Guido Baggio, “Fuori prezzo, Lyotard oltre il postmoderno”, Pensa Multimedia, 2016


BAGGIO1

Emanuele Martinelli

emanue.martinelli@gmail.com
 
Guido Baggio, Fuori prezzo, Lyotard oltre il postmoderno (Lecce-Brescia, Pensa MultiMedia Editore, 2016, pp. 355)

 
 
Fuori prezzo, Lyotard oltre il postmoderno, di Guido Baggio, è un libro complesso. Il blocco centrale del saggio (capp. 5-8) ricostruisce dettagliatamente la lettura lyotardiana delle tre critiche di Kant, in particolare della Critica della facoltà di giudizio.

Come si evince dal testo, il congegno in grado di innescare lo sforzo intellettuale di Lyotard è un (hors de prix), un fuori prezzo, concepito sin dai primi anni e confermato, «attraverso il lavoro teorico di critica (nel senso […] kantiano)» (Baggio 2016, 56), dal sentimento sublime. Appoggiandosi alle opere kantiane, Lyotard svela diversi piani nel reale: dal più concreto e terreno, il sentimento, al più astratto e lontano dal senso, la regolarità tecnico-scientifica. L’attività genealogica di Lyotard procede a rebours fino a innestarsi nel primo e ultimo elemento materiale: il senso. Il sentimento spalanca a Lyotard un livello del reale “pre-logico” e “pre-soggettivo” ma a priori e trascendentale, un ricettacolo di emozioni che «la grandezza numerica non può comprendere» (Baggio 2016, 212). Lo scuotimento provato per l’assenza di forma, una elevar che è anche enlever, congiunge i diversi giochi linguistici e le diverse facoltà. Come mostra il dipinto surrealista di Max Ernst posto sulla copertina del volume, Jeune Homme intrigue par le vol d’une mosche non euclidienne, Lyotard coglie una rete di connessioni sensuali, elementari, in grado di sorreggere una rifondazione della comunità.
L’attività frenetica dell’immaginazione, un’apertura infinita in un soggetto finito, dovuta all’esperienza shoccante della grandezza sublime, consente, accolta dall’idea della ragione, i passaggi da un regime di frasi ad un altro. Sentire una incomprensibile differenza rompe l’equilibrio tra le facoltà trascendentali. L’immaginazione, eccitata dal sentimento, sprigiona una infinita fantasia. Dopo essersi liberata dal controllo delle forme concettuali, non riuscendo l’intelletto a moderarne l’euforia, cambia partner: solo un’idea della ragione potrà rispondere agli eccessi di una configurazione antropologica saltata, alle emozioni di un soggetto fuori controllo.

L’idea della ragione, nella concezione lyotardiana, è un passaggio, piuttosto che un punto d’arrivo. Un anello nella catena del senso. Lyotard chiama «cultura delle idee» (Baggio 2016, 277) l’abilità di riconoscere nel disordine della storia umana l’incerto manifestarsi delle idee morali. Il filosofo francese impiega abbondantemente la versatilità della ragione. Guido Baggio, puntualmente, evidenzia tale snodarsi dell’idea. L’ordine tra l’universale e il particolare, nella trattazione del giudizio riflettente, risulta invertito: «Il giudizio si distingue in determinante – la legge gli è prescritta a priori per cui dato l’universale il giudizio deve sussumere il particolare – e riflettente, per cui dato il particolare il giudizio trova l’universale. Di questo secondo tipo si occupa la Critica del giudizio» (Baggio 2016, 147).

La presentazione dell’“impresentabile”, l’attività della riflessione alle spalle dell’intelletto, implica, secondo un orientamento post-kantiano, la reinterpretazione del “presentato”. Il pensiero senziente, posto di fronte all’incommensurabile, contestando i parametri cognitivi e le regole del gioco linguistico scientifico-tecnologico, “de-costruisce” il soggetto. I fondamenti sono i circuiti e cortocircuiti del senso. Il soggetto è sfigurato, dislocato, laddove l’accordo è contingente: «La pre-logica trascendentale premette le forme aggettivali e avverbiali “soggettivo” e “soggettivamente”» (Baggio 2016, 173). In apertura al capitolo quinto, Pre-logica trascendentale, Baggio precisa lo statuto soggettivo a cui fa riferimento Lyotard: «L’io preso a riferimento nel giudizio riflettente è un io che si sta formando, che non è ancora Ich denke, che è ancora in costruzione nella fase di passaggio dal sensibile all’intellettuale» (Baggio 2016, 169). I titoli, identità/diversità, accordo/contrasto, interno/esterno e determinabile/determinazione, sono «modi soggettivi [non definitivi] di sintesi» (Baggio, 2016, 191).

Un modo provvisorio di non disaccordo tra le facoltà caratterizza, invece, il soggetto del bello. La contemplazione delle giuste proporzioni risveglia nell’immaginazione la disposizione a finalità non concettuali. L’immaginazione scopre un senso di sé non intellettuale e, rianimata, si prende gioco dell’intelletto. Le armonie naturali la colpiscono. I grandi esempi la informano circa la «pre-razionalità alla base del razionalismo» (Baggio, 2016, 269). Questa facoltà, paralogica, si diverte creando mostri logici e utilizzando in maniera distorta le categorie.

Contemporaneamente al recupero della forma di passaggio radicale, il sublime, prediletto perché in grado di ricucire il dissidio, il filosofo di Vincennes, dunque, riabilita tutti i dispositivi del giudizio riflettente. Guido Baggio esamina il giudizio estetico dal capitolo quarto, Il quasi trascendentale. Dal dissidio alla Critica (mi riferisco in particolare al paragrafo L’analogia: l’entrata in campo della Critica del giudizio), al capitolo ottavo, Sensus Communis.

Se, però, le giuste proporzioni, riflettendo stati dell’animo dimenticati, possibilità inespresse del soggetto, ostacolate dall’esigenza di funzionalità e performatività, istituiscono «l’accadere immediato del consenso» (Baggio, 2016, 269), la magnitudo sublime, presentando l’absolute non comparative magnum, rivoluziona letteralmente il soggetto costringendolo «ad un uso ancor più distorto [ma insufficiente] delle categorie» (Baggio, 2016, 264). Nel primo caso l’immaginazione, sollecitata, si distrae riaccordando l’intelletto, nel secondo caso, invece, frastornata dalla grandezza incommensurabile, è obbligata a prendersi sul serio. Lo sforzo dell’immaginazione comporta un retrocedere «pre-categoriale, ovvero pre-cognitivo e pre-prescrittivo» (Baggio, 2016, 172). L’arte celata nel profondo dell’animo umano «porta con sé il riferimento alla dimensione naturale e pone in evidenza la prospettiva propria di una potenzialità comune all’uomo e agli animali, ma che nell’uomo si distingue per la possibilità di negazione che essa presenta: la potenzialità del riflettere» (Baggio, 2016, 170). La riflessione trascendentale comporta un «riflettere-attraverso» (Baggio 2016, 193), un «porre in questione il guardare nel momento stesso in cui si guarda» (Baggio 2016 cit. Garroni 1990, 412). Il pensiero senziente, che nel sentimento sublime non è sostenuto dall’unità del soggetto, riordina le facoltà, le compara e assegna a ciascuna l’uso dei concetti che le appartiene. Traccia dei confini e ridisegna i territori di competenza.

È il carattere analogico a distinguere il giudizio riflettente.  L’analogia che, posta al centro delle tre critiche, le tiene in equilibrio. Baggio, a più riprese, sottolinea il legame tra il senso, il vero filo conduttore dell’opera di Lyotard, il pensiero e l’analogia. Tale marchingegno permetterà a Lyotard di accostare Wittgenstein a Kant. La vertigine del sentimento tra famiglie di frasi differenti. L’attesa del senso in compagnia di un soggetto ridotto a questa attesa di giustizia.

La comparazione, l’azione della riflessione trascendentale, riferendosi alla relazione sussistente tra i concetti in un particolare stato d’animo, assegna a ciascuna facoltà i concetti che le appartengono: «relazione che può essere di identità/differenza, di accordo/contrasto, di interno/esterno, di determinabile/indeterminabile (materia e forma)» (Baggio 2016, 184). Il luogo trascendentale smaschera il soggetto dispiegandolo in appendice alla temporalità estetica del senso. Il soggetto sostanziale, l’Ich denke, anche quando è diretto, come in una danza, dal gioco dell’immaginazione con l’intelletto, è una figura accidentale. La catastrofe è dietro l’angolo. Il senso di esaltazione che segue al senso di depressione delle nostre energie vitali, avvertito di fronte alla grandezza sublime, ha il potere di scomporlo. Tuttavia, nella teoria lyotardiana, è il dissenso stesso a restituire il soggetto al circuito del senso. La dissoluzione è la soluzione.

Lyotard, ricorda Baggio, è nella prospettiva del dissidio. Si tratta di una evoluzione discontinua, catastrofica e paradossale. La paralogia è il procedimento inventivo di cui si serve l’immaginazione per l’evoluzione del sapere. Paralogia e capacità d’immaginazione legittimano i passaggi tra i diversi generi di discorso. I giochi linguistici, avendo validità consensuale, limitata e provvisoria, non possono appellarsi «a nessuna metastruttura e a nessun metalinguaggio formale o sintatticamente corretto e coerente» (Baggio 2016, 109). Ogni sistema logico chiuso non può dimostrare la verità o la falsità delle proprie conclusioni. Lyotard, richiamando la teoria matematica delle catastrofi di Thom, isola il determinismo.

Chiamare in causa la manque, la mancanza, e interpellare il luogo vuoto, il residuo, sono tendenze inequivocabilmente post-strutturaliste, contestualmente, però, giustificano l’interesse di Lyotard per la Critica del giudizio e per l’immaginazione come facoltà di presentazione.

 

In questo caso il ruolo dell’esperienza soggettiva pre-categoriale facendo appello esclusivo al sentimento soggettivo di finalità, pone in luce il presupposto necessario a caratterizzare le modalità del possibile a cui fa riferimento necessariamente qualsiasi connessione tra senso e nome. Da qui la prospettiva del sublime kantiano come persistente nelle Aufgehobenen, nelle elevazioni che sono anche dissoluzioni, in quel presentare all’interno delle frasi ciò che viene inteso come assoluto in quanto non presentabile. Perché per presentare la presentazione … è necessaria la negazione di ogni possibilità di presentazione, ovvero è necessaria la deflagrazione che nel sentimento sublime trova la sua espressione. (Baggio 2016, 158)

 

Il giudizio riflettente, paragonato ad un arcipelago, connette le facoltà. L’analogia, incatenando le strutture del soggetto, accorda il sensibile al soprasensibile. Ma è «il sublime [il sentimento che] con il suo tratto violento e prorompente, ‘si erge’» (Baggio 2016, 251). Il giudizio estetico, in sostanza, realizza la sintesi più estesa, “pre-logica”, “pre-categoriale”, sebbene provvisoria e mai definitiva. Sintesi, “pre-soggettiva” e oggettiva, universale e particolare, tra fisica e metafisica. Tale rapporto di comparazione consente la reciproca legittimazione dei giochi linguistici e delle diverse facoltà.

L’immaginazione, nel suo sforzo infinito, trova riposo nell’accoglienza della ragione, l’idea, dal canto suo, fissa nella sua vuota formalità, trae ancor più beneficio dall’accordo. Lyotard, secondo l’accurata ricostruzione di Baggio, insiste sull’inversione della versione kantiana. Rilevando la presenza di illusioni trascendentali, passaggi paradossali dal sentimento alla morale, il filosofo francese sottolinea la sensualità delle idee e, specificatamente, «identifica la soggettività originaria con la materia» (Baggio 2016, 27). In caso contrario «‘si occulterebbe la differenza estetica’ e si occulterebbe il territorio del puro piacere» (Baggio 2016, 242). L’intera filosofia di Lyotard ruota intorno a questo centro: senso e significato. Nell’interpretazione di Baggio (nel testo viene citata la lettura di Garroni che sembra essere molto simile a quella di Lyotard) il dualismo è risolto nel senso e nel sentimento sublime: «‘Senso-sentimento’, naturalmente, ma nello stesso tempo e innanzi tutto ‘senso’ come condizione del significare, cioè, come condizione del far-senso dei significati dei concetti e delle parole» (Baggio 2016, 182, n. 40). Alla vacuità dell’imperativo categorico, puramente formale, è indispensabile la concretezza del senso. L’emozione e il disinteresse, irriducibili a grandezze numeriche, iniziano nell’estetica. Dato che «la sensibilità stessa contribuisce al sentimento» (Baggio 2016, 189), l’obbligazione morale non può sostituirsi all’affezione dello spirito, altrimenti, sostiene Lyotard, si utilizzerebbero «dispositivi e forme in un dominio a loro non pertinente» (Baggio 2016, 152). Tale sintesi transitoria e “pre-prescrittiva” tra il cielo e la terra, tra il sentimento e la legge morale, coincide con una materializzazione della forma. La ragione si incorpora nell’ascesa del senso. Lyotard ripercorre La critica del giudizio dall’angolatura del sentimento. Identità/diversità, accordo/disaccordo, interno/esterno e determinazione/determinabile (forma e materia), modi soggettivi provvisori di sintesi, si spiegano in seno alla temporalità estetica del sentimento. Il centro nevralgico della riflessione di Lyotard è l’infinito “ri-significare” del senso.

La presenza dell’ignoto provoca una riorganizzazione generale. La conformazione trascendentale è obbligata ad aprirsi all’evento deforme. Le strutture sintetiche sono costrette a riformarsi, ordinate, come sono, secondo presunzioni grossolane. Il regime di frasi di ciascuna facoltà, così come i giochi linguistici delle comunità, è subordinato alla materialità del sentimento: l’hors de prix, il fuori prezzo. La differenza incommensurabile. La grandezza assoluta che non ammette comparazioni. La qualità irriducibile e intraducibile nel linguaggio matematico: «Kant distingue tre concetti di grandezza: il quantum che è legato all’introduzione spazio-temporale della grandezza, la quantitas che si riferisce al numero, e la magnitudo che risponde all’introduzione di una relazione fra quanta del genere a > b» (Baggio 2016, 203).

L’oggettività, ciononostante, è conservata nell’elemento che, seppur trasmutando da soggetto a soggetto, non si trasforma in toto. Il sensus è comune e soggettivo. Un sentimento paradossale di cui non esiste un intuizione corrispondente nell’esperienza. Risponde a quel «colpo d’occhio» (Baggio 2016, 217) che mantiene il diverso: «La sintesi dell’apprensione dei dati sensibili dell’intuizione empirica è quel colpo d’occhio che mantiene il diverso insieme perché viene pensato nella grandezza estensiva. La sintesi della composizione, invece, deriva dalla riproduzione dei dati in un’unità da parte dell’immaginazione, unità da fornire all’intelletto affinché questo lo conosca» (Baggio 2016, 218). Il sensus communis, che ha caratteristiche completamente differenti rispetto al sensus inteso come sensazione alla base della conoscenza, costringe l’oggetto a predicare il soggetto. L’universalità e la necessita richieste dal sensus communis, infatti, non rispondono alle esigenze delle categorie dell’intelletto, ma si riferiscono, al contrario, all’immaginazione e alla riflessione che precedono la conoscenza degli oggetti.

Il notevole lavoro di Baggio, terminata l’analisi dei dispositivi kantiani, culminante nell’esposizione del senso comune, converge, nel nono ed ultimo capitolo, intitolato Comunità e condivisione, verso le aperture alla dimensione politica presenti nell’opera del filosofo francese. Lyotard, oltre il postmoderno, propone una rifondazione dal senso comune. Il filosofo di Vincennes riabilita, contro la razionalità tecnica dominante e l’ideologia liberista, la dimensione estetica del sentimento, considerandola, al contempo, il presupposto indispensabile alla realizzazione di una nuova trans-soggettività. A differenza del dovere morale, che implica un auto-costrizione, un comando, la resistenza dell’amore (il lavoro di resistenza è equiparato da Lyotard al lavoro dell’amore) lascia sperare in una nuova armonia. L’idea della ragione, il termine medio dell’analogia, deve istituire la comunità non limitandosi alla mediazione del dovere. Per sentire la legge morale è necessaria, quindi, oltre alle idee della ragione, la sensibilità: «Le passioni e gli interessi egoistici vengono indicati come caratteri essenziali per il progresso dell’umanità nella storia» (Baggio 2016, 323). Nella prospettiva di Lyotard, l’ideale della parità delle condizioni di dialogo, auspicata da Habermas, si rivela utopistico. L’insocievolezza, le passioni e gli interessi egoistici, com’è sottolineato da Guido Baggio nel capitolo conclusivo del libro, devono resistere al sistema che appoggia una socializzazione omologante. 

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