Luca Basso, “Agire in comune. Antropologia e politica nell’ultimo Marx”

Oscar Oddi

 

Il rinnovato interesse verso l’opera di Marx ha suscitato anche in Italia una nuova produzione di studi critici sul complesso itinerario del pensatore di Treviri, sorta prevalentemente in ambito accademico vista la riduzione ai minimi termini, non solo numerici, delle espressioni politiche e sociali che dovrebbero averlo come riferimento. All’interno di questo filone si colloca l’ultima fatica di Luca Basso “Agire in comune. Antropologia e politica nell’ultimo Marx”, Ombre Corte, Verona, 2012, pp. 247, € 20,00. Con l’ausilio dei  vari manoscritti che la nuova edizione critica delle opere di Marx e Engels (nota come Mega2) sta progressivamente mettendo a disposizione degli studiosi, Basso ripercorre alcuni snodi fondamentali del percorso marxiano tentando di proporne una lettura lontana dai tradizionali canoni. L’obiettivo prefisso è quello di tenere insieme l’oggettività dell’analisi del capitale e la politicità della soggettività di classe, rintracciando la loro relazione anche attraverso le instabilità che la caratterizzano. Per questo Basso intreccia la riflessione del Capitale con gli scritti storici e politici di Marx, così come respinge una lettura “logicista” del Capitale (si veda la scuola “logicista” tedesca, con Backhaus tra i principali esponenti, di cui è uscito in traduzione italiana, a cura di Riccardo Bellofiore e Tommaso Redolfi Riva, “Dialettica della forma di valore”, Editori Riuniti, Roma, 2009, pp. 549), che insiste sul fatto che la riflessione marxiana non scaturisce da dati ricavabili empiricamente. Il rischio di queste interpretazioni, pur con i loro meriti (ad esempio la messa in luce del legame tra valore e denaro), è per Basso quella di fornire una visione “teoreticistica” del Capitale, con relativo depotenziamento della sua politicità. Tema invece per Basso cruciale perché Marx, lungi da essere un organicista, in realtà pone un problema politico di fondo che corre lungo tutta la sua riflessione, quello dell’agire in comune delle singole individualità nel loro essere differenti (come già sviluppato in un suo precedente lavoro “Socialità e isolamento: la singolarità in Marx”, Carocci, Roma, 2008, pp. 240). In base a questa visione respinge ogni  lettura “comunitarista” di Marx. Spinto da tale convinzione Basso si concentra sui quaderni relativi agli ultimi 10 anni di vita di Marx, là dove questi abbandona il secondo e terzo libro del Capitale (come è noto saranno entrambi pubblicati da Engels che sistematizzò i manoscritti incompleti dopo la morte di Marx, e non è questa la sede per poter nemmeno accennare a tutta la critica, filologica e non solo, che da decenni si concentra sulle “manomissioni” engelsiane) e si getta in uno studio minuzioso di materie che vanno dalla geologia all’etnologia, dalla chimica alla matematica, all’antropologia. Basso rifugge dalla diatriba polemica sul Marx “maturo” (che alcuni separano da quello “anziano”) e quello “giovane” (“l’ultimo Marx” del sottotitolo va inteso in questo quadro) convinto della “sostanziale, anche se non aproblematica e lineare, continuità nel percorso marxiano”. Seguendone l’itinerario cerca allora di rinvenire le motivazioni che spingono Marx ad allargare gli orizzonti dei suoi studi. Di certo il passaggio dalle forme precapitalistiche a quelle capitalistiche è questione che lo impegna fino alla fine dei suoi giorni, essendo evidente come questo passaggio sia determinante per concepire quello successivo verso il comunismo. Sia nei Grundrisse che nel Capitale Marx affronta il problema. Basso nota come nei primi sia presente “un eccessivo schematismo nella convinzione secondo cui il capitalismo distrugga tutti gli elementi costitutivi delle forme precedenti, e in particolare eroda completamente gli assetti servili, sia sul piano economico sia sul piano giuridico: in realtà essi non sono mai scomparsi di scena dall’orizzonte capitalistico”. L’idea forte che emerge dai Grundrisse, indipendentemente da questo limite, è che con il capitalismo sorge una nuova antropologia, “quasi una sorta di “mutazione genetica” dell’umanità”. Nel Capitale il discorso si articola e sviluppa in sostanziale continuità rispetto ai Grundrisse, ma Basso segnala anche determinati significativi mutamenti. La questione viene problematizzata (si “complessifica” scrive Basso) non tanto rispetto al capitalismo e a quel che lo precede, ma rispetto “all’articolazione interna del capitalismo nella sua dimensione globale”. I riferimenti non si limitano alla Germania, all’Inghilterra e alla Francia, ma anche a paesi capitalisticamente non avanzati (come l’Irlanda), così come sono presenti (principalmente nelle note) accenni a paesi extraeuropei (sono vari i richiami all’America del Sud). Allargando l’orizzonte rispetto all’Europa si capisce come non dappertutto il capitalismo si sia sviluppato in termine di assoluto superamento delle precedenti strutture sociali, in modo particolare della schiavitù, che lungi dall’essere scomparsa, risalta anzi come funzionale al suo dispiegarsi. Non può esistere una prospettiva comunista se permane la schiavitù. Basso sottolinea come intorno agli anni sessanta dell’Ottocento Marx reimposta la questione della schiavitù, rimettendo in discussione ogni valutazione di segno “progressivo” della colonizzazione, senza per questo farne discendere una subitanea saldatura con i Postcolonial Studies. Sulla base di queste acquisizioni Basso analizza i quaderni antropologici dove Marx si concentra su Maine e Morgan (in italiano sono usciti, in parziale traduzione, “Quaderni antropologici. Appunti da L.H. Morgan e da H.S. Maine, presentazione di Luigi Capograssi Colognesi, postfazione di Alfonso M. Iacono, Unicopli, Milano, 2009). Il primo, giurista che aspirava a rifondare su base storicista una legittimazione ed una teoria della sovranità politica, pensa le società antiche come derivazioni dagli ordinamenti familiari patriarcali. Le istituzioni politiche antiche sono ricostruite per linee interne, come evoluzioni di elementi più piccoli di tipo familiare e parentale. La visione del progresso sociale di Maine si basa sul fatto che sono i fattori giuridici e morali a determinare la storia. Marx lo critica per non avere compreso la crucialità dei fattori economici, e la dipendenza dello Stato dalla società. Di gran lunga più centrale è Morgan (tra i fondatori degli studi antropologici). Egli mette in dubbio l’idea del fondamento delle società moderne in un sistema di tipo patriarcale, relativizzando così le forme sociali. Marx, nota Basso, “fa propria la tesi evoluzionistica in merito al rapporto fra storia umana e storia naturale, secondo un’ottica materialistica (…). Al centro della riflessione di Morgan non sta né il singolo uomo né il singolo popolo, bensì lo stadio della cultura”. Per Morgan la dissoluzione del principio di parentela costituisce la forza motrice della storia. Questo assunto, che implicitamente Marx fa suo (Engels lo farà suo esplicitamente), è in contraddizione con la tesi marxiana della transizione alla società civile. Per Marx le tribù delle comunità antiche erano nate  o da gruppi parentali o da gruppi locali; la sua è una teoria generale della collettività nelle sue varie forme, non solo della parentale. Da questo excursus Basso rileva sia le continuità che le discontinuità con le precedenti tematizzazioni marxiane. Da un lato sono riprese le acquisizioni riferite alla specifica differenza del sistema capitalistico rispetto alle forme precapitalistiche, dall’altro si delinea un quadro “più mosso” del capitalismo in confronto a quanto espresso in passato. Si spiega così l’interesse per la Russia di Marx, da cui scaturisce la famosa lettera di risposta a Vera Zasulič. Il nodo fondamentale su cui ruota la corrispondenza con la rivoluzionaria russa è se sia possibile o meno che la comune agricola russa (la obščina) porti al comunismo. La stesura  di questa lettera da parte di Marx è sofferta e travagliata, tanto da redigere quattro abbozzi successivi, molto più estesi, nota Basso che ha studiato con attenzione la genesi di essa, della versione poi spedita, dove è assente l’intera argomentazione contenuta nell’abbozzo. Qui Marx mette in luce l’ambivalenza della comune russa e il suo duplice possibile sbocco: il prevalere dell’elemento della proprietà privata sull’elemento collettivo o l’inverso. Fondamentale è comprendere quale delle due opzioni possa prevalere senza idealizzare l’elemento comunitario (Basso ribadisce più volte la totale alternatività del pensiero di Marx da ogni tentazione organicista, tutto teso invece alla realizzazione individuale, e questa è una acquisizione assolutamente determinante e del tutto condivisibile, forse però una riflessione ulteriore può risultare utile perché l’equazione tra visione comunitaria, il cui significato può essere sviluppato fuori da quello dal sapore regressivo che pure storicamente lo ha sovente contraddistinto, uguale organicismo contro realizzazione delle libere individualità, non è appunto una formula matematica indiscutibile, tanto che vi è chi sta lavorando su una ipotesi, sorgente sempre dentro l’orizzonte del “cantiere aperto” del corpus marxiano, che leghi sviluppo delle potenzialità individuali all’interno della comunità, in un intreccio in cui l’una necessita dell’altra per emergere e viceversa, si veda lo stimolante testo di Costanzo Preve Elogio del  Comunitarismo” Edizioni Controcorrente, Napoli, 2006, pp. 268) e tenendo nel dovuto conto come  in Russia non sia presente un “assetto” democratico. Per questo Marx segnala alla Zasulič come nel Capitale non si prevede né si esclude il possibile passaggio dalla comune russa al comunismo. Tale potenzialità ha però bisogno dell’irrompere della politica, poiché il problema non sembra risolversi sul piano teorico. Solo una rivoluzione russa, nei giusti tempi, può “salvare” la comune russa. Non si deve infatti dimenticare, e Basso lo fa giustamente notare, come Marx, le cui condizioni di salute si fanno sempre più precarie, stia cercando in quei frangenti di dare supporto alla nascita del primo gruppo “marxista” russo, facendo una scommessa politica nei riguardi della Russia. Al di là delle situazioni storiche contingenti, si ha l’ennesima dimostrazione, seguendo il filo del ragionamento di Basso, di come gli “orizzonti” geografici di Marx si fanno più vasti con conseguenti valutazioni più problematiche di paesi, come la Russia, su cui in particolare Marx nei suoi ultimi anni concentra la sua attenzione, rispetto ai primi suoi scritti, facendo però attenzione a non giungere ad una esaltazione della Russia, basandola poi tutta sulla lettera alla Zasulič, che, come visto, aveva anche determinate ragioni politiche. Seguendo queste riflessioni marxiane Basso rintraccia l’emergere della dimensione comune (Gemeinwesen) come vera posta in gioco, aperta a sviluppi imprevedibili, rimarcandone l’ambivalenza. Urge però una sua storicizzazione per impedire che tale concetto si configuri come “una sorta di astratto assunto metafisico” o come una “codificazione di uno stato di cose”. Così Basso analizza le parti del Capitale in cui si descrive la genesi dell’accumulazione capitalistica dove si rimarca il carattere di separazione individuale, che diviene un elemento strutturale dell’accumulazione stessa (importanti le pagine in cui Basso descrive il rapporto di Marx con le macchine, dove emerge come il suo referente polemico non sono le macchine di per sé, ma l’uso capitalistico di esse, che non è l’unico possibile). La proprietà privata si oppone al libero sviluppo individuale, dato che risulta funzionale alla logica di dominio, allo sfruttamento del capitale sulla forza – lavoro. Riemerge la questione dell’alienazione, argomento che ha riempito intere biblioteche. Si è già detto come Basso rifugge dalle classificazioni e differenzazioni tra il Marx giovane e quello maturo, ed anche sul problema dell’alienazione, come in realtà su ogni incrocio controverso della riflessione marxiana, rifiuta le “storiche” polarizzazioni, in questo caso, quella tra umanismo – antiumanismo. Dopo avere ribadito che quel che distingue l’impostazione di Marx, almeno dall’ Ideologia tedesca, è la destrutturazione della filosofia ma senza negare “la necessità di un’articolazione complessiva della riflessione”, Basso afferma che il concetto di alienazione da un certo punto in poi, perde la base ontologica che aveva nei primi testi, particolarmente nei Manoscritti economico – filosofici del 1844. Non si ragiona più sulla natura umana,  sull’essenza dell’uomo negata dal processo storico; ora, appunto  già nell’Ideologia tedesca, non è più al centro l’uomo come ente generico (Gattungswesen) ma gli “individui reali nella determinatezza del loro agire, all’interno degli ambiti sociali e politici nei quali si muovono, e non sulla base di un presupposto non fondato” (un diverso modo di vedere la questione natura umana è quella di considerare la sua storicità, quindi nessuna presupposizione, come caratteristica dell’uomo, non in quanto uomo astratto ma come ente naturale generico che è inscindibilmente naturale e sociale. Questi si aliena non appunto rispetto ad una sua origine ma rispetto alle sue possibilità ontologiche e antropologiche che il modo di produzione capitalista impedisce di sviluppare. Su questa ipotesi si veda di  Costanzo Preve Marx inattuale. Eredità e prospettiva, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, pp. 234, e Storia critica del marxismo. Dalla nascita di Karl Marx alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco, introduzione di Andrè Tosel, La Città del Sole, Napoli, 2007, pp. 312). Per Basso l’umanesimo del Marx dei primi scritti in realtà, pur affetto da vari limiti, era già proteso a ridurre ogni elemento essenzialistico, “configurandosi come un umanismo concreto, consistente nel conatus verso la realizzazione delle capacità e delle facoltà individuali. Era già presente uno “scarto” nei confronti di Feuerbach in quanto il Gattungswesen era immerso negli specifici rapporti politici e sociali, e non si delineava quindi come un’ipostasi astratta. Così non si tratta di basare il discorso sull’alienazione oppure di rifiutarlo completamente, dato che per Basso l’alienazione in Marx viene sempre più “svuotata” da un punto di vista ontologico, dentro un’ottica materialistica. Non più l’allontanamento da una presunta essenza umana, ora il centro del ragionamento è lo sfruttamento del capitale sulla forza – lavoro, con la logica di separazione cha la sottende. Nel Capitale il concetto di alienazione trova per Basso una originale riformulazione grazie all’analisi del feticismo delle merci, a indicare il fatto che il processo economico viene considerato naturale, come se appartenesse alla struttura delle cose e non a una determinata azione sociale di dominio. Grazie al feticismo delle merci il modo di produzione capitalista mostra i suoi segni distintivi: il travestimento, l’apparenza, l’opacità, il carattere illusorio e mistificatorio, che non vuol dire però pura irrealtà o semplice mistificazione, ma un loro sottile gioco di rimandi. Ma questo non basta. Per Marx, continua Basso, non si tratta solo di creare una critica teorica, bisogna che la riflessione sfoci nella politica, nello sforzo della trasformazione rivoluzionaria, che penetri dentro le fratture del sociale denotandone la non tenuta. Uno “scambio” tra conoscenza della realtà e suo mutamento. Irrompe il problema della classe, della sua costituzione, organizzazione e prassi politica, temi affrontati nell’ultimo capitolo del volume. Interessante e meritevole ad avviso di chi scrive di ulteriore riflessione è l’osservazione di Basso sul fatto che nel Capitale quasi mai è citato il proletariato ma al suo posto compare sempre la classe operaia. Ciò apre una serie di questioni cruciali rispetto alla classe “universale”, presunta portatrice intrinsecamente del rivoluzionamento del modo di produzione capitalista (poiché la coincidenza o meno del concetto “filosofico” di proletariato con quello “sociologico” di classe operaia, su cui lo stesso Marx oscilla, non è innocente; si gioca qui la partita decisiva del se, e come, quella classe “universale” sia concepibile e chi la “incarni” nella materialità della storia, il che comporta riconsiderazioni profonde su vari piani, da quello filosofico a quello storico, da quello economico a quello antropologico per arrivare ai territori propri della psicanalisi), che Basso risolve solo dall’angolo visuale del nesso necessario classe operaia – lotta di classe – movimento operaio, in parte perché, seppur in modo problematico, non sembra mettere in dubbio la capacità “intermodale” della classe operaia, in parte perché intento, di conseguenza e sotto la parziale influenza dalla cultura operaista, a dare riscontro alla lotta di classe come  trasposizione immediata, o quasi, della teoria, coerentemente con l’assunto di fondo della “politicità” del Capitale che si è già rilevato essere obiettivo del suo lavoro. Chi scrive ritiene che un grado di autonomia della sfera teorica debba esistere proprio per consentire una prassi adeguata, e che la teoria del modo di produzione capitalista di Marx non è “immediatamente” politica necessitando di figure che la “medino”, collocandosi la politica ad un grado inferiore di astrazione rispetto ad essa. Anche Basso rivendica una parziale autonomia della riflessione teorica rispetto alla pratica, così come mette in risalto le non pacifiche relazioni tra teoria e prassi che caratterizzano l’argomentare di Marx. Tuttavia si ha la sensazione che nel perorare la sua tesi, la volontà di rimarcarne la diversità rispetto ad interpretazioni prese come riferimenti polemici (tra cui le interpretazioni “teoreticistiche” del Capitale, come già detto all’inizio di queste note) conduca l’analisi ad accentuare implicitamente il “lato politico” subordinando eccessivamente ad esso la riflessione teorica (per una lettura fortemente “politica” di Marx si veda Stathis Kouvelakis “Filosofia e rivoluzione. Da Kant a Marx”, Edizioni Alegre, Roma, 2010, pp. 520). Certo è che  le vicende storiche presentano situazioni con cui i pensatori, se rivoluzionari, devono fare i conti. La Comune di Parigi pone per la prima volta la questione del governo della classe operaia, e Marx naturalmente non può esimersi dal confrontarsi con essa. Basso segue lo snodarsi delle riflessioni che quell’evento straordinario suscita in Marx: rottura della macchina statale borghese data la sua forma politica che frontalmente vi si contrappone (e si rimanda il lettore interessato al testo per l’analisi che Basso svolge di come Marx reimposti il suo discorso sul diritto, a iniziare dallo Stato, rispetto ai primi scritti), scomparsa della rappresentanza sostituita dal mandato imperativo, con la possibilità quindi di revoca dei membri, dittatura del proletariato non come semplice rovesciamento dei rapporti di forza ma come un cambiamento di coordinate (Basso sottolinea come la dittatura del proletariato non  definisce il comunismo ma la fase di transizione, come è scritto nella Critica del programma di Gotha e come già emerso nelle Lotte di classe in Francia). Tutta la riflessione marxiana è protesa nel far emergere gli elementi di “classe” della Comune, il suo formarsi come “governo della classe operaia” (un’antologia di scritti di Marx e Engels sulla Comune di Parigi sono stati pubblicati in italiano con il titolo di Inventare l’ignoto. Testi e corrispondenze sulla Comune di Parigi, introduzione di Daniel Bensaïd, Edizioni Alegre, Roma, 2011 pp. 264). Non gli sfuggirono però anche i limiti, specie dopo la sua tragica conclusione. In questa riconsiderazione critica svolta da Marx sulla Comune di Parigi Basso ravvisa un metodo su come affrontare i problemi che sorgono nella storia concreta, ovvero la continua rettifica del proprio iter da parte di Marx, in cui la politica non può che venire ricalibrata rispetto alle congiunture che man mano si determinano. Ma al di là delle singole contingenze, il fondamento della prospettiva di Marx è da Basso individuato nel tentativo di oltrepassamento del modo di produzione capitalistico, caratterizzato dal feticismo, nella sua modalità storicamente determinata, quella del lavoro salariato. Non una democratizzazione di esso ma la sua messa in discussione, questo contraddistingue il comunismo. Esso non si configura come uno sbocco obbligato ma una questione aperta per il futuro, dove l’”agire in comune” delle singolarità operaie possa trovare una “condensazione” politica adeguata ai loro bisogni e alle loro capacità”.

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