Hegel sive Spinoza

Warren Montag*

 

images (1)Se, come ha scritto Althusser, la filosofia «esiste solo in ragione della posizione che occupa, e la occupa soltanto attraverso la conquista di un campo già occupato»1, e dunque smarcandosi dai suoi avversari, possiamo affermare che un numero significativo di grandi testi venuti fuori da quella straordinaria fucina che fu la filosofia francese degli anni Sessanta del Novecento ha marcato la sua presenza volendosi distanziare anzitutto da Hegel. Nietzsche e la filosofia (1962) di Deleuze, per esempio, insiste nello stabilire le specifiche differenze tra la filosofia di Nietzsche e la sua lettura della dialettica di Hegel: «il “sì” di Nietzsche è opposto al “no” dialettico; l’affermazione è opposta alla negazione dialettica; la differenza alla contraddizione dialettica; il gioire, il godere, sono opposti al travaglio dialettico; la leggerezza, la danza, alle responsabilità dialettiche»2. In modo ancor più incisivo, «Nietzsche insiste fondamentalmente sul carattere cristiano della dialettica e della filosofia tedesca»3, secondo la quale la storia consiste in un movimento progressivo posto per mezzo di un processo di negazione e riconciliazione che tende inevitabilmente verso una fine posta già in origine. Nel solco dell’argomentazione deleuziana, Levinas, in The Trace of the Other (1963), sottolinea che «la filosofia di Hegel rappresenta la logica conclusione di una rilevante allergia della filosofia»4 nei confronti dell’alterità. Dalla prospettiva di Levinas la Fenomenologia rappresenterebbe la riscrittura perfetta dell’Odissea omerica nel linguaggio della filosofia: un’avventura che prende sempre le sembianze di un ritorno, un movimento del pensiero per il quale la comprensione dell’altro può prendere solo la forma della sua riduzione all’identico. In un modo simile, secondo il Derrida di Della grammatologia (1967), la Logica di Hegel è «una teologia del concetto assoluto come logos»5 e la sua filosofia in generale è un «riassunto della totalità della filosofia del logos»6. Nella Fenomenologia l’assenza apparente dello Spirito a se stesso in ogni stadio della sua Bildung non era niente più che la sua presenza come escatologia o come parusia in cui l’esserci è ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà.

È dunque chiaro non solo che questi tre filosofi, messi insieme in modo irritante all’interno dello stesso paragrado, sentono la necessità di smarcarsi da Hegel, come se, per seguire la metafora di Althusser, egli occupasse o dominasse un territorio da espugnare, ma anche che Hegel non fu soltanto un avversario filosofico fra i tanti, ma la sintesi, per usare l’espressione di Derrida, di tutte quelle forze filosofiche che devono essere combattute. Non possiamo evitare di riconoscere il paradosso di questa lettura polemica di Hegel, nella quale tutti i conflitti interni alla “storia della metafisica” o alla “filosofia occidentale” sono sublimati in una maniera positivamente hegeliana che supera e interiorizza ciò che sembrerebbe essere irriducibilmente diverso. Ancora, potremmo dire che tale reale ed hegeliana censura di Hegel produce la diffusione perpetua non di Hegel, ma di una certa lettura di Hegel, come se quest’ultimo fosse riducibile a poche formule categoriali come la negazione della negazione o la verità è l’intero, permettendo così a questa lettura di persistere di essere inevitabilmente “riscoperta”, ossia, conservata come intatta, alla stregua di un relitto, nel corso della battaglie filosofiche.

Ho certamente omesso da queste considerazioni la più nota della critiche francesi a Hegel:quella di Althusser. Ciò che distingue Althusser dai suoi contemporanei non è l’acutezza della sua critica e neppure il fatto, appreso definitivamente dopo la sua morte, che egli si produsse all’inizio della sua carriera in un’interpretazione informata e ragionata della filosofia di Hegel, in virtù della quale senz’altro le sue critiche risultano vestite di autorità e credibilità. Piuttosto, a distinguerlo dagli altri fu il fatto che la sua comprensione della filosofia come pratica lo costrinse a riesaminare sia le condizioni sia i risultati della sua critica a Hegel. Perciò, in un certo senso, quasi immediatamente dopo l’apparizione del rigetto di Hegel nei testi del 1965, Pour Marx e Leggere Il Capitale, Althusser fu portato, da una più generale congiuntura filosofica sorta dai suoi lavori, a essere il tramite di una riscoperta di Hegel e di una sua difficoltosa riabilitazione. Ancora più significative furono le sue riflessioni sulle condizioni della sua critica a Hegel, o piuttosto, la sua critica alla presenza di Hegel in Marx, uno Hegel reso interno a Marx e trasformato come presenza interna. La filosofia, come Althusser ha scritto, produce sempre uno spazio, fait le vide, ma essa non inizia mai da o in uno spazio libero in cui si possono collocare argomenti o tesi svincolati dal resto. La filosofia interviene in un campo di forze, su in conflitto già esistente, prendendo parte, favorendo il confronto. Nella versione orale della sua soutenance del 1975, il filosofo francese esplicita meglio questa idea: «Ho agitato l’arma di Spinoza contro Hegel»7. Questa frase segnala una storia, o infine un lungo episodio di quella storia, in cui Spinoza, una volta che la filosofia di Hegel si è posta come alternativa o, ancor più, è apparsa come il più completo e corretto rigetto del pensiero di Spinoza, ora riemerso come alternativa all’alternativa, segnala la correzione di ciò che era stato falsamente annunciato come correzione: Spinoza dopo Hegel, come ha detto Macherey, o Spinoza come rifiuto di Hegel.

Nel 1974, Althusser conclude il terzo capitolo (intitolato semplicemente Strutturalismo) degli Elementi di autocritica con la dichiarazione che né lui né i suoi colleghi «fossero mai stati strutturalisti»8. Il quarto capitolo (su Spinoza) inizia ripetendo la frase nella forma di una domanda inevasa: «Se non siamo mai stati strutturalisti, possiamo adesso spiegare perché, perché lo siamo sembrati seppure non lo fossimo»9. La risposta, e inizio questo passaggio precisamente perché il “noi” invocato non si riferisce esclusivamente a Althusser e ai suoi colleghi, indipendentemente dagli immediati obiettivi di Althusser e della sua complessa autocritica, bensì si estende oltre i limiti del circolo althusseriano, oltre il mondo marxista in cui solo l’atto o il rituale dell’autocritica può avere un significato o una funzione, per includere tutti gli altri membri di una generazione filosofica: «noi eravamo spinoziani». Un’incomprensione singolare («ce singulier malentendu») ha portato i lettori a prendere per strutturalismo ciò che in realtà era spinozismo. E come potrebbe essere stato altrimenti se «per riconoscere infine Spinoza è necessario tornare ad ascoltare la sua voce»10.

Ma Althusser non si accontenta di spiegare la sua “passione” per Spinoza sulla base della sua grandezza – la grandezza o il grandeur di una “lezione di eresia”, che di rado abbiamo incontrato nella storia del pensiero. Al contrario, egli ammette che cercando «semplicemente d’essere marxisti» («d’être simplement marxistes»), lui e i suoi colleghi hanno prodotto un detour attraverso Spinoza, un detour che si è posto necessariamente come deviazione o ritrattazione11. Althusser inaugura la sua giustificazione citando il detour marxiano verso Hegel, un passo teoricamente necessario che ovviamente ha prodotto dei costi sul piano teoretico. In più, il lavoro della filosofia, in via generale, «richiede esso stesso ritrattazioni e deviazioni»12. Ma l’autocritica di Althusser non si indirizza verso un’esposizione della natura della pratica filosofica in generale, ma sulla filosofia come da lui stesso praticata nella «congiuntura ideologica e teorica esistente». E in tale congiuntura, individuata nel periodo che intercorre tra il 1960 e il 1965, «questa deviazione si è imposta come necessità». Perché? «Dal momento che il materialismo di Marx ci obbligò a pensare come necessaria la sua deviazione verso Hegel, noi dovevamo deviare verso Spinoza per comprendere meglio le ragioni della deviazione di Marx verso Hegel»13.

La critica althusseiana della dialettica di Hegel, che inizia con Contraddizione e surdeterminazione (1962), in cui egli aspira a differenziare la contraddizione semplice di Hegel dalla surdeterminata e complessa contraddizione propria del marxismo, è ben nota: si regge sul postulato della omogeneità e semplicità della concezione hegeliana della dialettica – una semplicità che può essere dimostrata a discapito e contro l’apparenza di una sempre crescente e cumulativa complessità che accompagna il suo movimento verso la fine, in cui si completa. Al di là delle apparenze, la sua «complessità non è la complessità di una surdeterminazione effettiva, ma la complessità di una interiorizzazione cumulativa che ha solo le apparenze della surdeterminazione»14, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 82.]. Tale complessità apparente è perciò riducibile a un’essenza, a una contraddizione essenziale e dunque “bellissima” che esprime la sua diversità.

Questo saggio, troppo breve e davvero intenso, ha sollevato un’enorme opposizione, specialmente tra i marxisti, e soprattutto tra i membri del Partito comunista, i più accorti dei quali non accusarono Althusser di “strutturalismo”, come sarebbe stato il caso, ma di «iper-empirismo»15. Quasi immediatamente Althusser scrisse la sua risposta, Sulla dialettica materialista: sulla variabilità delle origini (1963), tornando alla questione della dialettica hegeliana al fine di smarcarla dalla dialettica materialista. Qui Althusser si muove oltre la critica della contraddizione hegeliana come principio della semplicità dei suoi fenomeni, che sono tali solo nella contraddizione nella loro forma esternalizzata, per identificare il concetto dell’origine (che garantisce l’approdo alla fine ed è perciò condizione necessaria del sistema hegeliano). Hegel postula un’«unità originaria [che] costituisce l’unità dilacerata dei due contrari in cui si aliena, diventando altra pur restando se stessa: questi due contrari non sono che la medesima unità, ma nella dualità, la medesima interiorità, ma nell’esteriorità»16. La dialettica materialista – la cui esposizione Marx non ha avuto tempo di scrivere se non a “livello pratico” – emerge nel suo rifiuto di un unità semplice e originaria che vorrebbe ridurre lo sviluppo storico al mero fenomeno di un’essenza originariamente presente solo per essere negata, cancellata e poi riconsegnata a ciò che sarebbe comunque stata anche se la coscienza d’essa fosse risultata assente. Una dialettica materialista rifiuta per principio l’intelligibilità offerta dalla nozione di un movimento progressivo e cumulativo che si dirige verso una fine già prestabilita. Essa, pertanto, si predispone a un critica del «concetto di inizio», che, come Negri ha recentemente ricordato, suggerisce sia l’inizio di una cronologia, sia l’ordine che assicura il suo svolgersi, secondo la necessità che le è propria 17. Per Hegel, e qui Althusser si riferisce alle pagine di apertura della Scienza della Logica, l’inizio «è […] in Hegel l’essere immediatamente identico al niente; la semplicità che è sempre in Hegel ciò attraverso cui (ri)comincia indefinitamente ogni processo, ciò che restituisce di continuo le proprie origini»18. Se la filosofia di Hegel è una “filosofia delle origini”, allora essa non è, al di là della sua eleganza filosofica, necessariamente diversa nella sua forma dallo “stato di Natura” pensato da Hobbes, una condizione originaria che può funzionare come cominciamento solo nella misura in cui si nega la presenza di una sovrano e simultaneamente la si conserva come ciò che rende possibile la sovranità, ossia esterna, per forza di cose, a qualsiasi patto fondativo, o, ad esempio, alle scelte della società civile.

Alla nozione di una “essenza originaria”, anche quando fondata sulla sua negazione, a garanza di un’“unità semplice”, Althusser contrappone «le toujours-déjà-donnée d’une unité complexe structurée [il sempre-già-dato d’una unità complessa19. Non solo abbiamo qui una diversità irriducibile, la cui distinzione da un caos originario è evidenziata dalla descrizione che Althusser propone di questa complessità come unità strutturata, ma tale diversità o complessità non può funzionare, infine, come concetto dell’origine. Più che una semplice pluralizzazione dell’origine entro la dimensione di distinte origini, non si tratta né di un punto di partenza né di un inizio. Al contrario: abbiamo a che fare con un qualcosa di sempre già dato, un concetto che ha lo scopo di deviare la ricerca di un’origine, della cui innocenza primitiva l’unità delle differenze o la struttura dell’articolazione sarebbero espressione. Mediante queste osservazioni (per sua ammissione) provvisorie, Althusser disegna una linea di demarcazione tra la dialettica hegeliana e quella materialista. Ma dov’è Spinoza in tutto ciò – Spinoza, il cui nome appare solo tre volte in Per Marx? È interessante notare che non solo la presenza di Spinoza nella critica di Hegel proposta in queste pagine sia impercettibile, ma sembrerebbe che Spinoza rappresenti, semmai, la deviazione che permette ad Althusser di separare non tanto Hegel da Marx quanto Hegel da se stesso: uno Hegel oltre Hegel.

Tre anni dopo la pubblicazione di Per Marx e Leggere Il Capitale, Althusser manifesta la volontà di ritornare su queste questioni nella presentazione al seminario di Jean Hyppolite, La relazione di Marx con Hegel. Una parte significativa di questo testo fu estratta da un documento incompleto, scritto nel 1967 ma rimaneggiato da F. Matheron e pubblicato postumo con il titolo La querelle de l’humanisme, in cui Althusser dichiarava che molti dei suoi critici, anche quelli che credevano con sincerità di difendere Hegel e l’eredità hegeliana all’interno della cornice marxista, in verità, seguendo lo stesso Marx, fossero più vicini a Feuerbach che a Hegel, persino nella lettura dei testi hegeliani, specialmente quando affrontavano – appunto attraverso Feuerbach – le figure più note della Fenomenologia dello Spirito, quali il padrone, lo schiavo o la coscienza infelice.

Secondo Althusser, l’inversione feuerbachiana di Hegel, che garantiva una preminenza della materia sullo spirito, del concreto sull’astratto e del pratico sul teorico, produceva “un’enorme contrazione” e minimizzazione della filosofia, “sacrificando” ciò che era essenziale per Hegel per ottenere invece un assemblaggio delle teorie più disparate del diciottesimo secolo: empirismo, materialismo meccanicistico, ecc. La teoria feuerbachiana della storia come molteplicità delle forme in cui l’essenza umana si aliena non fu certo secondaria, a giudicare da ciò che Engels e Lenin riconobbero in essa.

Ma Althusser andrà oltre: nel corso del seminario di Hyppolite annuncia di confrontarsi con la contrazione di Hegel presente nei suoi scritti: «qualunque cosa che abbiamo pubblicato su Hegel lascia trapelare un’eredità positiva che, per sua stessa confessione, Marx riceve. Quest’ultimo ha trasformato la dialettica hegeliana, ma ha ricevuto da Hegel un dono prezioso: l’idea stessa della dialettica. Non discuteremo di ciò. Ma mi piacerebbe dire qualcosa in più». È un giudizio sorprendente, che fa sorgere una domanda necessaria: i saggi Contraddizione e Surdeterminazione e Sulla dialettica materialista non sono forse espressione di quei concetti che dovrebbero distinguere la dialettica di Hegel dalla dialettica materialista? Non aveva Althusser identificato quelle nozioni hegeliane che non possono venir riutilizzate senza far danno al marxismo: origine/fine, negazione della negazione, sussunzione, ecc.? E ancora, così egli riassume gli argomenti per la prima volta esposti in Per Marx: «ciò che irrimediabilmente trasfigura la concezione hegeliana della storia come processo dialettico è la sua concezione teleologica della dialettica, iscritta nelle strutture reali della dialettica hegeliana in un punto ben preciso: l’Aufhebung (la trascendenza-che preserva-il-trasceso-come-trasceso-interiorizzato, direttamente espresso nella categoria hegeliana della negazione della negazione (o negatività)».

È a quest’altezza, ovvero nel momento in cui Althusser sembrerebbe darci nulla di nuovo sul problema della relazione Hegel-Marx, e nello specifico sulla relazione di Hegel con se stesso – una topica, quest’ultima, in cui il carattere dialettico della nozione di dialettica (o di qualsivoglia nozione) è a rischio, ossia si pone in gioco rigorosamente la categoria hegeliana della contraddizione contro la filosofia dello stesso Hegel, la sola che renderebbe intellegibile Hegel –, che Althusser fa filosofia, la sua filosofia. Appare cioè chiaro che una lunga deviazione si è posta come necessario non solo per parlare di Marx, ma anche per affrontare Hegel, per porre Hegel contro se stesso, contro quella parte della sua opera che Althusser ha affrontato, a costo di ridurre al silenzio l’altro Hegel, una cui considerazione è necessaria per capire l’intero movimento della sua filosofia – come per qualunque filosofia –, ovvero quel processo di Sichanderswerden e Verdopplung, un processo grazie al quale il pensiero si fa costantemente altro da sé. È un momento “sintomale”, nel senso althusseriano del termine: il filosofo francese ritorna al tema vero che in Sulla dialettica materialista dimostrava la lealtà di Hegel verso ciò che Althusser chiama nel saggio La relazione di Marx con Hegel il «sistema basilare delle categorie classiche del pensiero»20, un sistema fondato sul concetto d’origine, sul concetto di inizio, senza riconoscere la sua precedente discettazione sull’apertura della Scienza della Logica di Hegel e, ancor di più, il fatto che cambierà opinione in merito, attribuendo a quel passaggio hegeliano altri significati. Ciò che quattro o cinque anni prima aveva rappresentato per Althusser la fondazione del sistema idealistico di Hegel ora diventa un’altra cosa dall’idealismo stesso, un’inversione del sistema classico della filosofia che Hegel aspirerebbe a sostenere.

Althusser comincia la sua argomentazione sostenendo le ragioni di Hyppolite contro quelle di Kojève: «Ora, come Mr. Hyppolite ha notato bene, niente di più lontano dal pensiero di Hegel che una concezione antropologica della storia. Per Hegel, la storia è un processo di alienazione, ma tale processo non ha l’Uomo come soggetto»21. Infatti, Althusser andrà oltre: per riconsegnare a Hegel ciò che aveva detto nella sua opera filosofica, contro le deformazioni imposte dai filosofi moderni, occorre riconoscere un concetto necessario per il pensiero marxista – ossia l’idea che la storia è un processo di alienazione senza un soggetto. Qui Althusser sta preferendo la Scienza della Logica, così sintetizzando: «la scienza dell’Idea, per esempio, l’esposizione del suo concetto, il concetto del processo di alienazione senza soggetto, in altre parole, il concetto del processo di auto-alienazione che, considerato nella sua totalità, non è altro che l’idea»22. Ma esiste uno “straordinario paradosso” in Hegel, secondo Althusser. Il processo stesso non ha un soggetto perché è un soggetto “nella misura in cui non ha un soggetto”. In quel posto, il posto di un centro di iniziative automoventesi, esiste una teleologia che si realizza attraverso la negazione della negazione e che procede verso una fine, della quale l’origine era semplicemente l’iniziale forma alienata. Althusser ripete qui ciò che ha già detto in Sulla dialettica materialista: l’Idea inizia con la negazione di sé, che dev’essere superata o negata al fine di realizzarsi. L’elisione dell’inizio è necessaria al conseguimento della Fine.

In tal modo, la trattazione althusseriana di Hegel lo confina e lo costringe alla teleologia. A questo punto, tuttavia, Althusser afferma che sia possibile rimuovere l’ideologia da Hegel per distillare dai suoi testi il concetto di un processo senza soggetto e senza telos. Ciò significa condurre Hegel oltre Hegel, ovvero applicare ad Hegel, come suggerisce Pierre Macherey, il suo stesso principio in base al quale la verità si disfa per mezzo del medesimo movimento attraverso cui viene prodotta. Althusser ritorna al tema dell’origine per sostenere, contraddicendo le sue affermazioni precedenti, che “in Hegel non c’è né Origine né – cosa che non é mai nient’altro che il suo fenomeno – cominciamento”23 e questo non solo, e non primariamente, perché l’origine sarebbe solo un momento transitorio della fine. Al contrario “la Logica hegeliana è l’Origine affermata e negata: forma primordiale di un concetto che Derrida ha introdotto nella riflessione filosofica: la cancellazione (rature)24. Althusser specifica immediatamente il senso di questa affermazione: “ma la cancellazione hegeliana che la Logica istituisce fin dalle sue prime parole, è la negazione della negazione, dialettica e perciò teleologica”25. La cancellazione hegeliana sarebbe la “forma primordiale”, ovvero l’origine, di un concetto che viene ad essere solo per mezzo della negazione della sua origine, come se il concetto di cancellazione fosse originariamente cancellato per diventare ciò di cui può soltanto essere anticipazione. Perciò mentre Althusser ritorna ad una lettura teleologica del posto occupato da Hegel nella storia della filosofia, qualcosa si diparte da Hegel in seguito all’intervento del filosofo francese, un concetto di cominciamento che rifiuta di essere confinato al sistema hegeliano così come è ricostruito da Althusser.

Soltanto negli Elementi di autocritica (e nello specifico nel contesto della sua trattazione di Spinoza) Althusser riconosce che sia Spinoza sia Hegel hanno “rigettato ogni tesi dell’Origine, della Trascendenza e dell’Altro Mondo, sia pure camuffate nell’assoluta interiorità dell’essenza”26. E tuttavia Hegel comincia “nel vuoto (dans le vide)”, mentre Spinoza “comincia con Dio e non con l’essere vuoto (être vide)”, cosa che lo tiene al riparo da qualsiasi “concetto di Fine” che possa farsi strada anche nell’immanenza27. Sembra allora che la prossimità con Spinoza lasci risaltare ancor più visibilmente le fratture interne all’opera di Hegel, consegnandoci l’immagine di un Hegel sistematicamente trascurato dai critici e dai commentatori, un pensatore dell’immanenza a cui nella storia della filosofia nessuno è più vicino di Spinoza. E se le rispettive traiettorie sono finalmente asintotiche, il punto in cui sembrano quasi convergere, pur permanendo nella loro divergenza, è, come ci mostra il testo di Althusser, il concetto di cominciamento.

Pierre Macherey ha notato che “Hegel non è mai così vicino a Spinoza come quando se ne distanzia, perché il suo rigetto ha il valore di un sintomo che indica la presenza ostinata di un oggetto comune, o di un progetto comune, che lega inseparabilmente questi filosofi senza confonderli”28. E in effetti non c’è elemento concettuale riguardo a cui Hegel tenti più spesso di prendere le distanze da Spinoza che la questione del cominciamento. In realtà si può dire che tutta la sua interpretazione – o misinterpretazione – di Spinoza sia strutturata intorno a questo tema. Macherey trova “sorprendente” il fatto che mentre la Logica di Hegel parte dal presupposto della “impossibilità di fondare il processo infinito del conoscere” in un fondamento che svolgerebbe la funzione di cominciamento o origine, egli riesce, ed è anche insistentemente costretto a farlo, a “ignorare” il fatto che tale elemento è ciò che in primo luogo separa Spinoza da Cartesio29. In nessun testo hegeliano il gesto di ignorare Spinoza appare più evidente e più sorprendente che nel primo capitolo della Dottrina dell’Essere, prima parte della Scienza della Logica:Womit muss der Anfang der Wissenschaft gemacht werden?” (“Con che si deve incominciare la scienza?), un passo “tanto celebrato” in cui “non vi è un solo riferimento allo spinozismo”30.

Dopo aver seguito fin qui l’analisi di Macherey da vicino e fedelmente, comincerò a distaccarmene, o per lo meno a complicare la lettera del suo Hegel ou Spinoza, e forse anche lo spirito, provando a dimostrare che la lettura che Hegel fa di Spinoza, e per essere più precisi della prima parte dell’Etica, non è riducibile a un semplice fraintendimento, ovvero alla proiezione sul testo di Spinoza di qualcosa di alieno che avrebbe origine in Hegel e apparterrebbe propriamente solo a lui, operazione che avrebbe lo scopo di ignorare la fondamentale comunanza che lega così intimamente i due filosofi. Al contrario ciò che Hegel legge nella prima parte dell’Etica è importante tanto quanto ciò che trascura: la sua lettura affranca Spinoza da sé, cogliendo nel suo pensiero l’inclinazione sullo sfondo della quale si sviluppa ciò che lo porta ad essere più vicino a Hegel. In che cosa consiste questa inclinazione?

Althusser la coglie in modo dichiaratamente schematico con l’espressione: “Spinoza comincia con Dio”, una frase che si potrebbe più accuratamente rendere senza travisare il senso delle parole di Althusser in “Spinoza comincia con Dio, ovvero con la sostanza che consiste di infiniti attributi”, un cominciamento che, secondo Althusser, gli permette di evitare il non-cominciamento, cioè il cominciamento nel nulla, la negazione di una cominciamento che deve essere esso stesso negato, una negatività che è invece il motore dello sviluppo teleologico del Sapere Assoluto. Così si può adottare l’interpretazione hegeliana di Spinoza rovesciandone il giudizio: Hegel ha interpretato bene Spinoza quale pensatore del cominciamento, e ha rigettato il “cominciamento con Dio”, almeno nella declinazione spinozista, poiché un simile cominciamento non avrebbe consentito il lungo processo di ritorno in sé della sostanza intesa come Origine e Fine, come se l’unità iniziale in un secondo momento subisse una dispersione da cui non potrebbe più esserci possibilità di recupero.

Ma Spinoza comincia davvero con Dio, cioè con la sostanza intesa come assoluto immediato, e come cominciamento che, afferma Hegel, “non può così presupporre nullanon deve essere mediato da nulla, né avere alcuna ragion d’essere” e, “anzi, devìessere esso stesso la ragion d’essere o il fondamento di tutta la scienza”?31 Un assoluto simile non è “l’assolutamente assoluto”, l’assoluto auto-determinantesi di cui ogni singola azione costituisce un farsi nella propria riflessione. Ricordiamo che Spinoza “in quanto ebreo” è in primo luogo un filosofo del sublime, o almeno del sublime ebraico, il “monoteismo assoluto” che rigetta ogni unità mediata della concezione trinitaria di Dio in nome dell’unità primordiale e indifferenziata di un Assoluto immobile e inerte32.

Ciò che emana dall’Assoluto è pura negazione, sostanza che si dissipa in un movimento di diminuzione e degradazione, “il suo perdersi nella mutevolezza e accidentalità dell’essere”33.

Il movimento lineare dalla sostanza agli attributi ai modi coincide con l’esteriorizzazione di sé della sostanza in un altro che perde progressivamente sostanzialità ed è votato alla decomposizione e alla dissoluzione. Non può esserci ritorno alla sostanza da parte delle sue manifestazioni: nella loro assoluta alterità esse rimangono indegne del loro creatore. Secondo Hegel, quindi, chi pensa che Spinoza sia ateo sbaglia completamente: il problema dello spinozismo non è infatti la scomparsa di Dio nella Natura ma la scomparsa della Natura, non tanto in Dio, come Hegel sembra suggerire, ma nella non-sostanzialità e nell’irrealtà, così da lasciare l’Assoluto, sottratto alle forme in cui perde se stesso, e perciò sottratto ad ogni attualizzazione, nient’altro che in un un vuoto la cui infinità e eternità garantiscono il perpetuo regno del nulla. La violenza di una simile lettura – che non solo smembra Spinoza nel tentativo di forzarlo nei ranghi della filosofia orientale e del pensiero dell’Uno indifferenziato, ma simultaneamente contrasta con l’interpretazione dominante di Spinoza quale filosofo ateo e materialista, sottolineando che egli neghi in realtà l’esistenza del mondo e non quella di Dio – non dovrebbe far perdere di vista il fatto che si tratta di un’operazione straordinariamente precisa di rimozione di una tale quantità di materiale – parole, espressioni, frasi e intere affermazioni – che supera significativamente la portata di quel che Hegel estrae da Spinoza e che mette in discussione il concetto di sostanza come cominciamento. Il risultato dell’operazione di Hegel è paradossalmente quello di rendere visibile ciò che egli non può vedere, separandolo da tutto ciò che nell’Etica autorizzerebbe l’interpretazione di Spinoza quale filosofo del sublime.

Macherey indubbiamente ha ragione: maggiore è la violenza che Hegel impone al testo, maggiore è la prossimità teoretica del suo pensiero con Spinoza. Ma questa sua prossimità non è un avvicinamento lineare o progressivo; al contrario il movimento che Hegel compie nei confronti di Spinoza nel primo capitolo della Logica inizia con un distanziamento da Spinoza o almeno da Spinoza così come egli lo interpreta. All’idea di un cominciamento assoluto, dell’assoluto come cominciamento a partire dal quale ogni successivo sviluppo può essere solo degradazione e perdita dell’assoluto stesso, Hegel oppone un “fondamento assoluto” che vale simultaneamente come cominciamento e come fine, cosicché ogni movimento da esso è anche un movimento verso di esso, ogni avanzamento (Vorwärtsgehen) un regresso o una retrocessione (Rückgang).

Questo fondamento è ciò che si perde nell’immediatezza al fine di poter essere recuperato come la più intima verità della coscienza medesima. A questo punto Hegel ci dice che un simile movimento può essere paragonato a “lo spirito assoluto (che si mostra qual concreta ed ultima altissima verità di ogni essere [als die konkrete und letzte höchste Wahreit alles Seins sich ergibt] e “che al termine dello sviluppo liberamente si estrinseca e si abbandona (entlassend) nella forma (Gestalt) di un essere immediato”34.

Così lo spirito assoluto compare, o piuttosto fa la sua prima apparizione, scomparendo già nell’immediatezza. Hegel usa qui il termine entlassen, “abbandonare”, che potrebbe anche essere tradotto con “lasciar andare”, sottintendendo entrambi i significati del verbo, “lasciare la presa” e anche “licenziare”. Hegel corre il rischio di sembrare troppo vicino a Spinoza nell’affermare che il fondamento assoluto si sviluppa “abbandonandosi”, o per mezzo di un lasciarsi essere, e prova a evitare questo rischio sottolineando che la sostanza è qui diventata spirito o soggetto: essa agisce e rimane soggetto e oggetto del suo agire – in tal caso l’agire per mezzo del quale si esteriorizza per tornare in sé come fondamento, e però come fondamento conosciuto, non più immediato ma mediato. Il nulla da cui deriva non “è il puro nulla, ma un nulla da cui deve uscire qualcosa” (Der Anfang ist nicht das reine Nichts, sondern ein Nichts, von dem Etwas ausgehen soll)35. La linea dello sviluppo della scienza è perciò un circolo.

Hegel porta avanti l’analogia tra lo sviluppo della logica e il movimento attraverso cui lo spirito assoluto si lascia esteriorizzare come immediatezza, collegando tale movimento alla creazione di un mondo – il mondo – e perciò a una Genesi il cui dispiegamento è un ritorno in sé come risultato. I temi della Genesi e della Creazione rimandano a Spinoza, alla causa assente o immanente, come suggerisce Macherey a proposito dell’incipit della Logica, come il fatto di postulare la sostanza in quanto spirito potesse salvare l’assoluto dalla sua dischiusura (Hegel adopera il verbo entschliessen), dall’apertura di sé che è anche una dispersione e una perdita, un movimento dall’autoproduzione determinata al declino nell’indeterminatezza e nella caducità.

Fin qui Spinoza rappresenta per Hegel sia il principio della filosofia, come si legge nelle Lezioni sulla storia della filosofia, sia una o la filosofia del cominciamento, dell’Assoluto come cominciamento, del cominciamento assoluto. Spinoza non è solo l’interlocutore e avversario in relazione al quale la filosofia di Hegel si sviluppa, confrontandosi con lui, interiorizzandolo e togliendolo di volta in volta. Egli costituisce anche, al di là dei riferimenti diretti o indiretti all’Etica, un pericolo assoluto, il pericolo di un assoluto il cui dispiegamento non può essere concepito in base agli unici due schemi che Hegel esplicitamente ammette: un’origine il cui sviluppo può solo costituire perdita o degradazione, o un assoluto che evita un tale destino rimettendosi a una fine che è già contenuta nel cominciamento. Tale pericolo tuttavia non compare sulla scena in questo modo: l’attribuzione di una teoria dell’emanazione a Spinoza non è semplicemente un errore, ma possiede una funzione strategica. Serve a distogliere l’attenzione da ciò che minaccia Hegel dall’interno e non dall’esterno sotto forma di un pensiero orientale inassimilabile, ovvero a distogliere l’attenzione dagli esiti della pratica filosofica di Hegel i cui risultati non coincidono mai con le conclusioni e la cui indisciplinatezza deve essere sempre costantemente corretta e compensata da prefazioni e introduzioni che molto spesso esprimono quel che Hegel avrebbe voluto dire piuttosto che che ciò effettivamente ha detto. Se quindi, come sostengo, è possibile leggere la teoria hegeliana del divenire se stesso dell’assoluto come una polemica indirizzata non semplicemente contro il concetto di un assoluto immobile il cui sviluppo può consistere soltanto nella distruzione di sé, concetto che egli sostiene di aver rinvenuto nella prima parte dell’Etica, ma contro un concetto o dei concetti che Hegel ha incontrato nello tesso testo e che non ha riconosciuto, in che cosa consisterebbe quest’altro concetto rinnegato e quale sarebbe il suo rapporto con il problema dei cominciamenti?

Siamo di nuovo ritornati all’affermazione che Althusser ci ha tramandato e che abbiamo già considerato. Isolata da ciò che la segue e la precede, facendo appello a concetti che non spiega, è poco più di una calligrafia he abbiamo il compito di decifrare, ma che ci permette di cogliere, nonostante e contro tutte le resistenze di Hegel, quella parentela non riconosciuta che lo lega indissolubilmente a Spinoza, e precisamente proprio allo Spinoza da cui il filosofo distoglie lo sguardo: “La Logica hegeliana è l’Origine affermata e negata: forma primordiale di un concetto che Derrida ha introdotto nella riflessione filosofica: la cancellazione (rature)”.

In un certo senso la sintesi di Althusser corrisponde a ciò che abbiamo visto all’opera in Hegel: al principio lo spirito assoluto si abbandona, si lascia andare, si espelle nella figura (Gestalt) dell’essere immediato. Tuttavia questo auto-abbandono, che come forma di autodeterminazione è un modo di pensare ciò che Spinoza formula nei termini dell’esser causa sui della sostanza, deve essere preservato dal vero pericolo che secondo Hegel è presente nel testo di Spinoza, il rischio che lo spirito si abbandoni ad uno stato di perdita e decadimento.

Infatti non basta che lo spirito si recuperi come risultato, come fine, il pericolo che inerisce al sistema descritto poco sopra, il pericolo che la fine sfugga a se stessa, eclissandosi al momento del traguardo perpetuamente rinviato, disfacendosi anziché compiendosi in questo stesso movimento, non è tanto il pericolo di una diminuzione o di una scomparsa [dell’Assoluto], quanto quello di una disseminazione e di una deviazione. Così, per difendersi da questa possibilità Hegel deve ritornare sullo stesso passaggio in cui postula il cominciamento dello spirito come abbandono di sé, sul concetto di creazione in quanto apertura di sé dello Spirito, dischiusura (entschliessen) e rilascio di ciò che è in esso “contenuto”. Hegel identifica esplicitamente questo pericolo nel momento in cui costruisce il seguente argomento: per prima cosa nel corso del suo progredire lo spirito non può mai diventare altro, cioè vero Altro (ein wahrhaft Anderes) concepito in contrapposizione a un falso altro o ad un altro solo apparente (sebbene sia importante notare che Hegel non usa direttamente queste parole e non specifica in che cosa consista il contrario o l’altro del vero Altro) e in secondo luogo, “in quanto un tal passare” (il verbo adoperato è übergehen, trapassare, confluire) in un vero altro “ha luogo, torna poi anche a togliersi via”36. Il pericolo qui presente, segnalato dalla frase “in quanto un tal passare ha luogo” – o anche “si trovi ad accadere” (vorkommen), è precisamente il pericolo che lo Spirito diventi un vero Altro senza diminuzione né toglimento (Aufhebung), il pericolo che lo spirito non abbia esistenza separatamente da quell’Altro in cui è già sempre trapassato. Per sfuggire a questo pericolo, un pericolo che in un certo senso è costantemente implicato ma finora è stato scampato, anzi per scamparlo in modo necessario e definitivo invece che contingentemente o abbandonandosi al fato (anche se il fato finora ha favorito lo Spirito), lo Spirito non può rinviarsi alla fine del processo attraverso cui si realizza senza incappare nel rischio di scomparire nel suo vero Altro. Al contrario esso deve essere “la base che è presente e si conserva in tutti gli sviluppi successivi, quel che rimane assolutamente immanente alle sue ulteriori determinazioni”37. Naturalmente questa garanzia della presenza dello Spirito si limita a spostare altrove il problema e i suoi rischi: la presenza dello Spirito rischia di diventare reale, ovvero immanenza assoluta. Esattamente a questo punto in cui sia la posta sia i rischi della dialettica hegeliana raggiungono il massimo della chiarezza, la lettura di Hegel après et d’après [dopo e secondo] Spinoza, per usare l’espressione di Macherey, ci permette di tracciare una linea di demarcazione che renderà visibile la soglia in cui la Logica hegeliana si abbandona alla vera alterità a partire da cui non potrebbe più esserci alcun ritorno all’identità originaria. Non c’è bisogno di richiamare il rifiuto risoluto che Macherey oppone alla lettura proposta da Hegel della relazione sostanza–attributi – modi presente in Spinoza quale “rapporto gerarchico e cronologico”. Questi attributi non possono essere pensati come esteriori alla sostanza ma piuttosto devono essere intesi come “gli elementi di cui è costituita (o si costituisce)”38. Allo stesso modo la sostanza non può esistere prima degli attributi che sono, secondo la lettura di Macherey, “condizione della sua autoproduzione”39. Tornando al tema della Creazione, della Genesi, Hegel allo stesso tempo ritorna a Spinoza e alla lettura della Genesi sviluppata nella prima parte dell’Etica. Mi riferisco allo Scolio si Etica I, 33, in cui abbandonando il linguaggio emanantista della sostanza, degli attributi e dei modi, Spinoza dice semplicemente che “Dio non è stato prima dei suoi decreti, né potrebbe essere senza di essi (Deum ante sua decreta non fuisse, nec sine ipsis esse posse)”. Senza Origine non c’è Fine né unità in cui la diversità e la molteplicità dei decreti e degli enunciati possano essere risolte. Infatti seguire il testo ebraico della Genesi, come fa Spinoza, significa accorgersi che Dio esiste, crea, parla, vede e benedice tutto in un unico movimento, un movimento necessariamente senza cominciamento e senza fine. E questo movimento è un movimento di differenziazione e proliferazione il cui potenziale di realizzazione è senza limite e senza fine; Dio (o la Sostanza) si produce eternamente come l’infintamente differente. Questo processo senza soggetto e senza fine, per tornare all’espressione di Althusser, o questa dialettica è all’opera nei testi di Hegel ed è ciò che le sue categorie formali di negazione, toglimento e mediazione hanno il compito di arginare. Se Hegel si mostra così profondamente incapace di comprendere Spinoza, è senza dubbio perché la filosofia di Spinoza è già realizzata in Hegel quale suo vero Altro che egli è già diventato.

* Traduzione di M. Gatto e J. M.-H. Mascat.

  1. Louis Althusser, It is Simple to be a Marxist in Philosophy, in Essays in Self-Criticism, New Left Books, London 1976, p. 165.
  2. Gilles Deleuze, Nietzsche and Philosophy, Presses Universitaires de France, Paris 1962, p. 9.
  3. Ivi, p. 11.
  4. Emmanuel Lévinas, The Trace of the Other, in Mark C. Taylor (ed.), Deconstruction in Context, Chicago University Press, Chicago 1986.
  5. Jacques Derrida, Della grammatologia (1967), a cura di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano 1969, p. 45 (trad. modificata).
  6. Ibidem.
  7. Anonimo, “Dr. Althusser”, in Radical Philosophy, 1975, 12, p. 44.
  8. Louis Althusser, Essays in Self Criticism, cit., p. 131.
  9. Ivi, p. 132.
  10. Ibidem.
  11. Ibidem.
  12. Ivi, p. 133.
  13. Ivi, p. 137.
  14. Idem, Per Marx [1965
  15. Gilbert Mury, Matérialisme et hyperempirisme, in “La Pensée”, aprile 1963.
  16. Louis Althusser, Per Marx, cit., p. 174.
  17. Cesare Casarino e Antonio Negri, In Praise of the Common. A Conversation on Philosophy and Politics, University of Minnesota Press, Minneapolis 2008.
  18. Louis Althusser, Per Marx, cit., p. 175.
  19. Ivi, p. 176.
  20. Idem, Marx’s Relation to Hegel, in Politics and History. Montesquieu, Rousseau, Hegel and Marx, Verso, London 1972.
  21. Ivi, p. 182.
  22. Ibidem.
  23. Ibidem.
  24. Ivi, p. 184.
  25. Ibidem.
  26. Louis Althusser, Essays in Self-Criticism, cit., p. 135.
  27. Ibidem.
  28. Pierre Macherey, Hegel ou Spinoza, Editions Maspero, Paris 1979, p. 17.
  29. Ibidem.
  30. Ibidem.
  31. G.W.F. Hegel, Scienza della Logica, tr. it. di A. Moni, rivista da C. Cesa, Laterza, Roma-Bari 2004, vol. 1, p. 55.
  32. G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, tr. it. di E. Codignola e G. Sanna, La Nuova Italia, Firenze 1981, pp.135-136.
  33. G.W.F. Hegel, Scienza della Logica, cit. vol. 2, p. 602.
  34. G.W.F. Hegel, Scienza della Logica, cit., vol.1, pp. 56 -57 (trad. modificata).
  35. Ivi, p. 59.
  36. Ivi, p. 57.
  37. Ibidem.
  38. Pierre Macherey, Hegel ou Spinoza, cit., p. 92.
  39. Ivi, p. 78.
Questa voce è stata pubblicata in Hegeliana. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento