amore umano, proprio per il fatto che questo amore condivide la propria causa con l’amore di Dio.

La scena del balcone di Romeo e Giulietta è considerata spesso, ma a torto, come l’archetipo dell’amore romantico. Ma è proprio in questa scena che Shakespeare ci mostra l’amore di Dio. Che significa amarsi per Romeo e Giulietta? Significa costruire un proprio mondo, cioè la molteplicità di relazioni che si formano tra Giulietta e il suo essere, nel momento in cui queste sono affette dalle relazioni istituite da Romeo, e come quest’ultime sono affette a loro volta da Giulietta. Il loro amore è una relazione tra relazioni. L’amore intensifica la potenza, già presente nei due amanti, di vivere il mondo trasformandolo. Gli amanti attivano a vicenda la loro attività, costituendo una nuova singolarità come un nuovo modo attivo, al punto che, nell’apice di questo incontro gioioso, gli amanti rinunciano alla loro identità

Deny thy father and refuse thy name; […]
And I’ll no longer be a Capulet.

Gli amanti assumono quindi un nome impersonale

Call me but love, and I’ll be new baptiz’d,
Henceforth I never will be Romeo.

Cosa sono Romeo e Giulietta? Di sicuro non sono una coppia, una somma di individui. La figura dell’individuo o meglio, dell’individuo come sostanza non è più utile all’organizzazione del loro amore. Condividendo il loro amore, Romeo e Giulietta attivano la loro attività, amano il loro amore. L’individuo è un contenitore troppo stretto per questo amore, e l’unica maniera che rimane loro per amarsi è l’amore cumulativo, l’amore dell’amore che Spinoza descrive nella quinta parte dell’Etica..

Michel Foucault ha scritto: “n’oubliez pas d’inventer votre vie.” Non dimenticantevi di inventare le vostre vite, facendo eco a Nietzsche: “Ihr sollt Dichter eureres Lebens sein.” Siate poeti delle vostre vite. Queste parole significano per noi che un altro mondo è possibile, purché esso sia amato.18

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1Etica II, prop. 21, 22, 23.

2L’idea dei saggi come eletti non è solamente in contraddizione con l’infinitezza degli attributi, ma compromette il campo comune della saggezza, sebbene non possa distruggerlo. Dovremo tornare di nuovo su questa posizione critica di Spinoza nei confronti degli “eletti” discutendo del concetto spinoziano di amore.

3Le immagini, le idee dell’immaginazione, sono idee confuse. Per questo Spinoza (Etica, II, prop. 33) afferma che non ci può essere nulla di positivo nelle idee per cui si dicono false. Le immagini non hanno forma perché sono confuse. La conseguenza pratica è che questa confusione e assenza di forma non sono permanenti, e che le immagini possono divenire differenti. Al contrario, ciò che ha forma — gli attributi — non diviene ed è eterno.

4Nell’appendice della prima parte dell’Etica Spinoza spiega che ci consideriamo liberi e attivi in virtù del fatto che siamo consci del nostro sforzo e dei suoi effetti. La nostra coscienza ci induce a pensare che gli effetti dei nostri atti siano le loro cause. Questo è ciò che ci rende schiavi.

5Gilles Deleuze ha dedicato quasi un intero libro al concetto di espressione in Spinoza, Gilles Deleuze, Spinoza et le problème de l’expression, Parigi, 1968, tr. it. Spinoza e il problema dell’espressione, Macerata, 1999. Nel capitolo 3 Deleze elabora la distinzione tra segno ed espressione.

6La differenza tra il segno e l’espressione dà l’idea del significato di “virtuale” in questo contesto. La causa dei modi esiste virtualmente perché la loro essenza è attiva nella loro esistenza e non identica alla loro esistenza, cioè non è espressa nella loro esistenza, e allo stesso tempo la loro essenza non è possibilità della loro esistenza. L’essenza non è una astrazione, una ens rationis, la cosa esistente meno i suoi accidenti non essenziali. L’esenza è reale, cioè produttiva, il ché significa in questo caso che i cosiddetti accidenti appartengono—pur tuttavia non costituendola—all’essenza come effetti necessari. Essi non hanno una esistenza in sé, ma esistono nella durata.

7Per esempio in Etica, I, p. 95.

8Descartes, Méditations Métaphysiques, , Paris, Flammarion, 1979, p. 131.

9Per una discussione sul concetto di ammirazione in Descartes e Spinoza, si veda Pascal Sévérac, Le dévenir actif chez Spinoza, Paris, Champion, 2005, p. 247-302.

10Nelle idee immaginative c’è sempre qualcosa di tautologico e non espressivo, il ché significa che le passioni a cui si accompagnano saranno sempre macchiate di narcisismo. L’equivalente affettivo della tautologia logica nel caso delle idee inadeguate è il narcisismo. Il narcisismo, nei suoi caratteri biopolitici di imitazione, è una minaccia a tutte le forme del comune.

11Etica, III, prop. 13, 19 ed Etica, IV, prop. 20 e 21.

12TTP, prefazione.

13Pascal Sévérac si riferisce allo stesso aspetto passivo della gioia quando scrive: “mais rien de pire que la passivité joyeuse, en tant qu’elle est la plupart du temps excessive: elle nous conduit le plus directe à notre perte”, P. Severac, ibid., p. 339-340.

14Adorno discute il dualismo aristotelico di materia e forma da un punto di vista non spinoziano nel suo Metaphysik, Begriff und Probleme, Frankfurt, 1998, p. 54 sg., arrivando alla stessa conclusione, cioè che nel modello aristotelico la forma è immaginata come gerarchicamente superiore alla materia. Secondo Adorno questo è il residuo platonico del primato platonico delle idee in Aristotele.

15Paolo Virno ha dimostrato che il dualismo di materia e forma si accompagna a un principium individuationis per il quale non c’è ragione sufficiente. Nella versione classica aristotelica questo principio ha come risultato che i modi sono trattati come sostanze (seppure secondarie) e le sostanze, in ogni caso, rimangono non intelligibili, altrimenti le forme non potrebbero essere attive. Se i modi sono sostanziati, cioè intrinsecamente chiusi l’uno all’altro, allora non ci potrà essere nulla in comune tra loro. Questo tipo di individuazione rende I modi totalmente passivi. Per questo Virno afferma, “se Comune, allora non Universale […] Il Comune è una realtà indipendente dall’intelletto : esiste anche quando non è rappresentato. L’Universale, invece, è un prodotto del pensiero verbale, un ens rationis la cui unica dimora è l’intelletto.” (corsivo mio). Paolo Virno, “Gli angeli e il general intellect,” in E così via, all’infinito. Logica e antropologia, Torino, Bollati Boringhieri, 2010.

16Si potrebbe obiettare contro questo concetto di comunione di idee nel caso in cui individui abbiano idee diverse. Tuttavia, anche idee opposte hanno sempre un certo grado di comunione, che permette di comprendere la natura della loro opposizione. Affermare ciò non significa essere mossi da un pacifismo delle buone intenzioni, ma è un dato ontologico derivato dalla nozione spinoziana di sostanza. Questo dato è alla base della non dialetticità della filosofia di Spinoza, apprezzata da autori come Gilles Deleuze e Pierre Macherey (Hegel ou Spinoza, Paris, 1990). Per entrambi i filosofi francesi, la nozione hegeliana di opposizione è in definitiva un prodotto tautologico dell’immaginazione, che manca di realtà. In maniera non intenzionale, Hegel ha ragione: l’opposizione è prodotta dalla mente (assoluta).

17In modo simile si potrebbe dire che un’idea inadeguata è un pensiero non pensato o verbale, perché proietta la sua causa in un altro attributo diverso dal pensiero. Per esempio, pensare che l’amore è causato dall’oggetto amato è inadeguato è fare confusione tra gli attributi.

18Dopo avere terminato questo testo ho incontrato queste parole di Michael Hardt. Amare qualcuno, secondo Hardt, “significa che le tue molteplicità e le mie sono in grado di formare composizioni che sono al contempo al di sopra e al di sotto del livello dell’individuo. Non possiamo sapere in anticipo quali molteplicità saranno in accordo e se saranno in grado di formare relazioni belle e durature. La procedura dell’amore è esplorare e sperimentare possibili composizioni all’interno delle molteplicità in ognuno di noi.” Michael Hardt, The Procedures of Love, Ostfildern, Hatje Cantz, 2012. p. 7.

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