Il marxismo e la “scuola romana” di Alberto Gianquinto Un ricordo tra affetti e teorie

Roberto Finelli

 

 

 

Alberto Gianquinto è morto il 20 luglio 2020 al Policlinico (“Umberto I°) di Roma. E’ morto, sfortunatamente e dolorosamente, da solo. Non per il Covid ma a causa del Covid, perché per una polmonite è stato ricoverato e sequestrato per circa quattro mesi, nei quali gli è stato impedito, a motivo delle regole generali ospedaliere anticovid, di incontrare anche qualcuno dei suoi cari più stretti, come la moglie Hannelore o una delle sue due figlie, Barbara e Silvia. E’ morto, si può dire, come aveva sempre vissuto, come un cavaliere solitario, profondamente coerente con se stesso e con le sue scelte, culturali, politiche e di vita, incapace di sottrarsi al coraggio e al richiamo di frequentare cammini inesplorati, nuovi, creativi, ma comunque gravidi di fatica e di solitudine. E’ morto da coraggioso, nell’isolamento, secondo l’intero costume della sua vita, austero, ma a ben vedere, ricco di sensibilità e di tratti di giovanile ingenuità, comunque sempre disposto, senza tentennamenti, a pagare le conseguenze dei propri atti e a rispondere in prima persona.

 

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