Recensione di “Libertà, prassi, soggettività. La filosofia di Marx”

Roberto Bravi

 

liberta_prima-1 (1)“Libertà, prassi, soggettività. La filosofia di Marx” di Guido Grassadonio (Malatempora 2013 p. 96) è un libro centrato sul tema della soggettività in Marx, nel suo intreccio con quello della libertà e della prassi. La triade così esposta anche nel titolo del testo, si configura quindi come un percorso a tappe volto a produrre una sempre maggiore chiarificazione della posizione marxiana.

La tesi dell’autore è che nonostante il parricidio compiuto da Marx contro la filosofia di Hegel e più in generale contro l’idealismo tedesco il legame con la filosofia tedesca precedente (Schelling e Hegel in particolare), proprio sul tema della soggettività, rappresenti una costante del pensiero marxiano.

Il libro si apre riassumendo i termini fondamentali della dinamica soggetto-oggetto nella filosofia di Schelling ed Hegel. In Schelling si salda proprio quel legame, che sarà fondamentale nella filosofia di Marx, fra il tema del soggetto e quello della libertà. L’autore si sofferma sul fatto che ne L’Io come principio della filosofia, Schelling intenda andare oltre i limiti della riflessione fichtiana, giunga a concepire il soggetto come termine costantemente mediato da un oggetto, ed individui nella dinamica del loro rapporto lo spazio di una libertà pensata consiste appunto come emersione dell’elemento soggettivo quale fondamento assoluto di contro alla tirannia dogmatica degli oggetti. In Hegel tale dinamica si chiarisce assumendo i termini che secondo Grassadonio Marx non abbandona mai fino in fondo: i termini della riflessività, della dialettica in sé-per sé. L’oggetto non si trova in Hegel in una semplice opposizione al soggetto, ma, attraverso la storia del sapere ed il lavoro del concetto, rivela la sua essenza soggettiva ed è tolto come limite estrinseco della libertà. Attraverso quindi l’autoconsapevolezza l’in sé ed il per sé trovano il loro punto di mediazione.

 

“La libertà quindi consiste nel vivere secondo ragione, cioè nel far coincidere il proprio io, la propria volontà con i propri doveri; sopprimendo le proprie istanze particolari nell’universalità, ad esempio, come vedremo, nello Stato” (15-16).

 

Il soggetto giunge progressivamente a riconoscere le forme apparentemente estrinseche del diritto, della morale, della religione ecc… come le strutture oggettive della sua libertà, e lo stato come il luogo della sua libertà.

Marx si sbarazza rapidamente della statolatria hegeliana nel nome di un primato della società, ma ciò che in questo passaggio interessa l’autore è la concezione della democrazia nel giovane Marx, che partendo ancora da concetti hegeliani si avvia a superarli nell’ ambito della concezione materialistica della storia. Grassadonio, in accordo su questo punto con Abensour e Petrucciani, nota come in Marx la democrazia quale forma di autogoverno del popolo si imponga in effetti come “la verità di tutte le costituzioni”, essendo la costituzione stessa un prodotto consapevole della vita del popolo, vale a dire una assunzione soggettiva di ciò che a livello statale era posto solo oggettivamente. Al di là quindi della astrattezza della riflessione marxiana di questo periodo, nell’idea della libertà come autonomia e autoproduzione soggettiva si affaccia il terzo termine fondamentale nel libro: la prassi. Esso si propone da subito come un termine di mediazione fra la dinamica oggettiva e quella soggettiva ed impone all’autore di affrontare la questione forse più spinosa della storia del marxismo: la dialettica soggetto-oggetto come problema epistemologico.

La posizione dell’autore è qui debitrice a quella di studiosi come Goldmann, Löwy e Preve: a Marx va senz’altro attribuita una posizione monista. Il monismo va però considerato più come un punto di arrivo della filosofia di Marx e attraverso il superamento della fase feuerbachiana, nella quale il primato idealistico della soggettività astratta non è mai messo veramente in discussione se non a partire da una oggettività altrettanto astratta, estranea e passiva. Non c’è da stupirsi quindi se Ruge, da cui Marx definitivamente si distaccherà a partire dal suo fondamentale incontro con la realtà proletaria parigina e le sue lotte, non riuscì ad andar oltre alla proposta di un’altra eteronomia per le classi popolari in rivolta, altrimenti disarmate intellettualmente:

 

“Ruge aveva reagito alla prima rivolta operaia della storia tedesca con sprezzante superiorità: per lui gli operai non erano che una massa “cieca”, incapace di porsi su posizioni “politiche” se non con la guida di una testa “filosofica” (36).

 

Marx vede in una posizione del genere prima di tutto una caricatura dell’hegelismo stesso, vale a dire un’ idea per cui la masse popolari non sarebbero altro che creta nelle mani di chi possiede il sapere filosofico e non una soggettività capace di autodeterminarsi.

Se è inevitabile emanciparsi dall’hegelismo nel senso suggerito da Feuerbach, ovvero considerando il pensiero come materia che pensa (cioè come realtà tanto oggettiva quanto soggettiva), allo stesso tempo un ritorno ad Hegel tanto sul tema del lavoro quanto su quello della storia permette secondo Grassadonio a Marx di sfuggire attraverso il concetto di praxis ad un materialismo lontano dalle aspirazioni di emancipazione del proletariato. La vera rottura avviene a partire dalla Tesi su Feuerbach ed in particolare dalla prima:

 

“Marx qui contrappone, quindi, alla nozione di oggetto materialista- ma che poi la stessa in opera ad esempio in Schelling- la nozione di un Gegenstand inteso soggettivamente. Ma la novità teorica, già in gioco nelle Glosse e nella Sacra Famiglia, è che la soggettività è intesa anch’essa in senso oggettivo, essa coincide con la prassi. In altri termini, ciò significa porre la realtà non come ciò che si “contrappone” al soggetto pensante, ma come ciò dentro cui l’uomo agisce e per, forza di cose, dentro cui il soggetto vive” (40).

 

Sulla scia di Löwy, l’autore vede nelle prima pagine delle Tesi il punto in cui il marxismo tenta con maggiore efficacia di liberarsi delle sue aporie, affermando il suo monismo. Ma nello specifico di cosa si parla quando si parla di monismo in Marx? Si intende che Marx sembra indirizzarsi non più verso una superiorità del soggettivo sull’oggettivo o viceversa, ma verso una sempre maggiore loro coincidenza nella realtà storica e nella prassi quotidiana di produzione del reale. In sostanza Marx abbandona progressivamente il suo essenzialismo originario per approcciare una concezione del reale in cui “l’insieme dei rapporti sociali” produce l’umanità e la vita materiale stessa, essendone a loro volta prodotta. Così Grassadonio vede in Marx addirittura un’anticipazione del poststrutturalismo, nella sua critica radicale di ogni universalismo che pretenda di fondarsi al di fuori o al di sopra della prassi storica concreta:

 

“Con la sua critica dell’essenza, Marx anticipa Nietzsche e i poststrutturalisti, attaccando il cuore del concetto di “genere” tradizionalmente inteso” (44).

 

Due tasselli fondamentali infine si aggiungono alla trattazione di Grassadonio: il confronto con la teoria dell’alienazione e la questione della coscienza di classe. E’ l’occasione per toccare uno dei punti senz’altro più controversi del pensiero marxiano e rivendicare ancora una volta una visione per cui l’idealismo è riconfigurato da Marx e fissato in certe coordinate (vale a dire i termini di interesse dell’autore) mai veramente messe in discussione, nonostante non si ritrovino più formulate negli stessi termini. Il concetto di alienazione è una di queste coordinate e rimane fondamentale- a detta dell’autore- per l’economia generale del pensiero marxiano (e marxista, se vuole continuare ad essere una teoria dell’emancipazione). Per trovare la formulazione dell’alienazione da parte di Marx bisogna risalire ovviamente ai Manoscritti del ’44 e notare come in essi si trovasse espressa in una forma ancora molto legata a Feuerbach, in cui il punto di congiunzione fra soggetto e oggetto non era ancora definitivamente rinvenuto nella prassi, ma rimaneva confinato all’intuizione sensibile. Il problema per Grassadonio si pone quindi nei termini seguenti: come è possibile parlare ancora di alienazione in Marx una volta rinnegata l’eredità feuerbachiana del suo pensiero? La conclusione dell’autore, già accennata, fa leva alla tesi di Goldmann secondo la quale “occorre avere una presa di posizione rivolta ad un futuro disalienato per poter criticare la società capitalistica” e che sostanzialmente rivendica, come in Bloch, un afflato utopistico cui il marxismo non può rinunciare, pena l’abiura dal suo dinamismo rivoluzionario.

In sostanza, l’autore suggerisce che Marx non rinuncerà mai all’idea di una prassi sociale alienata, sia pure sganciata da ogni fondamento essenzialistico e connessa con la tensione verso un “non ancora”. Un particolare rilievo assume allora il riferimento critico a Simone Weil, che in Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale manifesta il proprio scetticismo circa la possibilità di una prassi autenticamente disalienata, assimilata a una piena consapevolezza e controllo, da parte del singolo, di ogni momento della vita sociale.

 

“La Weil considera soggetto (mancato) della libertà ogni singolo operaio. Ebbene la differenza fra questa idea e quella di Marx sta proprio nel mancato “monismo” e nell’identificazione del soggetto della libertà nell’individuo astratto. Per Marx libera potrà essere solo la prassi sociale nel suo complesso. (…) In altre parole la soggettività viene a coincidere con l’insieme delle pratiche sociali, dentro i meccanismi delle quali possono prodursi sia fenomeni di alienazione o ideologia, sia libertà ed autocoscienza.” (77)

 

Sta forse proprio qui il punto focale della riflessione dell’autore e del suo tentativo di mostrare i termini in cui l’eredità idealistica continua a lavorare anche dopo il superamento del feuerbachismo giovanile. Il soggetto della libertà produce la realtà sociale e con essa se stesso e, a date condizioni, può riappropriarsi della sua attività nella forma della coscienza. Una prassi alienata produce non solo sfruttamento materiale, ma anche idee false ovvero ideologia e questa è nelle parole dell’autore “la parte soggettiva del dominio”. Senza una assunzione riflessiva, ovvero nei termini della consapevolezza del soggetto collettivo produttore, della realtà da esso prodotta, non solo il problema della libertà non si porrebbe, ma non ci sarebbe di fatto alcuna esigenza insieme teorica e reale a supportare il superamento la condizione capitalistica.

 

 

 

 

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