Hegel e l’amicizia: presenza/assenza di un concetto


Sabina Tortorella

Université Paris II – Panthéon Assas
sabina.tortorella@gmail.com

 
 
 
Abstract: The article starts by noticing that the topic of friendship is never directly discussed in the main Hegelian works and aims at identifying the reasons for the lack of consideration for this topic. Claiming that Hegel cannot be conceived as a philosopher of friendship necessarily involves asking ourselves about the very meaning of this notion, through a previous survey of the ways in which it was depicted by Hegel’s contemporaries. Within an interpretation that opposes the modern concept of friendship to Aristotelian philia, the essay focuses on the notions of recognition and love, in order to verify whether Hegel regards friendship as a private feeling (like love). The article focuses on some passages of the 1827-28 Lectures on the Philosophy of Spirit – on the practical spirit in particular. Friendship is a relationship that avoids any attempt of instituzionalization, is not reducible to its biological dimension, nor does it hold any particular place in the ethical life as well, although it implies an intersubjective dimension and is, in itself, the display of a common belonging. In Hegel’s thought, friendship is a shape of the tension between the universal and the particular. It is at the same time a private feeling and a social relationship, heart and common work, and it coincides with becoming a human being.
 
Keywords: Hegel, friendship, ethical life, feeling, Kant, Aristotle
 
 
 
1. Hegel e l’amicizia che non c’è
 

Hegel non è un filosofo dell’amicizia. Questa è la prima considerazione che è possibile fare sfogliando le pagine delle principali opere hegeliane, dal momento che tale tema risulta pressoché assente, non essendo mai indagato direttamente o affrontato in maniera esplicita. Se questa assenza può apparire del tutto comprensibile in opere come la Scienza della Logica, neanche l’Enciclopedia delle scienze filosofiche sembra trovare una collocazione per l’amicizia, mentre nei Lineamenti di Filosofia del diritto non risulta addirittura alcuna occorrenza del termine[1]. Infine, nemmeno la Fenomenologia dello spirito – solo per citare le opere più importanti – se ne occupa minimamente: sebbene la conclusione dell’opera sia affidata alla poesia Freundschaft di Schiller e l’intera esperienza della coscienza implichi relazioni con altre forme di soggettività, non si può certo affermare che il servo e il signore instaurino un rapporto amicale o che la coscienza giudicante e quella agente siano “amiche”. Il punto di partenza di coloro che si interrogano sul ruolo dell’amicizia in Hegel è pertanto la constatazione di una mancanza, giacché egli non sviluppa una propria teoria sull’amicizia né essa pare occupare alcun posto in nessuno degli ambiti del sistema.

Ciò conduce a sottolineare un paradosso. A non aver riservato un’attenzione particolare all’argomento è proprio il teorico del riconoscimento, colui che ha ispirato le teorie contemporanee incentrate su una teoria intersoggettiva della giustizia e che in qualche misura ha, tra gli altri, favorito il ritorno, all’interno della teoria politica, di temi legati alla stima sociale, all’affettività e alle emozioni[2]. L’assenza di una riflessione filosofica sull’amicizia risulta ancora più singolare se si pensa alla biografia di Hegel – in particolare agli anni dello Stift di Tubinga e dell’amicizia giovanile così intima e totalizzante con Hölderlin – sebbene non stupisca allora, in questo contesto, che al poeta non sia mai stato dedicato alcun omaggio o nessuna citazione, come se ci fosse un’analogia fra la negligenza a livello filosofico e la rimozione a livello personale dell’amico, di cui Hegel non farà mai il nome in nessuna opera[3]. Insomma, in un’ipotetica storia della filosofia dell’amicizia è lo stesso Hegel che non troverebbe un posto, come accadrebbe invece ad altri autori del pensiero occidentale, da Aristotele a Montaigne, da Platone a Rousseau, per citarne solo alcuni.

Tuttavia, non si può certo sostenere che il tema fosse ugualmente assente nei pensatori romantici e in particolare tra i pensatori tedeschi dell’epoca. Pagine importanti dedicano all’amicizia Herder, Schleiermacher e lo stesso Kant, che costituiscono una parte importante del background e dei riferimenti di Hegel, in quanto bersaglio di critica, precursori o semplicemente suoi interlocutori. Kant affronta il tema dell’amicizia principalmente nelle Lezioni di etica e nel paragrafo 45 della Metafisica dei costumi. L’amicizia è definita come «un’idea», se non un’ideale, poiché nessun’amicizia è pienamente conforme all’idea di amicizia; tuttavia essa è «praticamente necessaria», tanto che, sebbene sia impossibile da realizzare, è imposta dalla ragione come un dovere (VE, 231)[4]. Nelle Lezioni, Kant dichiara che è problematico definire cosa sia l’amicizia, ma al tempo stesso ne elabora una vera e propria fenomenologia, differenziando quella basata sul bisogno, sul gusto e sull’intenzione e individuando per ogni tipo le caratteristiche specifiche e le modalità di esercizio: se l’amicizia dovuta al bisogno è il presupposto di ogni forma di amicizia, in quanto richiede fiducia e confidenza, quella fondata sull’intenzione coincide con l’amicizia universale, che rappresenta un incentivo a risolverci nelle relazioni sociali[5]. Tanto più l’uomo è civilizzato, continua Kant, tanto più cercherà un’amicizia universale scevra da legami particolari. Sebbene non sia possibile essere amico di tutti gli uomini, l’amicizia universale è una disposizione amichevole verso l’altro, la cui peculiarità è di esser basata contemporaneamente sull’intelletto e sul sentimento[6]. Essa non è tuttavia frequente, poiché richiede un alto grado di perfezione, allorché gli uomini tendono a stringere rapporti amicali particolari: «se l’amicizia universale consiste nell’essere amico degli uomini in generale e nell’avere una benevolenza universale verso chiunque», essere amico di tutti è impossibile e di amicizie cosmopolite con buone intenzioni e inclini a prendere ogni cosa dal suo lato migliore ce ne sono soltanto poche (VE, 239).

È nella Metafisica dei costumi che Kant ci dà una definizione: «l’amicizia è l’unione di due persone legate da un uguale reciproco rapporto d’amore e rispetto», «un’ideale di simpatia e benevolenza», a cui bisogna tendere perché essa è «un dovere per gli uomini stessi» (MM, 345). In particolare, l’amicizia morale «è la fiducia assoluta che due persone si dimostrano l’una verso l’altra, comunicandosi reciprocamente tutti i loro più segreti pensieri e sentimenti, nella misura in cui ciò si può conciliare con il loro vicendevole rispetto» (MM, 348). Essa è dunque un rapporto orizzontale e paritario, un vincolo particolare di due persone, che richiede intimità, complicità e confidenza. Se essa appartiene alla dimensione affettiva e privata della vita degli uomini, sembra avere al tempo stesso una funzione di universalità, nella misura in cui conduce l’uomo a forme di socialità più ampie e lo induce a condividere e a sentire insieme all’altro, in quanto membro della stessa comunità. L’amicizia ricopre pertanto un ruolo importante, poiché favorisce una relazione di uguaglianza e reciprocità, permette di «espandersi agli altri (anche senza l’intenzione di ricavarne qualche vantaggio)» e impedisce all’uomo di «rinchiudersi in se stesso» (MM, 348-9). Stringendo amicizie, gli uomini diventano migliori[7].

A differenza dell’amore, essa presuppone un equilibrio fra attrazione e repulsione e dunque è più adatta a durare e, non segnata dal desiderio, non implica un’identità di pensiero, ma al contrario permette di rettificare i giudizi e ci aiuta a comunicare i nostri sentimenti. Se l’amore è una condizione necessaria anche per l’amicizia, tanto che quest’ultima è «il massimo dell’amore reciproco» (VE, 231), esso non è anche condizione sufficiente. L’amicizia richiede ugualmente rispetto ed è proprio l’insieme di questi due elementi a garantire la sintesi fra attrazione e distanza, fra avvicinamento e diffidenza e dunque fra intimità, tenerezza e familiarità, da un lato, e autonomia, opposizione e indipendenza, dall’altro. In questo senso, l’amicizia manifesta l’attitudine umana che rende l’uomo destinato alla socialità, ma al tempo stesso, in quanto annoverata fra i doveri, sembra testimoniare una diffidenza, un’insocievolezza, come se l’amicizia non fosse un tendenza immediatamente naturale dell’uomo, diviso fra l’amor proprio e l’impulso verso l’umanità in generale[8].

In quegli anni Herder pubblica un testo intitolato Amore e egoità, in cui accosta amicizia e amore, considerati entrambi come le «più autentiche specie del desiderio spirituale» (LS, 84). Tuttavia, tra queste due forme di legame, l’amicizia è la più alta. Se, infatti, segno dell’amicizia è il vivere comune, poiché essa produce «apertura e condivisione dei cuori», «intima gioia e compassione reciproca», oltre che «consiglio, conforto, sollecitudine, aiuto reciproco», l’amicizia risulta più preziosa e pura dell’amore, la «vera, unica e più bella comunione delle anime», a cui lo stesso amore è subordinato (LS, 85-6). Proprio in quanto è estranea a ogni impeto passionale ed è al riparo dalle pulsioni fisiche e dal desiderio del corpo, l’amicizia è «comunione pura, intera, attiva» ed è di conseguenza di maggior pregio rispetto all’amore: definita come «vero magnetismo delle anime umane», vincolo «esatto, saldo, cordiale […] che solo la morte può scioglierlo», è gerarchicamente superiore. Poiché in essa ha luogo «quasi senza organi una comunione pura», una relazione genuina «purificata dalla rozza sensualità», l’amicizia è una fiamma, che però non brucia ardentemente, ma è capace di mantenere il calore e illuminare a lungo (LS, 86). Nell’amicizia, secondo Herder, «le due fiamme si congiungono, s’incrementano e sostengono reciprocamente su uno stesso altare» e proprio per questo «l’amore deve invitarci all’amicizia, l’amore stesso deve diventare la più intima amicizia», la quale è definita dallo scrittore come «il più nobile e dolce godimento di cui l’umanità sia capace» (LS, 86).

Se il riferimento a Kant e a Herder permette di mettere in luce il contesto tedesco all’epoca di Hegel, esso offre anche l’occasione di sottolineare non solo come l’amicizia fosse un tema pienamente affrontato nell’ambito di quel milieu in cui lo stesso Hegel si è formato, ma anche come la riflessione filosofica tenda a concentrarsi sul nesso che lega amore e amicizia, come se le due forme di relazione fossero naturalmente apparentate. L’amicizia in tal caso non sarebbe altro che una forma di amore, una forma ideale di rapporto intersoggettivo, il quale, al di là delle differenze rispetto alla maniera di manifestarsi e alle pratiche che implica, non sarebbe altro che una variazione rispetto a un’unica e sola modalità di affetto, che può ridursi alla comunione di sentimenti e alla condivisione privata di intimità.

Assumendo questa prospettiva, si potrebbe essere indotti a cercare l’amicizia in Hegel fra le righe delle pagine, in questo caso sicuramente più numerose, che il pensatore tedesco dedica all’amore. Tale ipotesi ha in effetti un precedente illustre, ovvero il pensatore dell’amicizia per eccellenza, Aristotele. Come è noto, la philia, a cui sono dedicati i libri VIII e IX dell’Etica Nicomachea, non corrisponde a ciò che noi moderni chiamiamo amicizia. Al contrario, il termine greco indica un insieme di relazioni molto più ampio rispetto a quanto esprimono i vocaboli ‘amicizia’ in italiano o ‘Freundschaft’ in tedesco. L’amicizia, così come siamo soliti intenderla nel linguaggio comune, ma anche nella riflessione teorica contemporanea, non è che un aspetto di quel plesso di rapporti definito dalla philia, che include ogni forma di interazione implicante un’affezione e non necessariamente paritaria. Sotto l’espressione philia, allora, devono in primo luogo essere annoverati fenomeni per noi del tutto eterogenei: dall’amore alla relazione filiale e a tutti i vincoli familiari, dal rapporto fra governanti e governati a quello fra partners commerciali[9]. Sulla base di tale concezione, la philia, e dunque il concetto di amicizia, indicherebbe in senso lato le interazioni fra esseri umani che racchiudono un qualche sentimento o un’attitudine affettiva a prescindere dalla natura specifica del rapporto che si viene a instaurare fra gli agenti.

Secondo tale prospettiva, la ricerca dell’amicizia in Hegel non dovrebbe limitarsi alle occorrenze del termine Freundschaft, che di per sé non sarebbero esemplificative della presenza del concetto di amicizia nel pensiero hegeliano. Al contrario, proprio in altre modalità di relazione, se non in una più generale dinamica di riconoscimento soggettivo, potrebbe darsi la possibilità di individuare qualcosa come un rapporto di amicizia. Il debito hegeliano nei confronti dello Stagirita, che è stato così ampiamente messo in luce dagli studi critici[10], implicherebbe in questo caso proprio l’assenza del termine amicizia, per non ridurre la philia greca alla relazione privata e intima, ma asessuata, fra due individui. In quest’ottica sarebbe proprio la volontà consapevole da parte di Hegel di collocarsi nel solco di continuità del filosofo ateniese a condurlo a evitare l’uso del termine Freundschaft, come se il concetto di amicizia aristotelico in Hegel si dovesse invece cercare altrove rispetto al rapporto intimo, orizzontale e paritario fra due individui.

Parafrasando allora Aristotele, si può affermare che amicizia «si dice in molti modi». Non soltanto perché, come molti altri tipi di relazioni personali, riflette il contesto storico, culturale e istituzionale entro cui prende forma, ma anche perché le aspettative reciproche e gli obblighi, i vincoli sociali e le regole di condotta proprie del rapporto di amicizia si evolvono a seconda della forma di vita. Se ne potrebbe dedurre che l’amico è allora tanto colui con cui condivido interessi e stili di vita, quanto colui che invece mi arricchisce proprio per la sua diversità: l’altro da me e un altro io. L’amicizia può essere più o meno sincera, più o meno vera, e pur tuttavia mai completamente priva di una componente utilitaristica, giacché l’amico ci sostiene nel momento del bisogno o procura piacere. Così come la cerchia di amici può essere più o meno ampia. La difficoltà di identificare tale forma di relazione nasce dunque dal fatto che essa sembra sfuggire, sconfinando facilmente nel rapporto familiare o nella relazione d’amore, ma anche in forme di benevolenza e di concordia o, più in generale, di simpatia e filantropia.
 
 
2. L’amicizia fra mondo antico e mondo moderno
 

La differenza fra l’amicizia antica e quella moderna era un tema affrontato da Schleiermacher nei suoi corsi di etica del 1805-1806, sottolineando come il significato dato a tale relazione fosse differente nell’epoca a lui contemporanea. Secondo il filosofo, essa è in generale una maniera specifica di generare una freie Geselligkeit, una «libera sociabilità», che si caratterizza per avere come fondamento non la conoscenza, bensì il sentimento: nonostante sia ciò che c’è di più individuale, questo sentimento tende alla comunicazione e alla condivisione e dunque genera sincerità e fiducia, caratteristiche dell’amicizia. La libera sociabilità deve rinchiudere una tendenza all’amicizia e, viceversa, l’amicizia deve produrre una libera sociabilità: se ogni libera sociabilità conduce a divenire amico, ogni amicizia fonda allo stesso modo tale libera sociabilità. Tuttavia, nel senso proprio datole nell’antichità, l’amicizia è Gemeinschaft der Organe in Beziehung auf eine großere Individualität, il cuore intimo dello stato in vista di un fine comune. È individualità politica. Al contrario, nel significato moderno, l’amicizia riposa sulla conoscenza dell’individualità personale dei singoli e sulla maniera particolare in cui essi sono toccati dall’universo. Essa è una dualità, che mira all’intuizione dell’individualità personale[11].

Schleiermacher ha come referente esplicito ovviamente Aristotele e coglie così un elemento che sembra opportuno sviluppare. Possiamo dire che, laddove per Aristotele l’amicizia è una virtù di carattere politico, intendendo con tale termine ciò che riguarda la polis e il vivere comune, per i moderni essa occupa lo spazio privato della vita degli individui. In quanto virtù, essa è per Aristotele una disposizione che è contemporaneamente naturale e razionale volta all’attuazione del bene, frutto dell’esercizio e dell’abitudine, ovvero uno stato abituale, mentre nella concezione moderna essa si distingue come sentimento, che non ha nulla a che vedere con la razionalità, bensì permette di esprimere la sfera emotiva[12]. Se per Aristotele l’amicizia è virtù politica, espressione di un’attitudine alla collaborazione e, in quanto crea un vincolo sociale, fondativa del vivere insieme, nel mondo moderno essa è estromessa dalla dimensione pubblica e civica: l’individuo, che vive in una società conflittuale, competitiva e atomistica, si ripiega su se stesso e cerca nella sfera personale e soggettiva quel legame che non trova più nell’ambito politico, il quale è il luogo dell’inimicizia per eccellenza. L’amicizia è, secondo Aristotele, al pari della giustizia, la virtù cardine della polis, tanto che «l’amicizia e la giustizia riguardano lo stesso ambito», perché la prima è una conoscenza che permette di vivere e agire insieme, una saggezza pratica atta a individuare il modo migliore – ovvero il più razionale – per realizzare il bene della comunità[13]; al contrario la filosofia politica moderna ha sostituito il paradigma antico con uno incentrato esclusivamente sulla giustizia, separando il binomio aristotelico: se nella politica vige il calcolo utilitaristico, poiché essa è l’applicazione di regole di condotta e di leggi universali che non possono basarsi sulla simpatia, l’amicizia è di conseguenza confinata alla sfera intima, al di fuori di quella pubblica. Come è stato sottolineato, l’amicizia passa da pratica politica a pratica privata[14]: mentre la philia ha un valore universale, è una relazione che prevede una forma di razionalità all’opera e dunque è prima di tutto un agire, l’amicizia moderna è il regno della particolarità, una relazione completamente naturale e istintiva, prima di tutto un sentire. Ciò che resta in questo ribaltamento fra antico e moderno non è che il carattere di reciprocità in senso più generale, anche se l’amicizia intesa come rapporto specificatamente duale e orizzontale è da considerarsi moderno, proprio in quanto relazione particolare che implica un’attrazione intima.

Sulla scorta di queste considerazioni, una prima questione che emerge concerne, dunque, la ragione dell’assenza dell’amicizia in Hegel e, in secondo luogo, l’eventuale possibilità di reperire ugualmente, all’interno del pensiero hegeliano, una nozione che possa essere riconducibile a ciò che definiamo amicizia. Nell’opposizione schematicamente tratteggiata fra amicizia antica e moderna, si tratta allora di capire dove potrebbe essere collocato il filosofo tedesco e se la caratterizzazione dell’amicizia, così com’è delineata dagli autori contemporanei a Hegel, e più in generale quindi dal pensiero moderno, non possa favorire in qualche modo una spiegazione di tale lacuna entro il sistema hegeliano.
 
 
3. L’amicizia come riconoscimento
 

Sebbene sia enorme l’influenza che Aristotele esercita nel pensiero hegeliano, il filosofo tedesco non si confronta mai con il concetto di philia. A dispetto dei numerosissimi passi in cui Hegel cita o discute Aristotele e malgrado il lungo capitolo dedicato allo Stagirita nella Storia della filosofia, l’amicizia sembra non destare particolare interesse. E non solo: fra i testi che ha maggiormente commentato in modo esplicito, primo fra tutti il De Anima, ma anche la Politica – per limitarci alle opere di natura pratica – non compare l’Etica Nicomachea, che sembra essere agli occhi di Hegel, almeno apparentemente, più marginale[15]. Nonostante dunque la presenza diffusa di Aristotele a più livelli nelle opere di Hegel, il quale mette in atto una vera e propria mise à jour, come direbbe Kojève, di concetti chiave del pensiero antico, dall’eticità alla seconda natura, la nozione di philia sembra non ricevere alcuna attenzione, anche in ragione del fatto che il pensatore tedesco non è interessato a elaborare una Tugendlehre in senso classico.

Tuttavia, i pochi studi dedicati all’amicizia in Hegel sono, grosso modo, concordi nel sostenere che il filosofo opererebbe una sorta di attualizzazione della philia e che la teoria aristotelica sarebbe inclusa entro la definizione dell’agire sociale e opererebbe all’interno dell’eticità[16]. In questa prospettiva sarebbe proprio la teoria del riconoscimento, quale paradigma di relazione all’alterità, il luogo in cui Hegel metterebbe a tema l’amicizia: la relazione con «l’altro da sé» necessaria alla costituzione dell’individualità, e dunque quel rapporto reciproco e biunivoco presupposto dalla realizzazione del riconoscimento, non sarebbe che una figura esemplificativa della dinamica implicita nell’amicizia[17]. L’«essere in sé per un altro» costitutivo dell’autocoscienza rappresenterebbe l’archetipo dell’‘esser amico’: l’autocoscienza che esce fuori di sé, smarrisce se stessa per ritrovarsi nell’altro come tale, implicherebbe infatti la capacità di imparare a instaurare un rapporto che, superato il conflitto, l’opposizione e la dipendenza, si risolverebbe in una relazione paritaria e orizzontale tra due individui. L’«unità nella duplicazione» esprimerebbe pertanto il duplice movimento di entrambe le autocoscienze – reciprocamente rispetto a sé e rispetto all’altro – richiesto nell’amicizia, che appare così risultato della tensione fra dipendenza e indipendenza dei singoli individui. L’amicizia implica, allora, un riconoscimento dell’altro e un esser riconosciuti: in quanto al tempo stesso principio di individuazione e socializzazione, la capacità di instaurare rapporti di amicizia non solo presuppone l’accettazione della relazione con l’altro in termini non gerarchici, ovvero né di subordinazione, soggezione o sottomissione, ma è funzionale anche alla possibilità di «divenir certa di se stessa da parte dell’autocoscienza», dunque di diventare autonoma e, di conseguenza, di costituirsi una propria identità. In quest’ottica, in virtù dell’uguaglianza e della reciprocità sottintese al rapporto amicale, essere amici significa riconoscersi come reciprocamente riconoscentisi e viceversa: è solo essendo Anerkanntsein che è possibile stabilire quel rapporto intersoggettivo che è la Freundschaft. La celebre formula hegeliana dell’«esser presso di sé nell’altro come tale» trova allora una forma di concretizzazione nell’amicizia, nella misura in cui non solo quest’ultima permette all’autocoscienza di venir fuori da una dimensione solipsistica e autistica, ma rappresenta, a tutti gli effetti, l’esperienza primaria dell’alterità, grazie alla quale l’individuo giunge alla propria certezza di sé e in tal modo instaura un determinato rapporto con il mondo che non è più solo quello del desiderio, ovvero dell’appropriazione e del consumo[18].

In questa prospettiva pertanto il secondo Sé con cui si rapporta l’autocoscienza sarebbe l’amico e l’amicizia incarnerebbe la realizzazione del riconoscimento: la dinamica sottesa all’intersoggettività spirituale, che prevede la capacità di sapere sé nell’altro, è ciò che avviene nel rapporto di amicizia, quando la mia libertà implica parimenti il lasciar libero l’altro e il rispecchiamento nell’altro è condizione della nostra indipendenza, costitutivo del nostro essere soggetto. L’amicizia sarebbe dunque l’esperienza comune e diffusa che noi tutti facciamo del riconoscimento nella nostra vita quotidiana: in quanto esemplifica la relazione intersoggettiva, l’amicizia corrisponderebbe al concetto di riconoscimento così come Hegel lo presenta nella sezione A del capitolo IV della Fenomenologia e dunque al compimento del riconoscimento reciproco, simmetrico, mutuale e scambievole[19]. In quest’ottica, infine, l’amicizia acquisterebbe una dimensione etico-sociale, simile a quella racchiusa nel concetto di philia, giacché sarebbe la condizione necessaria (e sufficiente) per il legame sociale e per il vivere comune proprio della Sittlichkeit, ovvero dello spirito, la cui struttura è espressa, in modo sintetico, ma profondamente evocativo, dalla formula dell’«Io che è il Noi e Noi che è Io» nella Fenomenologia.

Tale sovrapposizione, per quanto suggestiva, sembra tuttavia condurre a una semplificazione di entrambe le nozioni, poiché, da un lato, la nozione di philia risulterebbe impoverita rispetto alla complessità concettuale che racchiude all’interno della politeia antica, dall’altro lo stesso riconoscimento perderebbe la ricchezza che presenta nell’originale formulazione hegeliana, dove l’intersoggettività presuppone un momento conflittuale e un’operazione di negazione verso sé e verso l’altro non necessariamente prevista in una relazione di amicizia. In questo senso, identificare il riconoscimento nella philia può rischiare di dare un’immagine caricaturale delle due nozioni, che nuocerebbe alla comprensione della specificità storica e teorica di entrambe. Al contrario, tale operazione, da una parte, conduce a identificare con il termine ‘amicizia’ un solo e unico modello di relazione indifferenziato, malgrado la molteplicità di forme di amicizia che si possono instaurare e che gli stessi Aristotele e Kant hanno messo in luce; dall’altro essa porta a ridurre lo stesso paradigma del riconoscimento ad una sola dinamica di relazione irenica e dialogica, allorché la fortuna di tale nozione dipende proprio dalla sua capacità di sottrarsi ad ogni tentativo sostanzialistico.
 
 
4. Amore e amicizia: analogie e differenze di un sentimento
 

Proprio per questo alcuni interpreti hanno individuato nell’amicizia un particolare tipo di riconoscimento, ovvero quello che avviene nell’amore[20]. Tale strategia sembra essere legittima per almeno due diversi ordini di ragioni. In primo luogo, ascrivere l’amicizia a una forma di amore risulterebbe coerente con la nozione di philia aristotelica, in modo tale che, mutatis mutandis, laddove Aristotele includeva l’amore come forma di philia, Hegel considererebbe l’amicizia come espressione di una più generale relazione emotiva e affettiva che identificherebbe nell’amore. In questo caso, si tratterebbe ugualmente di una modalità di riconoscimento, sebbene più specifica e puntuale, che esprimerebbe un vincolo sentimentale e privato, ma non meno universale, in accordo con la concezione contemporanea di amicizia e dunque con l’attenzione propria della modernità all’individualità e alla libertà soggettiva. In tal caso, dunque, l’amicizia in Hegel non sarebbe assente, ma mascherata, nascosta tra le pieghe della trattazione dell’amore e dunque giocherebbe al contrario un ruolo decisivo tale nell’economia del sistema hegeliano e nella genesi stessa della dialettica, quale, come è noto, ricopre l’amore.

Sembra essere lo stesso Hegel a suggerire tale ipotesi, perché alcune delle occorrenze del termine amicizia sono utilizzate proprio come sinonimo dell’amore o come sua specificazione. È nello Spirito del Cristianesimo e il suo destino che Hegel definisce l’amore come Seelenfreundschaft, «amicizia di anime» (TJS, 594): l’amore permette di ritrovarsi nell’altro, perché l’amato è «uno con la nostra essenza» ed «in lui vediamo solo noi stessi», e pertanto è «un legame vivente delle virtù, un’unità vivente» (TJS, 550). Non può esser comandato, non esprime alcun dovere e non è un universale contrapposto al particolare, ma al contrario è «unicità dello spirito» (TJS, 550). Come Hegel dichiara nel Frammento sull’amore, esso è «l’unificazione», che «sottrae all’opposto ogni carattere di estraneità» ed «esclude ogni opposizione». In quanto non è una somma di particolari, l’amore si distingue per la capacità di togliere la riflessione, rimuovere la differenza, superare ogni opposizione. L’amore è certo un’inclinazione, un sentimento, «ma non un sentimento singolo», perché in esso «si trova la vita stessa come duplicazione di se stessa e come sua unità» e «la vita si spinge fino a sciogliersi e a disperdersi nella molteplicità dei sentimenti per trovare se stessa in questo tutto della molteplicità» (TJS, 472). In quanto «prendere e dare reciproco», esso «acquista ricchezza di vita nello scambiare tutti i pensieri, tutte le molteplicità dell’anima, poiché cerca infinite differenze e trova infinite unificazioni», cosicché quest’unificazione dell’amore è completa in quanto «il l’uno è l’amante e l’altro è l’amato» e quindi «ogni separato è un organo del vivente» (TJS, 474).

Accomunata all’amore, l’amicizia presenta per analogia le sue stesse caratteristiche, caratterizzandosi come conciliazione e dunque acquistando un valore etico. Alla stregua dell’amore, l’amicizia permette l’unità nella differenza: in un legame fusionale e intimo, l’identificazione fra i due amanti rappresenta l’unità nell’opposizione e il ritrovarsi nell’altro che esclude l’alienazione e la separazione e al contrario esprime l’infinito. In quest’ottica l’amore, e dunque l’amicizia, sono «elemento dell’eticità» (JS III, 94), perché attuano il passaggio dal Sé naturale al Sé spirituale e permettono l’accesso all’universale, costituendo così la forma di relazione che è alla base della struttura comunitaria propria dell’eticità. In quanto relazione intima ed elettiva, l’amicizia realizza lo stesso tipo di riconoscimento che accade nel rapporto amoroso quale unità consapevole di volontà, quando i membri abbandonano la loro indipendenza e la loro particolarità per ritrovarsi nell’altro. Appare in tal modo una prima forma di autocoscienza universale attraverso l’abbandono della propria indipendenza e dunque la genesi di una relazione intersoggettiva, per quanto sentimentale e ancora affetta dalla naturalità: amore e amicizia costituiscono una prima tappa indispensabile all’interno del processo di riconoscimento, poiché realizzano il passaggio dalla natura allo spirito, dalla differenza all’unità, dal particolare all’universale, incarnando di conseguenza il concetto di libertà concreta proprio dell’eticità moderna. Attraverso la relazione amicale e amorosa si conquista dunque un primo livello di intersoggettività, che nonostante sia ancora invischiato nella dimensione naturale, costituisce un elemento etico, sebbene di un’eticità non compiuta, perché, come è noto, essa non si esaurisce in tale relazione.

La sovrapposizione fra amore e amicizia non è, allora, un tratto esclusivo degli anni giovanili o jenesi, ma si rileva anche all’interno del sistema: nell’Enciclopedia Hegel nomina l’amicizia nel paragrafo 436 dedicato all’Autocoscienza universale, affermando che «questo universale riflesso, dell’autocoscienza, del concetto che, nella sua oggettività si sa come soggettività identica a sé e pertanto universale, è la forma della coscienza della sostanza di ogni spiritualità essenziale, della famiglia, della patria, dello Stato, come di tutte le virtù, dell’amore, dell’amicizia, del valore, dell’onore, della fama» (Enz III, § 436, 279). La stessa parentela fra amicizia e amore si ritrova nell’aggiunta al paragrafo 7 dei Lineamenti, dove Hegel definisce il terzo momento della volontà come individualità corrispondente al «concetto concreto della libertà», che include i precedenti momenti dell’universalità astratta e della particolarità o differenza. Questa libertà, chiarisce Hegel, «l’abbiamo già nella forma del sentimento, ad esempio nell’amicizia e amore. Qui si è non unilaterali entro di sé, bensì ci si limita di buon grado in relazione ad un che d’altro, ma si sa sé in questa limitazione siccome se stessi» (Rph, § 7Z., 287).

Pertanto si potrebbe concludere che ciò che vale per l’amore, nel bene e nel male, possa essere esteso anche all’amicizia, giacché tra le due forme di relazione non vi sarebbe per Hegel alcuna differenza. In quest’ottica le stesse considerazioni che Hegel fa a proposito dell’amore, così come il posto che gli conferisce all’interno dello spirito, varrebbero ugualmente per l’amicizia: a prescindere dalle fasi di elaborazione del sistema, dalla collocazione dell’Autocoscienza universale e dalle modifiche che egli opera nel mettere a punto il concetto moderno di Sittlichkeit, la sostanziale coincidenza tra amore e amicizia non sarebbe mai messa in questione, ma al contrario costituirebbe una costante di tutta la sua produzione.

Tuttavia, anche in questo caso, negare la differenza fra amore e amicizia in Hegel comporta l’omissione di alcuni aspetti che invece caratterizzano l’amore e che non possono essere estesi all’amicizia. Il rapporto d’amore in Hegel ha, infatti, una funzione ben precisa entro l’eticità e prevede alcune condizioni che non sono ugualmente soddisfatte da quello amicale. Innanzitutto, l’amore comporta una dimensione erotica e passionale del tutto assente nell’amicizia e che anzi lo caratterizza propriamente. È proprio il rapporto sessuale che realizza il passaggio dalla natura allo spirito, che costituisce il punto più alto della natura vivente e dunque permette, tramite l’incontro fisico, di superare l’esteriorità dell’altro e di giungere al sentimento della loro unità[21]. Proprio per questo l’amore richiede una differenza sessuale che è invece assente nell’amicizia e su cui Hegel insiste molto. Sebbene possa esservi nella coppia un legame di amicizia, così come nei rapporti di parentela in generale, il rapporto d’amore è necessariamente un rapporto fra un uomo e una donna, monogamico ed esclusivo, ed è proprio questa complementarità a rendere l’unione razionale. Per questo l’amore ha qualcosa in più, perché costitutive di un rapporto che possa definirsi amoroso sono le condizioni di differenza sessuale ed esclusività, che invece non sono necessarie nell’amicizia. L’amicizia ha ugualmente qualcosa in meno che invece contraddistingue la relazione d’amore: l’istituzione della famiglia.

Nella concezione hegeliana, soprattutto da Jena in poi, l’amore non può essere separato dalla famiglia: se l’amore, il sentimento, l’unione affettiva sono alla base della famiglia, quest’ultima ne costituisce la destinazione fisiologica e, in virtù di ciò, è la prima radice etica dello stato moderno. È infatti proprio l’amore coniugale che permette la trasformazione di un istinto naturale in un legame spirituale, in quanto con il matrimonio «l’unità dei sessi naturali, soltanto interiore o essente in sé e appunto perciò soltanto esteriore nella sua esistenza, viene trasformata in una unità spirituale, in amore autocosciente» (Rph, § 161, 141). Il libero consenso degli amanti e la loro inclinazione particolare sono le condizioni per «costituire una persona» e «rinunziare alla loro personalità naturale e singola», cosa che avviene proprio in virtù del vincolo matrimoniale, senza il quale l’amore perderebbe la propria funzione entro l’eticità e grazie al quale invece la «determinatezza naturale» riceve «significato intellettuale ed etico» (Rph, § 165, 144)[22]. Con il matrimonio, l’unione non riposa più su un’affinità e un sentimento naturali, ma scaturisce da una decisione consapevole, genera obblighi e riconosce diritti, cosicché si è all’interno della libera eticità. In quanto prevede la nascita di una famiglia, il rapporto amoroso implica, come è noto, una comunità di beni, un patrimonio, una condivisione quotidiana che è garantita dal vivere sotto lo stesso tetto. L’amore raggiunge infine il suo culmine nella procreazione, in quanto il figlio è il fine della relazione di coppia, la quale si concretizza in un nucleo familiare di cui ogni individuo è membro[23]. L’amore è pertanto in Hegel un sentimento naturale, generato dalla passione e dal desiderio, che sfocia in un rapporto spirituale inquadrato entro una struttura etica determinata e implica di conseguenza una serie di pratiche sociali definite, dalla fedeltà all’educazione dei figli.

Come hanno affermato Henrich e Bobbio, la famiglia descritta da Hegel è la famiglia borghese moderna, che, sgravata dalle funzioni economiche a cui provvede la società civile, si caratterizza per l’intimità, svolge la funzione di cura[24] e ha un’articolazione ben precisa. In questa prospettiva ciò che resta in comune fra amicizia e amore non sarebbe che la dimensione sentimentale e affettiva, in virtù della quale entrambi possono essere ascritti alla cerchia di rapporti privati. È esattamente questa l’operazione che fa Honneth, quando ricostruisce, sulla scorta del modello hegeliano, le sfere istituzionali che costituiscono l’eticità contemporanea e incarnano la libertà sociale: nel vasto campo del «noi delle relazioni personali», egli include parimenti amicizia, relazioni intime e famiglia, perché tutte e tre rappresentano un insieme di «reti stabili di pratiche all’interno delle quali i membri della società possono essere relativamente sicuri dei comportamenti che, reciprocamente, gli uni si attendono dagli altri» (Honneth 2015, 169). Basandosi su «autenticità e confronto», l’amicizia appartiene allo stesso «modello relazionale» valido per gli altri che si caratterizza per «conferma, sostegno e aiuto reciproci» e si contrappone alle forme di relazione sociale proprie del «noi dell’agire economico» (Honneth 2015, 170 ss). In tale prospettiva le pratiche dell’amicizia, permettendo la manifestazione di sentimenti, disposizioni e intenzioni che non troverebbero ascolto altrimenti o favorendo l’assistenza e il piacere della condivisione, rappresentano una prima esperienza di «liberazione» e dunque «una forma particolare di libertà intersoggettiva», in cui ciascuno individua l’altro come «partner fidato dell’interazione» e al tempo stesso si impegna ad assumere «obblighi di ruolo complementari» (Honneth 2015, 180-1).

Per quanto interessante, la lettura di Honneth va decisamente al di là della lettera di Hegel: la sua «attualizzazione della filosofia politica di Hegel» si distanzia molto dalla descrizione che quest’ultimo fa della prima sfera della Sittlichkeit e in questo modo la duttilità del «noi delle relazioni personali» manifesta tutta la distanza tra la sua «eticità democratica» e la formulazione originaria dei Lineamenti. Le caratteristiche dell’amore, dall’intimità sessuale alla differenza di ruoli sessualmente marcata, impediscono di sovrascrivere la relazione di amicizia al modello familiare. Allora, l’amicizia in Hegel non solo non sembra ricoprire a pieno titolo la forma ideale di relazione sociale, come è nel caso di Kant e Herder, ma pare ugualmente perdere la vocazione politica che presenta in Aristotele, perché è in entrambi i casi soppiantata dall’amore. Essa sembra al contrario sfuggire, non lasciarsi imbrigliare nelle strutture etico-politiche, non poter assolvere una vera e propria funzione di universalizzazione, caratterizzandosi al contrario per il suo essere aleatoria e inafferrabile.
 
 
5. Sulle tracce dell’amicizia: una ricognizione delle occorrenze sparse
 

Per provare ad uscire da questa impasse bisogna allora cercare se Hegel non abbia trattato dell’amicizia in modo autonomo e non “in tandem” con la nozione di amore. È, in effetti, possibile reperire alcune occorrenze del termine, che è però citato in modo del tutto occasionale e sparso in differenti testi. In questo caso, come abbiamo accennato, Hegel non espone una riflessione compiuta, ma al contrario, quando nomina l’amicizia, è a titolo principalmente esemplificativo. Pertanto si può procedere a un’analisi di questi passaggi per mettere in luce eventuali caratteristiche in virtù delle quali delineare una teoria dell’amicizia secondo Hegel. Si tratta di vedere, in modo circostanziato e puntuale, quei passaggi che si presentano, nello stesso Hegel, in modo sparpagliato e per niente sistematico. L’obiettivo è di conseguenza una ricognizione dei passi più significativi.

Un primo esempio è rappresentato dal paragrafo 67 della Propedeutica filosofica, in cui Hegel afferma che il dovere di amore universale verso gli uomini si estende in modo più simile a coloro con cui intratteniamo rapporti di conoscenza e amicizia, giacché l’unità originaria che legava tutti gli uomini si è trasformata in questi rapporti più intimi che generano dei doveri più determinati. È allora che egli offre una definizione di amicizia, dichiarando che essa riposa sulla comunità di carattere, sull’identico interesse che sussiste nel perseguire un’«opera comune» e non invece sul piacere che si prova dalla compagnia del proprio simile. Anzi, egli continua, si deve importunare i propri amici il meno possibile così come non si deve loro domandare alcun servizio (PP, § 67, 75).

Secondo queste parole, dunque, l’amicizia per Hegel non è qualcosa da cui trarre direttamente godimento o appagamento. Essa non può essere ascritta né al tipo di amicizia che Aristotele definiva in vista dell’utile e Kant in vista del bisogno, né a ciò che Kant chiamava amicizia basata sul gusto e Aristotele sul piacere[25]. L’amico, infatti, non è semplicemente chi può servire, per qualunque ragione possa farlo, né qualcuno con cui condividere il tempo libero. Sebbene Hegel parli di un rapporto intimo, non è l’affinità emotiva né il sentimento privato ciò che risalta da queste poche righe. È invece il termine ‘dovere’ che prima di tutto egli sottolinea, il quale è pertanto universale e dunque non circoscritto alla cerchia di persone più vicine e ancor meno a una relazione elettiva. Tuttavia, in modo apparentemente contraddittorio, l’amicizia richiede una similarità e una condivisione e si alimenta di un interesse. Essa è allora contemporaneamente un obbligo, qualcosa a cui si è tenuti, ma anche qualcosa che ci muove e verso cui siamo trasportati e attratti e che sembra poter essere conveniente. In un quadro che pare ricalcare la struttura kantiana della Metafisica dei costumi, giacché si distinguono doveri verso se stessi e verso gli altri, Hegel mette invece al centro l’impulso, il desiderio, l’affezione, in quanto, come è noto, egli individua nella passione, e dunque in un elemento egoistico, l’elemento motore dell’agire umano. L’amicizia è un agire in vista di uno scopo collettivo, è partecipazione a un’opera comune e, in quanto tale, è soprattutto risultato e fine dell’azione che non l’azione stessa. Il dovere universale implica dunque un’azione che, pur non essendo mai completamente disinteressata, prescinde dalla soddisfazione di scopi particolari, ma persegue un’«opera comune» e universale, e come tale oggettiva[26]. Tale espressione non è del tutto nuova, perché già nelle Lezioni di filosofia dello spirito del 1805-1806 Hegel dichiarava che «amicizia si ha soltanto nell’opera comunitaria, e cade nel periodo del divenire dell’essenza etica – la virtù erculea si addolcisce, Teseo e Piritoo, Oreste e Pilade» (JS III, 95).

È a proposito di questi ultimi o di Achille e Patroclo, «modello più bello fra gli antichi» della «fermezza dell’amicizia», che Hegel considera la gioventù come il tempo e il terreno più fisiologico per l’amicizia. Infatti, la giovinezza è l’epoca in cui gli individui, che «vivono ancora in una comune indeterminatezza dei loro rapporti reali […] si legano reciprocamente e si associano così strettamente in un’unica disposizione d’animo, volontà e attività, che ogni impresa dell’uno diviene impresa dell’altro», cosa che invece «non avviene più nell’amicizia fra adulti», i quali «non si lasciano attuare in una comunità così salda con un altro». Visto che «gli adulti si trovano e si separano, i loro interessi e le loro occupazioni si disgiungono e si riuniscono»: l’amicizia resta comunque «disposizione d’animo, dei principi e degli orientamenti generali», ma non è più l’amicizia giovanile «per cui nessuno decide e fa quel che non sia immediatamente affare dell’altro» (Ästh, 637-9). L’amicizia assoluta e totalizzante, la vera amicizia, è quella dei giovani e non degli adulti: se «il principio della nostra vita più profonda» è «che nell’insieme ciascuno si preoccupi per sé, cioè se la sbrighi da sé nella sua realtà» sembra, da un lato, che l’amicizia giovanile sia indispensabile per un rapporto amicale più maturo, ma, dall’altro, che nel contesto sociale delle istituzioni etiche non ci sia posto che per un’amicizia non assoluta[27].

Il carattere prettamente giovanile dell’amicizia è sottolineato anche nell’aggiunta al paragrafo 396 dell’Enciclopedia, ove Hegel descrive la singolarità immediata che si scontra con il mondo circostante, quando essa, ancora incompiuta e priva di sussistenza, deve fare i conti con la necessità e la razionalità oggettiva di un mondo che invece è già fatto e compiuto. In tale contesto, Hegel parla dell’ideale che nell’uomo giovane vive come «ideale di amore e di amicizia» o «di un assetto generale del mondo», in quanto l’uomo non è più nella semplice opposizione al mondo, ma ha l’impulso a sopprimere questa opposizione realizzando quell’ideale, tanto che il contenuto di quest’ultimo infonde al giovane uomo il sentimento della forza di agire e trasformare il mondo (Enz III, § 396Z, 146). È l’età in cui si rompe l’armonia con il mondo, propria invece del bambino, ma nel realizzare tale ideale l’adolescente diviene uomo: se quest’ultimo non è più preso nelle pulsioni particolari e nelle visioni soggettive, in quanto è capace di agire nel mondo e di assumerne l’effettività, il giovane, per quanto mosso dai suoi interessi particolari, dà prova di un disinteressamento nobile teso esclusivamente all’attuazione di un ideale universale. Nel dimostrare di poter concretizzare i propri ideali, egli si forma alla vita adulta e così si consuma il passaggio dalla vita ideale alla società civile.

L’amicizia è chiamata in causa nell’Estetica anche al fine di chiarire la nozione di amore materno. Quest’ultimo, rappresentato dall’amore di Maria, è infatti «un amore senza desideri, ma non è amicizia, perché l’amicizia richiede sempre un contenuto, una cosa essenziale come fine e legami comuni», mentre l’amore materno «ha un appoggio immediato nel legame naturale e non ha bisogno né di fini né di interessi uguali» (Ästh, 608). Un ultimo passo su cui si può portare l’attenzione è tratto invece dalla Lezioni di filosofia della religione. In modo quasi sarcastico Hegel dichiara che ci si stupisce spesso del fatto che un rapporto così nobile come l’amicizia non figuri fra i doveri raccomandati da Gesù. A tal proposito però, specifica subito dopo, il vincolo che lega i discepoli non è l’amicizia, la quale è «un rapporto in cui entra la particolarità soggettiva». Gli uomini, continua Hegel, sono amici meno in virtù di un legame diretto che oggettivamente grazie a un legame sostanziale, a un terzo elemento, a un fine assoluto: è un elemento oggettivo che forma il legame e non un’inclinazione come quella dell’uomo per la donna. Invece l’amicizia dei discepoli si fonda sull’intuizione di un elemento speculativo, un amore infinito che proviene dall’infinito dolore, ovvero dal non valore del particolare e della mediazione (VPR, 161).
 
 
6. L’amicizia nelle Lezioni sulla filosofia dello spirito
 

È però con la pubblicazione delle Lezioni sulla filosofia dello spirito tenute a Berlino nel 1827-1828 che la ricerca dell’amicizia in Hegel trova una nuova fonte. Una prima occorrenza si trova all’interno dell’introduzione della sezione intitolata “Fenomenologia dello spirito”, dove Hegel descrive la nascita dell’autocoscienza e dunque il passaggio dall’“Antropologia”, ancora immersa nella natura, alla “Psicologia”, che condurrà allo spirito pratico. Ciò che si consuma nella “Fenomenologia”, come è noto, è l’apparizione dell’Autocoscienza universale, che implica il rapporto con l’alterità e, dunque, l’esperienza da parte dell’Io della contraddizione, in primo luogo fra la sua autosufficienza e la differenza implicita nella relazione. Nel presentare le tappe del riconoscimento che illustrerà nelle pagine successive, Hegel ricorre all’esempio dell’amicizia e non dell’amore. Egli dichiara che

 

Nell’Io abbiamo una semplice idealità, idealità dell’esser altro e l’identità di questi due. Questo è il concetto dell’Io. Il cammino della coscienza che noi consideriamo è la realizzazione del concetto, ciò che è posto nel concetto in questa semplicità – l’idealità dell’altro e l’unità di entrambi – è l’astratto. La realtà è che ciascuno dei momenti ottiene significato concreto, che ciascuno di questi momenti è di per sé l’intero concetto. Così nell’amicizia i due lati stessi sono questo intero. (VPSG, 224)[28]

La relazione all’alterità che è incarnata nell’amicizia è allora ciò che conduce alla coscienza realizzata, secondo il paradigma riconoscitivo illustrato sopra, quando l’autocoscienza perviene a instaurare un rapporto a sé attraverso il toglimento dell’opposizione con l’altro. In questo modo la coscienza scopre che «non è niente di semplicemente singolo». Secondo un leitmotiv della Fenomenologia dello spirito, la certezza di sé è elevata a verità, nella misura in cui sono obbligato a rapportarmi ad un oggetto che è un altro io e di conseguenza è uguale, identico, a me. In queste pagine Hegel sceglie di esemplificare la relazione di riconoscimento che conduce alla ragione attraverso l’amicizia.

Sebbene non si debba eccessivamente enfatizzare questo passo e leggerlo in opposizione ad altri luoghi della riflessione hegeliana, sembra che la scelta dipenda dal fatto che l’amicizia risulti agli occhi di Hegel più chiara, proprio in quanto in essa «i due lati stessi sono quest’intero». A differenza dell’amore, così connotato sessualmente, l’amicizia si presta meglio di esso a esemplificare il riconoscimento, in quanto non implica la scelta di un partner privilegiato né un rapporto fusionale, ma esprime una dinamica diffusa, in cui le due autocoscienze sono potenzialmente interscambiabili e la relazione riproducibile. Se ciò che viene meno in luce in questo caso è la connotazione naturale data proprio dal rapporto amoroso, l’amicizia sembra per analogia collocarsi sulla frontiera del passaggio fra natura e spirito, come se l’impulso a stringere rapporti amicali fosse una tendenza radicata nella naturalità, e come tale necessaria, che però può assumere ugualmente una valenza etica. Se nella “Fenomenologia” lo spirito emerge dalla natura come coscienza, quest’ultima scopre la possibilità di riconoscersi in una struttura comunitaria che si distingue dalla mera vita naturale: mentre l’istinto verso il proprio simile caratterizza ugualmente il regno animale, la capacità di stringere amicizia rappresenta un fattore antropico attraverso cui l’individuo non solo si relaziona a un suo simile, ma apprende ad agire in un mondo umano, in una comunità di soggetti autonomi.

Pertanto, l’ambiguità dell’amicizia si spiega anche per il fatto che il suo radicamento nella dimensione naturale è meno forte: tale sentimento non è generato, infatti, da una spinta istintuale e da un impulso naturale, come è il caso dell’amore, che in questo senso è comune anche agli animali. Eppure, essa sembra non poter essere completamente risolta nella dimensione spirituale. Hegel afferma che «l’identità è anche l’Io che non è indipendente per sé», come per esempio nell’amicizia o nell’amore, ove io sono «nell’altro, ma anche in me». È l’allgemeine Selbtbewußtsein o anche il realisiertes Bewußtsein, che nel rapportarsi a sé si rapporta alla coscienza dell’altro[29]. Questa astratta determinazione si presenta in molte forme concrete, in quanto io sono freie Einzelheit nella famiglia, nella patria, nello Stato. Tutte le virtù hanno, dichiara ancora Hegel, questo fondamento, giacché attraverso il farsi altro si realizza la conquista di sé come autocoscienza: Freundschaft, Ehre, Ruhm implicano ciò, ovvero ciò che chiamiamo altrimenti «condizione dell’esser riconosciuto». Questa condizione dell’esser riconosciuto appartiene all’eticità, nella quale dalla famiglia allo Stato tutti sono riconosciuti e tutti sono riconosciuti perché nella società hanno valore come liberi; tuttavia, se nello Stato giuridico «ciascuno vale, perché fa valere gli altri come liberi» ed io «valgo in quanto astratto, come persona priva della particolarità della mia soggettività», «nell’amore, nell’amicizia vi è più nella sensazione» (VPSG, 256). Nella società civile questo pieno riconoscimento è un rapporto di pura astrazione, nell’amicizia è invece mehr mit besonderheit gemischt, mit Empfindung, mit Gefühl [30].

Sebbene ancora una volta Hegel finisca per associare amicizia e amore, in quanto entrambi accomunati dall’esser sotto la determinazione dell’affezione, è alla fine delle Lezioni sulla filosofia dello spirito, che Hegel ritorna sull’amicizia e precisamente a proposito del sentimento pratico all’interno del praktischer Geist:

 

Nell’amicizia, nella relazione di un singolo individuo all’altro, per me è lasciato del tutto libero quale individuo io voglio frequentare. Questo riguarda la particolarità del mio carattere della mia natura. Questo è un che di accidentale e così l’amicizia stessa è qualcosa di accidentale, poiché ogni conoscente di buon senso non mi rifiuterà il suo consiglio. (VPSG, 333)

Così egli ripete la domanda relativa a Cristo e al perché egli non abbia annoverato l’amicizia fra le virtù: la cerchia di amici che egli ha avuto intorno a sé era «amicizia non di ciò che si chiama amore», piuttosto «uguaglianza di orientamento dell’interesse per una cosa vera, oggettiva, divina». Ugualmente rievoca Pilade e Oreste, che rappresentano un’amicizia eccellente, ma rara, poiché entrambi non sono legati da «interessi oggettivi», ma ciascuno «si è fatto scopo dell’interesse della sua persona, della sua personalità». L’ambiguità della Freundschaft consiste nel fatto che le relazioni amicali «non possono essere fissate da determinazioni etiche, ma si rapportano universalmente all’etico in modo tale che esse contengono un interesse per il bene degli altri, ma così che la specie, l’ambito dell’interesse resta maggiormente affidato alle circostante particolari, perciò all’occasione»; in questo allora «entra particolarità, e in base a questo più o meno esso è rimesso all’accidentalità, alla particolarità, all’arbitrio» (VPSG, 334).

Hegel sembra finalmente dare una spiegazione dell’assenza dell’amicizia: essa non trova una collocazione nel sistema perché è il particolare per eccellenza. Ideale mai realizzato o raramente incarnato in alcune figure della mitologia greca, essa sfugge alla comprensione e resta non definibile. Non riducibile alla dimensione biologica, essa sembra caratterizzarsi per un tratto della specie, un segno di appartenenza alla Gattung, ma quando sembra invece poter ascriversi a pieno titolo nella dimensione spirituale, essa scompare dalla Sittlichkeit perché si oppone, molto più dell’amore, a ogni forma di istituzionalizzazione e di vincolo normativo. In quanto accidentale, essa dipende dalle circostanze occasionali: non solo resiste all’universalizzazione, ma sembra collocarsi nel campo dell’irrazionale, tanto che riempie le pagine della letteratura, ma non può essere studiata filosoficamente, almeno non da una filosofia che pretende di essere una filosofia del concetto, della ragione e non del sentimento. Tuttavia, ecco un classico ribaltamento hegeliano, l’ennesimo paradosso: Hegel sembra sancire l’estromissione dell’amicizia dal campo della filosofia proprio quando pare conferirle una collocazione specifica, inserendola all’interno del sentimento pratico. Ma cosa intende Hegel con questa locuzione?
 
 
7. Amicizia, sentimento pratico ed eticità
 

Lo spirito pratico è «lo spirito realmente effettivo»: esso è la capacità di «dare esistenza immediata alle determinazioni, di attuare le sue determinazioni» (VPSG, 327), ma nella forma dell’immediatezza, e ciò che lo caratterizza è la relazione con un oggetto prodotto dalla sua attività. Il sentimento pratico è il primo momento di tale figura dello spirito: quando «lo spirito è singolarmente soggetto concreto, si determina, cioè analizza questa sua concreta essenza, pone le determinazioni che vi sono, ed esse sono innanzitutto solo in ciò» (VPSG, 330). Nel sentimento pratico, tali determinazioni non sono trovate esteriormente, ma prodotte dal soggetto stesso in quanto suoi propri sentimenti interni e di conseguenza il loro contenuto è particolare, perché legato al modo di sentire e di relazionarsi a tale contenuto da parte del soggetto finito. Tale contenuto determinato, afferma Hegel, «è per natura il mio» (VPSG, 330).

Per quanto successivo allo spirito teoretico, lo spirito pratico nella forma del sentimento agisce in modo istintivo, seguendo il cuore e non l’intelletto: «il cuore è la totalità delle determinazioni dei sentimenti pratici». Il sentimento pratico è allora una modalità di relazione, ovvero una modalità di sentire, più che un rapporto ad un oggetto specifico. Esso appare nella forma del dover essere, del volere formale rispetto alla forma elevata all’universalità e dunque alla volontà concreta che ha superato l’opposizione fra sé e l’alterità, la scissione fra la coscienza e l’oggetto esterno. Pertanto, esso resta sul terreno della naturalità del volere, il sentimento per l’appunto, e concepisce la libertà come coincidenza con sé, come armonia con il proprio piacere, come corrispondenza con i propri desideri, affetti, bisogni. Hegel afferma che «i sentimenti, se sono di tipo verace, sono la stessa cosa che virtù e doveri […]. I sentimenti come sistema sono le determinazioni come sistema delle determinazioni oggettive della libertà, il sistema dell’eticità, e questo realizzato, realmente effettivo, è la vita nello Stato». La domanda circa il contenuto dei sentimenti non avrà altra risposta che i diritti e i doveri etici: ciò che chiamiamo doveri «in determinazione del tutto oggettiva» sono in questo contesto «nella forma di questa particolarità soggettiva» (VPSG, 331-2).

Gli uomini privilegiano il sentire e si appropriano dell’oggetto come ciò che appartiene loro in quanto particolare soggettività. Da un lato, non si può fare a meno di sentire col cuore, perché tutto ciò che siamo e facciamo non può non essere nella forma del sentimento, dall’altro, non è il mio sentimento che può essere evocato a criterio del giusto, ma è l’intelligenza pensante che stabilisce il vero. Il sentimento ha bisogno della riflessione per cogliere il contenuto nella forma dell’universale e non in quanto concerne la mia condizione particolare. Perciò, dichiara Hegel, «il cuore deve giungere alla forma dell’universalità». La differenza consiste nella forma: ciò che è in accordo con il mio sentimento, ovvero il piacere, assume secondo il punto di vista oggettivo «la forma del dovere e dell’etico» (VPSG, 333). L’eticità non può allora accontentarsi della relazione di piacere, perché sarebbe lasciata alla soggettività accidentale del sentimento. Questa modalità di relazione non è tuttavia né buona né cattiva in sé: il cuore «è solo naturale, non è né buono, né cattivo per natura» (VPSG, 332).

Lo spirito pratico non è affatto in opposizione con la sfera etica, ma al contrario può farsi carico di contenuti razionali, eppure tali contenuti deve considerarli come proprio interesse e realizzazione del proprio bene. Nell’Enciclopedia Hegel specifica che il sentimento pratico è «in sé soggettività semplicemente identica con la ragione», per quanto come «contenuto naturale, accidentale, soggettivo»: se il sentimento può esser «unilaterale, inessenziale, cattivo», è anche vero che il razionale può darsi nella forma del sentimento e le determinazioni etiche possono essere «oggetto di sentimento», perché esso «non è che la forma dell’immediata, peculiare singolarità del soggetto», nella quale possono darsi i più diversi contenuti (Enz III, § 471, 340-1). Nello spirito pratico l’ambito razionale e l’ambito pulsionale sono reciprocamente implicati e intrecciati: esso è già volontà libera, ma una volontà ancora affetta dalla naturalità delle passioni, perché si rapporta ai contenuti etici nella modalità del sentire, ovvero in quella affettiva. Per questo, tale tappa dello spirito appare come momento necessario dell’agire, del rapportarsi al mondo e del perseguire la realizzazione di determinati scopi.

Eppure può succedere che il lato accidentale, che caratterizza il sentimento soggettivo, presenti anche un lato «non etico», quando si contrapponga il particolare all’universale, ovvero quando l’uomo «si fissa a una particolarità, così che questa è opposta all’etico» (VPSG, 333). È a questo punto che Hegel introduce la benevolenza e l’amicizia. Nel caso della prima, essa si rapporta ugualmente ai doveri etici e a ciò che appartiene all’arbitrio degli individui, a ciò che è lasciato all’accidentale ed in tal caso sancisce Hegel «non si possono indicare per questo leggi, determinazioni». Lo stesso accade per l’amicizia, la quale afferisce a questa dimensione del sentimento che di per sé non è né buona né cattiva, ma che è lasciata all’arbitrio della soggettività, affidato alle circostanze occasionali, afferente alla singolarità del mio essere individuo, al mio cuore. Sotto questo punto di vista l’amicizia incarna un momento dello spirito pratico, in cui il contenuto dello spirito si particolarizza e si determina come ciò che gli appartiene come fine immediatamente suo. Siamo già nella dimensione dello spirito e, in particolare, nello sviluppo dello spirito soggettivo che sfocia nello spirito libero. Eppure essa risulta al margine dell’eticità, non perché non ne sia all’altezza o perché gli individui entro l’eticità non instaurino dei rapporti di amicizia, ma perché è una relazione talmente singolare che non prevede norme, come se in essa la volontà rimanesse invischiata nell’accidentalità e particolarità del sentimento. Il male accade quando l’uomo si attacca a una particolarità tale che essa si oppone all’etico, ma l’amicizia, che è rapporto del singolo individuo all’altro, è lasciata completamente libera dalla legge, in quanto essa è ganz etwas zufälliges[31]. L’amicizia appare allora come istituzione sociale non istituzionalizzata: sebbene contribuisca a creare spazi di socializzazione, essa non è propriamente inclusa in nessuna sfera etica, giacché non rientra a pieno titolo fra le «potenze etiche» che dirigono la vita degli individui e si colloca invece negli interstizi, negli spazi lasciati vuoti. L’amicizia infatti «non ha un contenuto stabile» che appartiene invece all’«ethos oggettivo» e che è «un consistere elevato sopra il soggettivo opinare e desiderare» (Rph, § 144, 133). Al contrario essa è sentimento soggettivo, assenza di contenuto concreto.

La modernità si fonda su un paradigma politico, inaugurato da Hobbes, che non mette al centro la concordia fra i suoi membri, bensì la ricerca della pace: se la politeia mira alla realizzazione del bene e, dunque, al raggiungimento dell’eudaimonia, per noi lo scopo della politica è principalmente assicurare la difesa e neutralizzare il conflitto. La differenza fra le due prospettive si comprende a partire dalla concezione antropologica sottesa a ognuna di esse: mentre in un caso l’uomo è un animale politico volto naturalmente alla collaborazione, la modernità politica riposa su un rapporto fra gli individui che non è spontaneamente sociale, ma è anzi di conquista, di dominazione, di prepotenza o nel migliore dei casi di insocievole socievolezza. I sentimenti e le passioni non solo non sono il fondamento del vivere comune, ma anzi possono nuocere all’instaurazione di un ordine e dunque è compito della società rimediare alle conseguenze che esse producono. Essere tutti membri della stessa comunità politica implica non tanto essere legati da sentimenti di affetto reciproci, quanto instaurare una condizione di uguaglianza, al punto che il rapporto di amicizia risulta, al contrario, foriero di favoritismi e clientelismi, nuocendo al principio di imparzialità e uguale trattamento implicito nello stato di diritto. Propria della modernità è infatti la divaricazione fra affettività e razionalità, nella misura in cui la dimensione affettiva appartiene al privato ed è la ragione calcolatrice che presiede a individuare il mezzo più adatto a realizzare la convivenza fra gli individui: sono l’interesse per l’autoconservazione e la sicurezza dei mezzi di sostentamento a creare il legame sociale fra i membri della stessa comunità e non la condivisione emotiva, dal momento che i sentimenti non afferiscono al politico e, per certi versi, gli sono antitetici. Le norme sociali riposano sulla razionalità, che costituisce l’orizzonte della storia, estromettendo la particolarità dei legami affettivi che perdono così ogni funzione politico-sociale.

Non è un caso, allora, che nella prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel critichi la posizione di Fries, mettendo al centro la nozione di Freundschaft. Quest’ultima, infatti, finisce per «far dissolvere questo ben costruito edificio nella brodaglia del “cuore, dell’amicizia e dell’entusiasmo”», rimettendo il mondo etico all’«accidentalità soggettiva dell’opinione e dell’arbitrio» e collocando così in tal modo «sul sentimento ciò che è il lavoro e invero più volte millenario della ragione e del suo intelletto» – operazione che Hegel definisce «rimedio casalingo» (Rph, 9). Fondare l’eticità sulla base delle ragioni del cuore vuol dire fondarla «sulla percezione immediata e sull’immaginazione accidentale», mentre essa deve essere «innalzata al di sopra della forma soggettiva del sentimento» (Rph, 8-9). Pericolosi, conclude Hegel, sono «i principi che collocano ciò che è diritto su opinioni e fini soggettivi, sul sentimento soggettivo, sulla convinzione particolare», perché essi implicano «la distruzione tanto dell’eticità interna e della retta coscienza morale, dell’amore e del diritto tra le persone private, quanto la distruzione dell’ordine pubblico e delle leggi dello stato» (Rph, 11). Il sentimento dell’amicizia non può essere né il fondamento del vincolo sociale né il principio di conoscenza dell’eticità: se in quest’ultimo caso è attraverso il Begreifen che comprendiamo ciò che è l’eticità, nel primo caso la relazione di amicizia costituisce una virtù particolare propria dei rapporti reciproci e orizzontali tra gli individui privati.

Ciò nonostante, la legge e le istituzioni richiedono un sentimento di identificazione: se non possiamo dire che bisogna amare la legge, tuttavia essa deve essere interiorizzata, incorporata, fatta propria. L’universalismo dell’obbligazione etico-giuridica passa per un’adesione che implica l’accettazione di un’appartenenza e che, al tempo stesso, è attraversata dalla dimensione emotiva. Tale adesione non è necessariamente razionale, ma è un’affezione, ovvero anche partecipazione emotiva e condivisione di interessi comuni o di fini collettivi, in virtù della quale sentirsi parte di un tutto e dunque conciliati con un sistema di istituzioni. Tale affezione è ciò che lega gli individui l’uno all’altro in una relazione di prossimità che può non essere necessariamente riflessiva. Se dunque l’eticità non può certamente esser ridotta alla «legge del cuore», è vero anche che essa deve essere in accordo con quello che la legge del cuore comanda[32]. Da un lato, allora, come Hegel espone nelle Lezioni sulla filosofia dello spirito, i sentimenti possono avere «un contenuto, che non solo non appartiene all’eticità, ma le è opposto» e tale «falso contenuto è quello che appartiene alla mia persona nella sua particolarità, contro il mio universale, razionale». In questo caso, il cuore è certamente «malvagio» (VPSG, 334). Ma se l’uomo segue il cuore, il cuore deve essere educato, affinché gli obblighi e i doveri non appaiano come qualcosa di imposto dall’esterno, ma come ciò che egli ha contribuito a determinare e soprattutto affinché ciò che egli naturalmente sente riveli ciò che il punto di vista universale dovrebbe essere[33].
 
 
8. L’amicizia fra sentimento privato e legame sociale
 

Come è noto, Hegel non elabora una teoria dei doveri e delle virtù sul modello kantiano, ma definisce le virtù come «l’ethos nell’applicazione al particolare»: «il medesimo contenuto che assume la forma di doveri e poi delle virtù è anche quello che ha la forma di impulsi», ovvero lo stesso contenuto, che tuttavia «appartiene alla volontà immediata e al sentimento naturale» e «abbraccia quel che del carattere è particolare, fondato sulla determinatezza della natura» (Rph, §§ 150-1, 136-7). Per Hegel la virtù è Rechtsschaffenheit, la Gesinnung etica per eccellenza, la disposizione all’universale e dunque all’adempimento di ciò che è prescritto dalle determinazioni etiche. Essa non è definita in termini simili all’amicizia o alla philia aristotelica, eppure sembra avere all’interno della Sittlichkeit un ruolo fondativo analogo a ciò che la philia ricopre nella politeia, come essa è frutto dell’abitudine: coincide con un’attitudine a riprodurre comportamenti etici e a vincolarsi alle pratiche sociali, così come a intessere legami sociali tra membri di una stessa comunità, risultando così la disposizione costitutiva dell’agire sociale. Hegel non la chiama amicizia perché nel mondo moderno l’amicizia ha assunto una nuova fisionomia, un differente ruolo e una collocazione specifica nell’ambito privato. Anche cercando di interpretare lo spirito hegeliano, sovrapporre la Rechtsschaffenheit alla philia implica una forzatura eccessiva e, sulla scorta di tale sovrapposizione, identificare la Rechtsschaffenheit con la Freundschaft sarebbe un errore ermeneutico privo di qualunque riferimento testuale, dal momento che Hegel non presenta mai la rettitudine nei termini di un rapporto d’amicizia[34].

Aristotele afferma che «l’amicizia è comunità», koinonia, e consiste nel «vivere insieme»: essa «tiene insieme le città», tanto che si ritiene che «la concordia sia qualcosa di simile all’amicizia e i legislatori perseguono soprattutto questa». Infatti, continua, «in ogni comunità vi è una qualche forma di giustizia e un tipo di amicizia»: vi è amicizia nella misura in cui gli uomini «partecipano alla comunità», in modo tale che «vi è un’amicizia secondo ciascuna delle costituzioni» (Et. Nic. 1155a 15 ss. ; 1159b 25 ss. ; 1172a 5). Aristotele specifica anche che vengono chiamati amici tanto i compagni di navigazione quanto i commilitoni, i cittadini o i membri di una tribù, poiché, in quanto si basa su comunanza e condivisione, l’amicizia sembra essere un nesso di tipo comunitario e i membri di ogni tipo di comunità sono legati da una qualche forma di amicizia[35]. Si tratta pertanto di ciò che noi chiameremmo ‘fratellanza’ o ‘cameratismo’ o più in generale ‘spirito di gruppo’, termini che pur non essendo propriamente tra loro sinonimi, rinviano a tutti gli effetti a una relazione di natura amicale basata sulla condivisione di scopi comuni. In tal senso, è possibile ritrovare un termine analogo anche in Hegel, la parola Genossen, che può in tedesco essere intesa come sinonimo di amicizia sebbene in senso più specifico[36]. Hegel afferma che nell’organizzazione del lavoro della società civile, e in particolare nella corporazione, un aspetto della particolarità viene all’esistenza als Gemeinsames in der Genossenschaft, giacché nella corporazione l’individuo è membro dell’associazione «per l’universale della sua esistenza particolare» (Rph, §§ 251-251, 191). In quanto seconda famiglia, la corporazione accetta i membri in virtù della loro «abilità e rettitudine», dal momento che tali comunità e forme di associazione riposano sulla «fiducia dei compagni del loro stato e della loro municipalità» (Rph, § 288, 233). Non si tratta di opinione soggettiva, ma di «disposizione d’animo, attitudine e cognizione» comune e condivisa, sebbene al tempo stesso nell’elemento degli stati «l’accidentalità, mutevolezza e arbitrio ha il suo diritto di spaziare» (Rph, § 310, 247-8): in modo più esplicito i membri della corporazione o degli stati sono Genossen, «compagni», «amici», «fratelli».

Questo doppio volto della Freundschaft mostra come la concezione hegeliana oscilli fra la concezione antica e quella moderna di amicizia. Si può affermare infatti che l’amicizia si trasforma in conseguenza dell’apparizione del «principio superiore dell’età moderna, che gli antichi non conoscevano» (JS III, 150): conseguenza della conquista della libertà interiore è dunque la ricollocazione dell’amicizia come ambito personale e intimo della vita degli individui. Tuttavia, in quanto rinvia all’intersoggettività, essa tracima l’orizzonte strettamente privato: pur non conservando un significato analogo a quello di philia quale vincolo direttamente politico, assume una valenza etico-sociale in qualità di relazione intermedia fra l’individuo e la società. Le relazioni d’amicizia sono sempre relazioni private, interpersonali e particolari, eppure in esse vi è un nucleo che va al di là delle singole relazioni, o meglio che attraverso di esse educa all’universale, favorendo così la disposizione etica generale. Questa ambiguità rende l’amicizia difficile da collocare, in quanto nozione i cui confini restano non nettamente delineati. Poiché Hegel non sviluppa una dottrina delle virtù e dei doveri, essa non rientra tra le obbligazioni etiche in senso proprio. Al tempo stesso l’individuo stringe rapporti di amicizia in quanto è seconda natura: poiché l’ethos si riflette nel carattere individuale, esso è virtù in senso classico, cioè disposizione stabile frutto dell’abitudine.

L’amicizia è, da una parte, ciò che è singolare per eccellenza, ciò che dipende dall’arbitrio individuale; dall’altra, in quanto rientra nei legami sociali che i membri instaurano fra loro, essa è ciò che è implicito nel vivere comune, e che, contribuendo a formare l’individuo all’alterità, ha una funzione che potremmo definire “civica”, per quanto ai margini della Sittlichkeit. Se nel primo caso è circoscritta al sentimento, estranea alla dimensione razionale e impermeabile alla codificazione, nel secondo caso essa può ricoprire una funzione di universalizzazione, in quanto esprime una relazione riconoscitiva e come tale prevede la negazione dell’autoreferenzialità. In tal senso, l’amicizia può essere espressione di un sentimento di appartenenza a una comunità politica, poiché implica il “sentirsi parte”, ma non in quanto essa è naturale e preesistente al volere, ma in quanto, al contrario, è prodotto della libertà autocosciente e risultato di una pratica, di un agire. Essa coincide con il farsi uomo. È immediatezza in qualità di sentimento, ma negazione della stessa immediatezza, giacché lo spirito pratico presuppone l’Anerkanntsein e dunque la reciprocità della relazione e la capacità di lasciar essere l’altro. Nella misura in cui il sentimento costituisce una forma di autodeterminazione pratica, esso può farsi carico di contenuti oggettivi, come le determinazioni etiche. In questo senso, lo spirito pratico tende a superare la dicotomia fra affettività e razionalità, fra intelletto e volontà: come lo spirito teorico non è solo passivo, così lo spirito pratico tiene insieme un lato attivo e uno passivo, essendo così non solo attività, ma anche in parte recettività.

L’amicizia sembra allora avere due facce, poiché è contemporaneamente cuore e opera comune: da una parte essa rimanda all’amore, concerne il sentimento, consiste in un rapporto elettivo e privato, ma accidentale; dall’altro rinvia ad una dimensione sociale, in quanto è agire, persegue interessi oggettivi ed esprime un’appartenenza collettiva. A cavallo fra natura ed eticità, essa è una caratteristica spirituale senza tuttavia occupare un posto di rilievo entro lo spirito oggettivo. Dentro e fuori l’eticità, essa è il particolare, pur presentando al tempo stesso una funzione di universalizzazione.

Sulla base di queste considerazioni, sembra opportuno sottolineare l’ennesimo paradosso: quasi assente dalla concezione di Hegel e in ogni caso tema marginale che non ha ricevuto particolare attenzione, l’amicizia tocca i punti nevralgici del sistema hegeliano. Una volta, infatti, che si analizzano i passi in cui essa viene affrontata in modo puntale e circoscritto, la sua fisionomia si delinea nella tensione fra particolare e universale, natura e spirito, individuo ed eticità, cosicché riflettere sull’amicizia in Hegel implica chiamare in causa le dicotomie classiche della prospettiva hegeliana. Non riducibile alla dimensione naturale, essa afferisce all’orizzonte spirituale e concorre alla costituzione dell’etico come opera comune, ma poi scompare dalla scena principale della Sittlichkeit, rimanendo nelle retrovie. Come sosteneva Kant, riprendendo una frase attribuita a Socrate o a Aristotele, si può concludere allora che anche per Hegel vale il detto «miei cari amici, non vi sono amici», poiché «l’idea dell’amicizia serve […] a determinare quanto in essa si sia ancora manchevoli» (VE, 232).
 
 
 
Tavola delle abbreviazioni
 
– Aristotele
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– Herder
LS = Liebe und Selbstheit (1781), in «Der Teutsche Merkur», 211-235; trad. it. Amore ed egoità, «Aisthesis», 2, 1: 81-93
– Kant
VE = Eine Vorlesung Kants über Ethik; trad. it. Lezioni di etica (1971), Bari: Laterza.
MM = Metaphysik der Sitten, in Werke; trad. it. Metafisica dei Costumi (2016), Bari: Laterza
– Schleiermacher
BE = Brouillon zur Ethik (1981) [1805-1806], Hambourg: Meiner
– Hegel
Ästh = Vorlesung über die Ästhetik, in Werke, Bdd. 13-15; trad. it. Estetica (1963), Milano: Einaudi
Enz III = Enzyklopädie der Philosophischen Wissenschaften im Grundrisse. Mit den mündlichen Zusätzen, in Werke, Bd. 10; trad. it. Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (2000), vol. III, Torino: UTET
JS III = Jenaer Systementwürfe III. Naturphilosophie und Philosophie des Geistes. Vorlesungsmanuskript zur Realphilosophie (1805-1806), in Gesammelte Werke, Bd. 8, 185-287; trad. it. Filosofia dello spirito (1805-1806), in Filosofia dello spirito jenese (2008), Roma-Bari: Laterza, 67-175.
PdG = Phänomenologie des Geistes, in Werke, Bd. 3; trad. it. Fenomenologia dello spirito (1976), 2 voll., Firenze: La Nuova Italia
PP = Texte zur Philosophischen Propädeutik, in Werke, Bd. 4, 9-302; trad. it. Propedeutica filosofica (1977), Firenze: La Nuova Italia
Rph = Grundlinien der Philosophie des Rechts. Mit Hegels eigenhändigen Notizen und den mündlichen Zusätzen, in Werke, Bd. 7; trad. it. Lineamenti di filosofia del diritto. Con le aggiunte di E. Gans (2000), Bari: Laterza
TJS = Theologische Jugendschriften (1907), Nohl, H. (hrsg.), Tubingen; trad. it. Scritti giovanili (2015), Napoli-Salerno: Orthotes
VGP = Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, in Werke, Bd. 18-20; trad. it. Lezioni sulla storia della filosofia (1973), 2 voll., Firenze: La Nuova Italia
VPSG = Vorlesungen über die Philosophie des subjektiven Geistes, in Gesammelte Werke, Bd. 25.2; trad. it. Lezioni sulla filosofia dello spirito. Secondo il manoscritto di J.E. Erdmann (2000), Milano: Guerini e Associati
VPR = Vorlesungen über die Philosophie der Religion (1984), Jaeschke, W. (hrsg.), Hamburg, Bd. III-IV-V; trad. it. Lezioni sulla filosofia della religione (1983), vol. III, Roma-Bari: Laterza
 
 
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Note al testo
 
[1] In realtà, come si vedrà più avanti, il termine Freundschaft compare nei Lineamenti di filosofia del diritto nella prefazione e in alcune aggiunte. Per quanto riguarda le occorrenze del termine «amicizia» in Hegel, si rimanda a Glockner (1957).
[2] A tal proposito si rinvia in particolare ad Axel Honneth che negli ultimi decenni ha sviluppato una teoria critica incentrata sul concetto di stima sociale, vedi Honneth (2002, 2003 e 2015).
[3] Tale aspetto è sottolineato da Henrich (1967).
[4] A proposito dell’amicizia in Kant, vedi, fra gli altri, Marcucci (1995), Savi (2003), Wike (2014), Rorty (2011).
[5] VE, 230-5.
[6] VE, 239.
[7] VE, 236.
[8] VE, 230-5.
[9] Et. Nic. 1155a 16 ss. A proposito del concetto di amicizia in Aristotele, si rimanda a Berti (1995) e a Natali (2008).
[10] Per quanto riguarda il rapporto fra Aristotele e Hegel o l’influenza che il primo ha avuto sul secondo, si rimanda, fra gli altri, a Ferrarin (2001), Renault (2000), Ritter (1969).
[11] BE, XXIX-XXXh.
[12] Et. Nic. 1103a 15-1104b 15. Per quanto riguarda il confronto tra la concezione antica e quella moderna, vedi Berti (1998), Veca (1998), Riva (1998) e Guastini (2008).
[13] Et. Nic. 1155a 25 e 1157b13.
[14] Guastini (2008, 9 ss).
[15] VGP, 343-393, in part. 365-9.
[16] Il nesso fra riconoscimento e philia è giustificato in virtù del fatto che, da un lato, Hegel riprenderebbe la concezione aristotelica e, dall’altro, lo stesso paradigma riconoscitivo aiuterebbe a mettere in luce a posteriori i caratteri propri della philia antica. Per esempio Testa (2011, 249) afferma che «il percorso da Aristotele a Hegel che intendo seguire è bidirezionale. Da un lato intendo valorizzare l’eredità in senso lato aristotelica presente in alcune concezioni hegeliane. Ma per altro verso il mio intervento è condotto in una prospettiva hegeliana, nella misura in cui mi chiederò in che misura alcuni concetti di Hegel – in particolare la nozione di «riconoscimento» – possono aiutarci ad esplicitare e a ricostruire la teoria aristotelica della philía» e ancora «la prospettiva hegeliana ci può aiutare ad articolare il contenuto della philia».
[17] Vedi Williams (2010 e 2012), Merle (2014) e Karavakou (2003). Williams dichiara che «mutual recognition is the existential-onotlogical deep structure immanent in Hegel’s account of ethical life. Thus the main focus of the topic of friendship in Hegel must be as account of recognition because it provides the ontological structure which friendship embodies […] Hegel articulates Aristotele’s central insight about friendship as the crown of the virtues, in the modern language of the intersubjective structure of non parochial, universal consciousness and ethical life». La posizione di Williams si differenzia da quella di Testa, in quanto il primo identifica il concetto di amore hegeliano e di philia aristotelica, mentre per il secondo la nozione di philia si collocherebbe ad un livello più generale della concezione hegeliana, identificandosi con la Gesinnung e dunque con una struttura riconoscitiva, ma abbracciando diverse forme di interazione sociale. Pertanto per Testa l’attualizzazione della philia coinciderebbe con quella disposizione all’agire etico-sociale che rende l’individuo capace di agire entro una forma di vita e che può essere riassunta dal concetto di agency.
[18] PdG, 143-152.
[19] Anche in questo caso la lettura di Testa e quella di Williams si differenziano perché secondo Testa nel concetto di philia sarebbero incluse anche forme di riconoscimento mancato e dunque non solo le forme positive e compiute ma anche le forme negative di relazione riconoscitiva. Al contrario Williams si sofferma sul riconoscimento realizzato a partire dall’esposizione che Hegel farebbe dell’amore nei testi jenesi. A tal proposito vedi anche Siep (1979), la cui interpretazione del riconoscimento è criticata da Merle (2014, 311). Quest’ultimo analizza il concetto di amicizia in Hegel in modo del tutto indipendente dalla nozione di philia aristotelica, ma concentrandosi al contrario sulle letture contemporanee del riconoscimento. Sebbene sia concorde nell’identificare in Hegel amore e amicizia, come fa lo stesso Williams, egli critica la lettura di Siep e sottolinea come le concezioni intersoggettive ispirate a Hegel si baserebbero su un fraintendimento della nozione hegeliana, che escluderebbe il riconoscimento come differenza e particolarità.
[20] Vedi ancora Williams (2010 e 2012), Merle (2014) e Karavakou (2003).
[21] Enz III, § 381Z, 87 ss.
[22]Sul tema della famiglia in Hegel, vedi, fra i tanti, Mancina (1991).
[23] Rph, § 170-180, 147-154.
[24] Bobbio (1981) e Henrich (1983, 342).
[25] Et. Nic, 1156a 5-1156b 5 e VE, 233 ss.
[26] Menegoni (1991, 783-4).
[27] Merle (2014, 321).
[28] Sulla filosofia dello spirito e in particolare sullo spirito pratico, vedi fra i tanti Anzalone (2012), Bonito Oliva (1995).
[29] Si rimanda in questo caso direttamente all’edizione tedesca delle Lezioni sulla filosofia dello spirito (Gesammelte Werke, Bd. 25.2, 755).
[30] Nell’edizione originale tedesca delle Gesammelte Werke, Bd. 25.2, 795-6.
[31] Nell’edizione originale tedesca delle Gesammelte Werke, Bd. 25.2, 897.
[32] Vedi PdG, 306 ss.
[33] VPSG, 330.
[34] In questo contesto la nozione di amicizia universale di Kant sembra poter essere interpretata come una sorta di riconoscimento ante litteram, in virtù del rapporto reciproco e relazionale che essa suppone e soprattutto in quanto essa è si caratterizza per la funzione di universalizzazione, dal momento che è propria dell’uomo civilizzato e conduce a forme di socializzazione più ampie rispetto al rapporto elettivo e privato.
[35] Et. Nic. 1159b32 e 1161b 10 ss.
[36] Vedi a tal proposito Plangg (1995) il quale prende in esame tutti i vocaboli utilizzati in tedesco per tradurre il concetto di amicizia a seconda delle sfumature e delle implicazioni. Egli sottolinea come il termine «amicizia» possa essere reso anche dai termini «Gefährte», «Geselle» o «Genosse» nel senso di ciò che contraddistingue gli amici in quanto sono uniti l’uno all’altro e partecipano a qualcosa di comune.
 
 
 

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