La critica immanente delle forme di vita: una teleologia emancipatoria anti-essenzialista


Eleonora Cugini

Università degli Studi di Padova

eleonora.cugini@studenti.unipd.it

 
 
 
Abstract: This paper focuses on the relation between Rahel Jaeggi’s theory of the Forms of Life and Hegel’s notion of Ethical Life, as it appears in Hegel’s Philosophy of Right. The paper begins by highlighting the scission between right and good, which is typical of liberal approaches to the moral right and excludes the ethical good from the philosophical debate. I emphasize how such distinction leads to a neutral attitude towards the good, which is seen as something pertaining only to individual choices. Starting from this scission, I will analyse Jaeggi’s attempt to bring the ethical dimension of a form of life back to the center of the philosophical debate, by recovering the traditional emancipatory approach of the Critical Theory and developing it through Hegel’s theory of Objective Spirit – in particular, thanks to the notion of Ethical Life. I will pay particular attention to the method of immanent critique adopted by Jaeggi. By exploring its negative aspects and its transformative ability, I will systematically stress the connection to Hegel. The negativity of the immanent critique, typical of Jaeggi’s method, will be explained as process of self-determination and self-realisation – to be understood as a historical-cultural and not as an essentialist. At the same time, the immanence of the normativity will emerge as what all enables the dialectic between the individual and the community.
 
Keywords: critical theory, forms of life, ethical life, freedom, normativity
 
 
 
1. Morale ed Etica
 

Le società liberali contemporanee sono dominate da quella che Hegel chiamerebbe Entzweiung, una separazione – una scissione intellettualistica – tra l’individuo e la collettività. Una simile scissione si manifesta in modo eminente nella separazione tra morale ed etica, ovvero tra la sfera di ciò che concerne il giusto e la sfera di ciò che concerne il buono. In tal modo le due sfere non solo non si parlano, ma soprattutto non possono farlo, in quanto è moralmente giusto, in nome della pluralità etica, mantenere un atteggiamento di neutralità e di indiscutibilità su ciò che è buono, il quale risulterebbe essere di esclusiva pertinenza di scelte o preferenze individuali.

È a partire da questa impostazione liberale del rapporto tra individuo e collettività che si articola l’argomentazione del saggio di Rahel Jaeggi Per una critica immanente delle forme di vita (cfr. Jaeggi 2015a, 13-29; trad. it., 119-140)[1], in cui vengono esposti dall’autrice i nodi teorici del suo progetto filosofico-critico, più ampiamente sviluppato nella monografia Kritik von Lebensformen (cfr. Jaeggi 2014a).[2]

Confrontandosi, dunque, con questa impostazione che a partire da Kant, si articola nelle posizioni di Rawls[3] e di Habermas[4], Jaeggi intende rimettere al centro del dibattito filosofico la dimensione etica delle forme di vita, recuperando non solo la tradizione della teoria critica, secondo cui è necessario cogliere all’interno delle dinamiche sociali le condizioni per l’emancipazione e la realizzazione della libertà, ma sviluppando tale approccio mediante un riferimento – a volte più, a volte meno esplicito – alla filosofia dello spirito oggettivo di Hegel, in particolare alla Sittlichkeit, che viene infine modulata dall’autrice in direzione pragmatista. Centrale, inoltre, in tale impostazione del problema, è una critica e una decostruzione dell’essenzialismo cioè di quell’approccio che parte dalla considerazione dell’esistenza di una natura umana astorica.

Nella strategia argomentativa di Jaeggi, ma anche nella sua impostazione fondamentale, si possono individuare tre centri nevralgici, non isolati tra loro, che è possibile – e forse doveroso – confrontare con il metodo hegeliano e specialmente nel modo in cui questo si dà nella sua filosofia pratico-sociale:

  1. La negatività della critica immanente come processo di autodeterminazione e autorealizzazione (trascendente se stesso), che dunque si caratterizza come uno sviluppo storico-culturale e anti-essenzialistico.

  2. L’immanenza della normatività come ciò che permette e tiene insieme la dialettica tra individuo e collettività (e quindi ne permette la critica).

  3. Un certo livello di inerzia e stratificazione che si dà nelle pratiche sociali.

 
2. La critica immanente come Selbstbestimmung negativa
 

Secondo Jaeggi la teoria critica, fin dalla prima Scuola di Francoforte, «non era esattamente ‘eticamente sobria’» (Jaeggi 2015a, 120) e dunque il suo contributo per la discussione contemporanea non consiste né nell’assumere una neutralità etica e né nel paternalismo di stabilire una «teoria perfezionista della vita buona» (Jaeggi 2015a, 121), in cui la norma o risulterebbe esterna oppure, qualora fosse interna, verrebbe comunque considerata ciò a cui la realtà deve (ri)adeguarsi.

Jaeggi elabora quindi un metodo critico immanente, che non si ponga semplicemente dal punto di vista delle norme – per quanto esse vengano riconosciute come interne alla realtà – ma che sia anche immanente a tale realtà: una critica che sia cioè anche condizione stessa dell’autodeterminazione delle forme di vita[5]. Al fine di evitare il rischio di paternalismo e perfezionismo, l’autrice rileva subito che la critica immanente è allora negativa: è «focalizzata sui problemi e orientata sulle crisi» (Jaeggi 2015a, 121) e tuttavia non è meramente decostruttiva[6].

Le forme di vita, cioè, si espongono alla critica immanente nel momento in cui in esse sorge un problema, o nel momento in cui falliscono o affrontano una crisi: esse sono, spiega Jaeggi, «casi di problem solving» (Jaeggi 2015a, 130). In tal modo la critica non solo coincide con l’autocritica delle forme di vita, ma assume anche una carica trasformativa reale (cfr. Jaeggi 2015a, 139).

Jaeggi mostra come sarebbe una strategia di problem solving la forma di vita del modello di famiglia offerto da Hegel nei Lineamenti di filosofia del diritto. Essa sarebbe cioè una risposta normativa alle esigenze normative di cambiamento in atto all’intero della famiglia tradizionale (una maggiore autonomia degli individui) e anche attorno a essa. Rahel Jaeggi sottolinea inoltre come Hegel sviluppi la sua visione confrontandosi con le alternative a lui contemporanee: da una parte, quella dell’amore romantico, che sopravvaluta gli aspetti sentimentali ed erotici del matrimonio e, dall’altra, quella della mera stipula di un contratto che non coglie l’elemento dell’amore come essenziale all’unità della famiglia[7].

Ciò che si può facilmente cogliere tanto nel metodo della critica immanete sviluppato da Jaeggi quanto nell’interpretazione di Hegel da lei offerta è un recupero della contraddizione hegeliana e una rielaborazione del ruolo che essa svolge nello spirito oggettivo[8]. La contraddizione infatti, in Hegel, non solo è quella categoria che nella Dottrina dell’Essenza “smantella” e critica la categoria di identità della «vecchia metafisica», facendo della differenza (cioè della negatività) la determinazione stessa dell’identità, ma – e anzi proprio per questo – è anche il motore e il cuore pulsante dello sviluppo storico-logico delle figure della volontà.

La struttura fondamentale del metodo di Jaeggi è profondamente hegeliana, proprio in quanto stabilisce che la relazione tra norma e realtà è una contraddizione dialettica e coglie in questa contraddizione l’essenza, o l’autodeterminazione, delle forme di vita, che ha uno sviluppo storico.

L’intreccio tra Leben/Lebendigkeit (vita/vitalità), Wirklichkeit (realtà effettuale) e Widerspruch (contraddizione), che è centrale in tutta la filosofia hegeliana, risulta essere proprio quello che è al fondo dello sforzo filosofico di Jaeggi. Tale intreccio non solo è quello che permette a Hegel di sviluppare una dimensione etica che sia il superamento della scissione tra individuo e società (e tra diritto e moralità) ma, in forza del suo significato anti-essenzialista, è anche ciò che gli permette di essere sempre continuamente produttivo di nuove realtà e nuove contraddizioni.

Tuttavia Jaeggi riconosce che nell’impostazione hegeliana (e anche marxiana) di questo intreccio si trova ancora un residuato o almeno un pericolo essenzialista (o monista): l’immanenza della contraddizione e il fatto che questa sia una (auto-)determinazione stabiliscono un legame troppo stretto tra norma e realtà, tra dover essere e essere. Jaeggi, seguendo la critica a Hegel di Dewey e MacIntyre e collocandosi in un solco pragmatista (Jaeggi 2015a, 137-140)[9], ritiene che una soluzione normativa a un problema normativo non è già insita nel problema, ma è un tentativo, una sperimentazione che può fallire o può riuscire. E soprattutto porta con sé un nuovo problema o una nuova crisi. Jaeggi intende dunque mettere in evidenza non solo che lo sviluppo delle forme di vita in quanto problem solving è un processo sempre aperto di apprendimento (Lernprozess) o di accumulazione di esperienza (hegelianamente un Erfahrungsprozess) fatto di sperimentazioni che possono sempre o fallire o riuscire, ma anche il necessario pluralismo delle forme di vita e dunque il pluralismo degli esperimenti di problem solving.

La virata pragmatista di Jaeggi, forse più che per lo stesso dibattito pragmatista contemporaneo, è interessante perché, mediante lo sperimentalismo delle forme di vita, risulta essere uno sforzo teoretico di fare del pluralismo (e della contingenza) della dimensione etica uno dei centri propulsori del metodo della critica immanente. Per l’autrice la riabilitazione filosofica di un dibattito etico non dovrebbe dunque perdere di vista la pluralità, la quale lungi dall’essere ciò su cui non si può discutere, è invece proprio il nodo cruciale per una critica immanente che non intenda stabilire autoritariamente delle norme esterne o l’inconsistenza della contraddizione tra realtà e norma[10].
 
 
3. La dialettica tra individuo e collettività: la Sittlichkeit
 

La riabilitazione della dimensione etica, nel progetto di Jaeggi, risulta essere tanto la riabilitazione di un discorso emancipatorio, quanto lo sviluppo di quest’ultimo in una direzione plurale e progressiva (non lineare) senza “scopo” o soluzioni predeterminati, ovvero anti-essenzialista.

La critica delle forme di vita infatti amplia e sviluppa in una direzione etico-sociale l’impianto che Jaeggi, su un piano antropologico, aveva già impostato in Entfremdung (cfr. Jaeggi 2005a)[11], in cui il concetto di alienazione, rielaborato in chiave anti-essenzialista, viene definito come un «disturbo del processo di appropriazione di sé e del mondo» e quindi come una «relazione in assenza di relazione».

Anche nella critica immanente delle forme di vita la nozione di “relazione” gioca un ruolo cruciale ed è strettamente legata al processo di autorealizzazione (cioè di appropriazione) di sé collettivo e inter-collettivo delle forme di vita.

È possibile allora confrontare questa strategia con l’eticità hegeliana. La Sittlichkeit è infatti la soluzione del rapporto tra individuo e collettività e rappresenta il superamento di una scissione tra queste due sfere. Hegel chiama il superamento di questa scissione wirkliche Freiheit, libertà effettuale. In essa l’idea del bene e la sua realizzazione coincidono, nella misura in cui il “bene” è tanto la stessa realizzazione corrispondente all’idea, quanto l’idea e la sua realizzazione della relazione dialettica tra individuo e collettività. L’eticità è cioè la dimensione propria della relazione contraddittoria dialettica tra norma e realtà in quanto è la dimensione propria della relazione dialettica tra individuo e collettività, e viceversa.

Nell’argomentazione proposta da Jaeggi la normatività di una forma di vita consiste propriamente nella capacità di realizzare se stessa, ovvero nella capacità di realizzare una data pratica sociale e ciò significa la capacità di «agire correttamente, in linea con le aspettative incluse in una data pratica» (Jaeggi 2015a, 128). Questo è forse il punto cruciale, dell’argomentazione, in quanto a questo livello viene stabilito il tipo di legame che c’è tra una norma e la sua realizzazione e in particolare il fatto che tale legame è proprio “l’essenza” delle forme di vita[12].

L’essenza delle forme di vita sarebbe dunque la relazione tra la realizzazione di una prassi e la norma che stabilisce quella prassi e come deve essere realizzata. La normatività delle forme di vita è cioè «etico-funzionale»: non si tratta di un insieme di convenzioni né di regolamenti e assunzioni implicite su ciò che è giusto o sbagliato, ma di norme interne a una determinata forma di vita – dunque non date esteriormente – che stabiliscono cosa debba essere fatto e come per corrispondere a quella forma di vita.

Le norme e la realizzazione delle norme non si trovano in una relazione esteriore non solo in quanto entrambe sono sempre il frutto di un processo di risoluzione dei problemi messo in atto dalle stesse forme di vita, ma soprattutto perché proprio questa non esteriorità è ciò che tiene insieme la dimensione individuale e la dimensione collettiva delle forme di vita. L’immanenza della normatività, ripresa da Hegel[13], è proprio ciò a cui Jaeggi fa riferimento per stabilire l’opportunità di una critica delle forme di vita mettendo soprattutto in luce l’inconsistenza di una loro dimensione privata o particolare: le forme di vita non «cadono dal cielo», ma sono da sempre già inscritte all’interno di una sfera di senso socialmente costituita. Allo stesso tempo la loro critica non consiste nel tentativo di una conciliazione tra la norma e la prassi ma proprio al contrario nel riconoscere la loro relazione contraddittoria come una continua tensione (auto)produttiva.
 
 
4. Forme di vita e seconda natura
 

Per Jaeggi le forme di vita sono «dei fasci inerti di pratiche sociali» (Jaeggi 2015a, 124), sono cioè degli ordinamenti formati culturalmente e storicamente che fanno parte della «sfera dello spirito oggettivo (in termini hegeliani)» (Jaeggi 2015a, 124), cioè della coesistenza umana, che includono un insieme di pratiche e le loro manifestazioni istituzionali.

La dimensione sociale delle pratiche si fonda, per l’autrice, nel fatto che «possono essere comprese soltanto sullo sfondo di una sfera di senso socialmente costituita» (Jaeggi 2015a, 125). Inoltre si tratta sempre di un insieme di pratiche differenti correlate tra loro «senza nondimeno venire a costituire una totalità chiusa e impenetrabile» (Jaeggi 2015a, 126).

Ma le pratiche sociali delle forme di vita hanno un’altra caratteristica fondamentale, che è quella di essere inerti: «mantengono cioè degli ‘elementi sedimentati’, delle componenti della praxis che non sempre sono accessibili, esplicite o trasparenti» (Jaeggi 2015a, 126). L’inerzia esprime dunque che le pratiche sociali sono tanto date quanto fatte, che esse si materializzano in istituzioni «e ancor più materialmente in architetture, strumenti e corpi» (Jaeggi 2015a, 126) e, infine, che hanno un carattere di abitudine e di sapere implicito.

Questa descrizione delle forme di vita sembra rimandare implicitamente alla nozione di seconda natura, che Hegel utilizza proprio per la wirkliche Freiheit nel §4 dei Lineamenti[14].

Interessante è notare come questo complesso e molto dibattuto concetto hegeliano (soprattutto nella sua accezione sociale) possa trovare nell’inerzia delle pratiche sociali costitutive delle forme di vita un’interpretazione anti-essenzialista. Jaeggi parla infatti di inerzia, abitudine e materializzazioni come ciò che non rende “volatile” l’insieme di queste pratiche sociali, sebbene esse siano continuamente esposte al cambiamento. Questo cambiamento infatti, come si è visto, ha comunque uno sviluppo storico e si caratterizza come un processo di apprendimento, di problem solving e di accumulazione di esperienze. Jaeggi sembra dunque sostituire quel nesso logico troppo stretto tra essere e dover-essere, che le sembra di trovare in Hegel (e in Marx), con una (più pratica e razionalmente connotata) forma di inerzia, data dagli elementi sedimentati in una certa forma di vita, che da una parte costituiscono e dall’altra permettono la sua storicità.

Sembra dunque che implicitamente Jaeggi critichi Hegel con Hegel stesso, offrendo – sempre implicitamente – un’interpretazione della seconda natura che ne sottolinei l’aspetto razionale e anti-essenzialistico, riconoscendola come una dimensione o un orizzonte di senso socialmente dato-e-fatto, che non rappresenta una naturalizzazione e un blocco del processo di apprendimento, di sviluppo e di riproduzione sociale.
 
 
5. Etica e identità
 

Nella ricostruzione di Jaeggi e nel suo obiettivo di rimettere al centro del dibattito filosofico la dimensione etica della domanda sulla buona vita, il riferimento alla Sittlichkeit hegeliana emerge proprio nell’urgenza di smantellare un punto di vista identitario e monistico.

Ciò che infatti non permette di parlare della dimensione etica è proprio un punto di vista essenzialistico che tende a privatizzare l’identità individuale, mentre, al contrario, l’etica è esattamente quella dimensione già critica, pratico-teoretica, che smantella qualsiasi forma di essenzialismo proprio mentre pone come centrale – e come sempre già sociale – la dimensione individuale.

Jaeggi recupera in questo senso la Sittlichkeit hegeliana, tanto nello stabilire un rapporto tra la dimensione teoretica e la dimensione pratica della critica, quanto nella critica alla “privatezza” dell’identità individuale, offrendo così anche un ribaltamento delle accuse di una totalità schiacciante l’individuo mosse a Hegel soprattutto nel secolo scorso.

Nonostante l’argomentazione di Jaeggi, per sua ammissione, assuma infine una virata pragmatista, con l’obiettivo di sottolineare la necessaria pluralità sperimentale delle forme di vita, tuttavia sembra presentare uno spessore teoretico-pratico ben al di là di un approccio squisitamente pragmatista[15] e che piuttosto risulta in grado di dischiudere un nuovo orizzonte nel metodo della teoria critica.
 
 
 
Bibliografia
 
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Note al testo
 
[1] L’edizione italiana è quella qui di riferimento per le citazioni e per il relativo numero di pagina riportato tra parentesi all’interno del testo.
[2] Questo libro è la pubblicazione della sua tesi per l’abilitazione, conseguita nel 2009 sotto la supervisione di Axel Honneth, a Francoforte presso la Johann Wolfgang Goethe-Universität.
[3] Jaeggi (2014a, 31-33) si confronta direttamente con le tesi di Rawls, facendo riferimento soprattutto a Rawls (1985, 223-252).
[4] Jaeggi (2014a, 33-38) si confronta direttamente con le tesi di Habermas, facendo riferimento soprattutto a Habermas (1991, 100-108, 1992 e 2009, 141-178).
[5] Jaeggi (2014b) oltre a sottolineare la “partigianeria” della teoria critica (in contrasto alla neutralità liberale), mette in evidenza come proprio nella descrizione delle forme di vita si possa fondare una validità della critica in quanto meta-teoria, ovvero che sia in grado di offrire una descrizione lontana tanto dal giudizio quanto dalla prescrizione normativa.
[6] Il metodo della critica immanente è sviluppato in Jaeggi (2014a, 277-309), in particolare per la “negatività” della critica immanente si veda Jaeggi (2014a, 302-304) e Jaeggi (2009, 266-295, in particolare 285-288; trad. it., 61-89, in particolare 79-83).
[7] Cfr. Hegel (1986b, §§ 158-181). Jaeggi sviluppa poi anche una critica della famiglia nucleare borghese proposta da Hegel, per avvalorare la sua interpretazione delle forme di vita come problem solving: la critica contemporanea alla visione di Hegel «della misoginia, forse anche della monogamia proprietaria e il rimando alla coscrizione militare […] si colloca nel solco di una normatività che è emersa da un processo di problem solving» (Jaeggi 2015a, 134). Cfr. anche Jaeggi (2014a, 216-227).
[8] Il ruolo della contraddizione dialettica nella critica immanente viene dettagliatamente argomentato in Jaeggi (2014a, 368-391).
[9] Cfr. inoltre Jaeggi (2014a, 342-355) dove l’autrice si confronta soprattutto con Dewey (1927 e 1938) e con MacIntyre (1984 e 1988).
[10] La pluralità di cui parla Jaeggi acquista un peso quasi categoriale nello sviluppo del metodo della critica immanente, assumendo i contorni di una “contingenza necessaria”. Sarebbe interessante confrontare questa impostazione offerta dall’autrice con la necessità della contingenza esposta da Hegel alla fine della Dottrina dell’Essenza nella Scienza della Logica: «Aber diese Zufälligkeit ist vielmehr die absolute Notwendigkeit (L’accidentalità è assoluta necessità)» (Hegel 1986a, 216; trad. it., 624).
[11] Per una critica all’approccio antropologico dell’autrice in questo libro si rimanda all’introduzione di Marco Solinas al volume da lui curato (cfr. Jaeggi 2015a, 21, n. 21).
[12] È proprio in questa impostazione che si radica il metodo della critica immanente, sviluppato da Jaeggi, in cui critica e autocritica coincidono.
[13] Su questo punto Jaeggi (2014a, 182-186) sviluppa uno stretto confronto con Hegel, in particolare con la parte finale del capitolo Definizione nella Dottrina del Concetto, nella Scienza della Logica (Hegel 1986a, 512-519; trad. it., 903-909).
[14] Jaeggi non parla né nel saggio qui trattato né in Jaeggi (2014a) della seconda natura hegeliana in riferimento all’inerzia delle pratiche che costituiscono una forma di vita. Tuttavia durante lo scorso Congresso della Hegelvereinigung (Giugno 2017) il suo intervento recava proprio il titolo Lebensformen, Sittlichkeit, zweite Natur: Zwei Formen von Materialismus. Riferimenti alla seconda natura si trovano in Jaeggi (2005b, 115-141; trad. it., 33-60, in particolare 41), in Jaeggi (2009, 294; trad. it., 88) e in Jaeggi (2015b; trad. it., 156). In queste tre occasioni, Jaeggi sembra riferirsi alla seconda natura rilevandone l’ambiguità, cioè di esprimere tanto la naturalizzazione, la datità e la ovvietà delle pratiche sociali (più che l’inerzia su cui si fonda la storicità delle pratiche), quanto la dimensione stessa in cui può emergere il punto di vista di una critica immanente (e quindi non esterna né interna).
[15] Mi riferisco al fatto che l’interpretazione di Jaeggi della Sittlichkeit hegeliana è comprensibile alla luce della Fenomenologia e viceversa. Questo legame è uno degli aspetti più interessanti e forse poco sviluppato della sua impostazione.
 
 
 

Questa voce è stata pubblicata in NUMERO 3, Una discussione a più voci. Rahel Jaeggi, "Forme di vita e capitalismo" (Torino 2016). Forum a cura di M. Solinas. Contrassegna il permalink.

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