Dewey, Mead e il concetto hegeliano di riconoscimento

Emmanuel Renault

downloadABSTRACT: Instead of trying to actualize a Hegel read through Mead’s eyes, exactly as Honneth has proposed to do it, this article proposes to contextualize Mead read through the lens of pragmatic Hegelianism developed by Dewey and Mead. Dewey elaborated the main ideas of his pragmatism not against Hegel but through his philosophy, and particularly during the phase of his collaboration with Mead in Chicago. The first part of this article focuses on the nature and the role of the connections to recognition in the Hegelian phase of Dewey and Mead’s pragmatism. The second part seeks to resituate the classic themes of Mind, Self and Society in a Hegelian context. The third and last part examines how Dewey had to use the problematic of recognition not only in the domain of social psychology but also in moral philosophy and political theory.

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Tra i diversi fattori che alimentano l’interesse nei confronti della psicologia sociale meadiana svolge oggi innegabilmente un ruolo il modo in cui Honneth si è appoggiato a Mead per attualizzare la teoria hegeliana del riconoscimento1. Anziché cercare di attualizzare Hegel leggendolo attraverso una lente meadiana, si potrebbe tentare invece di contestualizzare Mead attraverso una lente hegeliana. Ciò cui ci stiamo riferendo altro non è che l’hegelismo di Dewey. Secondo un’idea a lungo diffusa Dewey avrebbe rotto con l’idealismo hegeliano al più tardi all’inizio degli anni 1890 e questa rottura gli avrebbe permesso di avvicinarsi progressivamente alle posizioni pragmatiste che inizia difendere alla fine degli anni 1890. Alcune pubblicazioni recenti hanno però mostrato come durante la sua fase pragmatista (dal 1896-1897 al 1910 circa), che corrisponde grossomodo al periodo di Chicago e alla collaborazione con Mead, Dewey sia invece rimasto apertamente hegeliano2. Ora, tra i molti elementi che Dewey riprende da Hegel, l’idea di una costituzione intersoggettiva dell’individualità sembra svolgere un ruolo determinante. Ripartire dall’hegelismo di Dewey e di Mead permette quindi di individuare le questioni che hanno consentito a entrambi di attribuire importanza al tema del riconoscimento. Ciò permette inoltre di comprendere in maniera genetica i differenti usi che hanno coinvolto questo tema una volta conclusa la fase hegeliana. All’interesse filologico di tale procedere contestualizzante e genetico si aggiungono altresì alcuni effetti di chiarimento rispetto al dibattito contemporaneo. Dewey e Mead hanno proposto un’interpretazione pragmatista di Hegel che da un punto di vista generale si oppone per vari aspetti all’interpretazione neopragmatista sviluppata oggi da R. Brandom3, e che, riguardo al riconoscimento, sarebbe piuttosto da avvicinare alla posizione sostenuta da A. Honneth.

Innanzitutto ci concentreremo sulla fase hegeliana del pragmatismo di Dewey e Mead e cercheremo quindi di chiarire il ruolo svolto dai loro riferimenti al riconoscimento. Dopodiché cercheremo di ricollocare i temi classici di Mind, Self and Society in tale contesto hegeliano. Da ultimo vedremo come Dewey ricorra alla problematica del riconoscimento non solo nell’ambito della psicologia sociale ma anche in quello della filosofia morale e della teoria politica.

 

Dewey e Mead hegeliani

Diversi studi hanno stabilito che la fase hegeliana di Dewey si prolunga fino alla fine del primo decennio del XX secolo e che ciò che distingue il suo pragmatismo da quello di Pierce e di James deve molto a metodi di provenienza hegeliana4. Fino al 1905, data del suo trasferimento alla Columbia, Dewey si dichiara hegeliano. Così nell’articolo The Knowledge Experience Again, scrive «sono abbastanza hegeliano da pensare che la conoscenza “perfetta” (e le sue connotazioni intellettuali e logiche) non sia una conoscenza» (MW 3: 179). Sempre nel 1905, questa volta in un articolo contenuto in The Influence of Darwin on Philosophy (1910), che è anche il suo intervento inaugurale in qualità di presidente all’American Philosophical Association, afferma: «non è questa la sede per addentrarsi nella complessa esegesi hegeliana, ma la subordinazione dei significati logici e delle esistenze meccaniche al Geist, alla vita nel suo movimento di dispiegamento, dovrebbe risultare da ogni interpretazione non distorta di Hegel. In ogni caso vorrei riconoscere il mio debito nei confronti di Hegel per quel che concerne le idee avanzate in questo articolo, il che non significa che esse rappresentino le intenzioni di Hegel stesso» (Beliefs and Realities, MW 3: 86). Si può concludere quindi che tutto ciò che nella critica è stato associato una rottura definitiva con Hegel è invece, stando alle parole di Dewey, già presente in Hegel stesso: a) la psicologia funzionalista, che il filosofo ritiene di trovare e di poter sviluppare meglio a partire da Hegel piuttosto che da James5; b) la teoria dell’arco riflesso che riduce gli stimoli a momenti interni a un processo, in cui fa riferimento a una concezione del processo che in una lettera a James considera come hegeliana6; c) infine, nell’articolo del 1908 intitolato Intelligence and Morals, una delle conseguenze filosofiche del darwinismo, vale a dire la sostituzione di un’ontologia fissista aristotelica con un’ontologia processuale, è anch’essa attribuita a Hegel che «eleva l’idea di processo al di sopra di quelle dell’origine fissa e dei fini fissi» (MW 4: 43).

I testi della prima fase pragmatista di Dewey in cui si riferisce positivamente a Hegel, dal 1896 (data dell’articolo sull’arco riflesso) al 1910 (quando pubblica The Influence of Darwinism on Philosophy)7, indicano che da Hegel egli riprende un’ontologia, un’antropologia, una psicologia, un’epistemologia, una filosofia sociale e una concezione della filosofia8. Sul piano ontologico Hegel è lodato per aver riconosciuto la dimensione processuale della realtà, per la sua esortazione al superamento di tutti i dualismi e per la sua affermazione della realtà delle relazioni. Gli elementi valorizzati da un punto di vista antropologico sono, da un lato, la tesi dell’unità di spirito e natura e la definizione dello spirito come ripresa riflessiva del processo vitale della natura, dall’altro la tesi dell’unità di anima e corpo e l’idea di abitudine come trasformazione della natura corporea e riappropriazione attraverso lo spirito della propria natura. Dal punto di vista psicologico ciò cui è attribuita maggiore importanza in Hegel sono la critica della psicologia delle facoltà, l’identificazione dello spirito con un insieme di attività, la tesi secondo cui l’insieme delle attività intellettuali e pratiche sono strumenti di affermazione della libertà (che è l’essenza dello spirito), e infine, correlativamente, un rifiuto della tesi intellettualistica che fa dipendere il valore della conoscenza dalla sua indipendenza rispetto a ogni motivo affettivo e ogni finalità pratica. Si giunge così ad attribuire a Hegel una psicologia funzionalista (la stessa che doveva prendere in considerazione James) e una critica pragmatista dell’intellettualismo che nella storia della filosofia sarebbe appunto ciò che caratterizza maggiormente Hegel (MW 3: 86). I riferimenti epistemologici positivi a Hegel sono meno diretti e meno espliciti ma sono altrettanto numerosi. Hegel è lodato in particolare per una concezione della filosofia che si pone l’obiettivo di rendere conto dell’esperienza e che si sforza di concepire il pensiero come un compimento delle energie della vita sociale in grado di ricadere sulla stessa vita sociale per migliorarla. Le Lezioni del 1897 rilevano così che la filosofia hegeliana subordina le questioni epistemologiche alle questioni etiche e politiche9. Esse presentano la filosofia hegeliana come una filosofia dell’esperienza e sottolineano che il valore del pensiero dipende in Hegel dal fatto che «lascia parlare i fatti», e che questa è la «più alta concezione del valore del pensiero» (1897, 95). Hegel è presentato come «a great actualist», in quanto per Hegel il valore di un’idea dipende da una realizzazione esterna (1897, 97). Ancora nel 1908, nel saggio Intelligence and Morals, Dewey spiega che l’identificazione del reale e del razionale ha come obiettivo quello di «presentare l’ordine sociale e morale come una qualcosa in divenire» e di «localizzare la ragione da qualche parte nei conflitti della vita» (MW 4: 43).

Il punto che ci interessa in questa sede riguarda la filosofia sociale. Ciò che sembra particolarmente valorizzato in Hegel è il tentativo di riconciliare una concezione della libertà con una concezione dell’individualità fondata nella natura e nelle istituzioni (1897, 113). Dewey si riferisce in realtà alle differenti tesi che si iscrivono nell’architettura della Filosofia dello spirito: 1) la tesi di uno spirito che riflette e trasforma la propria natura in una “seconda natura”; 2) la teoria del primato dello spirito oggettivo (le regole dell’agire divenute consuetudini e le istituzioni) rispetto allo spirito soggettivo (lo spirito individuale che pensa e agisce) e in particolare rispetto all’unità di corpo e anima su cui poggia (lo spirito naturale); 3) la tesi del primato della Sittlichkeit (la moralità incarnata nei costumi e nelle istituzioni) sulla Moralität (la coscienza morale del dovere); 4) l’idea secondo cui il mondo sociale deve essere governato dal diritto della libertà a realizzarsi; 5) la tesi secondo cui il mondo dello spirito oggettivo trova il suo fondamento nel movimento di una storia concepita come processo di educazione-formazione (Bildung) e affermazione progressiva di una libertà realizzata e riconciliata.

L’Hegel di Dewey è un filosofo che ha compreso il ruolo formativo delle istituzioni, la loro capacità di trasformare la natura animale dell’uomo e di formare le abitudini che costituiscono le basi della vita psichica e della vita morale. Ne risulta che «nella sua filosofia, la coscienza morale dell’individuo altro non è che una fase del processo di organizzazione sociale» (EW 4: 147)10. La tesi secondo cui la capacità di agire moralmente dipenda dal contesto istituzionale della condotta è solidale, in Hegel come in Dewey, con il primato della politica sulla morale11. Si tratta in questo caso di temi che Dewey non abbandonerà mai, come testimoniano le numerose critiche che rivolgerà ai tentativi di dissimulare i fattori sociali dei problemi morali, e come testimonia anche l’importanza che egli attribuirà agli effetti educativi delle istituzioni. L’idea della Sittlichkeit, in quanto contesto dei costumi e delle istituzioni che permettono la realizzazione della libertà, è determinante anche nella descrizione deweyana della democrazia come “etica” o “cultura” piuttosto che come quadro istituzionale di un regime costituzionale12.

In Hegel questi temi sono inscindibili dal fatto che la Sittlichkeit si produce nella storia intesa come processo di Bildung13 e dal fatto che vi produce differenti effetti di formazione-educazione. Come la vita psichica e sociale si fonda sulla fissazione, nella forma delle abitudini sedimentate, di un processo educativo sviluppato nella storia, allo stesso modo all’educazione è così conferito un ruolo decisivo per le differenti forme di realizzazione della libertà, compresa la sua forma politica. Il significato inglobante dato da Dewey all’educazione in Education and Democracy e il fatto che a volte presenta l’educazione come il problema filosofico più importante, resterebbero incomprensibili senza rendere conto di questo «residuo hegeliano permanente»14.

Dewey elabora le prime formulazioni della tesi della costituzione sociale dell’individualità partendo dal tema del primato dello spirito oggettivo sullo spirito soggettivo. L’Etica del 1908 attribuisce a Hegel una concezione istituzionalista che pone l’accento sulla dimensione sociale dell’individualità (MW 5: 207-208). Dewey non abbandonerà mai questa idea che si troverà invece riformulata nella tesi del primato del sociale, considerato come una «categoria inclusiva», nell’articolo “Social as a Category”15. Un aspetto particolare di questa tesi concerne la costituzione sociale dell’autocoscienza (MW 5: 388). Qui riprende anche l’idea che il riconoscimento reciproco e universale è essenziale alla realizzazione della libertà individuale (MW 5: 389).

Nello stesso periodo l’uso che Mead fa di Hegel è del tutto comparabile. Meritano particolare attenzione a tal proposito due articoli, Suggestion Toward a Theory of the Philosophical Discipline16 e la recensione di D’Arcy intitolata A New Criticism of Hegelianism: Is It Valid?17. Nel primo articolo Mead ricorre a Hegel per proporre una sistematizzazione delle discipline filosofiche; una sorta di riscrittura pragmatista dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche che prova fino a che punto il pragmatismo delle origini era ben lungi dall’essere unanimemente ostile al pensiero sistematico. Nel secondo articolo s’impegna in una difesa generale del metodo dialettico e sottolinea l’importanza della concezione dello spirito oggettivo interpretandolo come una teoria sociale del sé. Inoltre, sebbene il riferimento a Hegel sia meno esplicito, conviene prendere in considerazione anche un altro articolo (“The Working Hypothesis in Social Reform”) e un’altra recensione18 (della Psychologie du socialisme di Le Bon) del 1899.

L’interpretazione meadiana di Hegel è caratterizzata da un orientamento non metafisico, dall’interpretazione della realtà come processo, dalla concezione non dualista dei rapporti di natura e spirito, così come dalla tesi del primato del sociale rispetto all’individuale. L’interpretazione non metafisica di Hegel è chiaramente diretta contro l’idealismo britannico. Mead rileva che «l’hegelismo non può essere ridotto a un sistema metafisico che sostituisce la categoria del soggetto a quella della sostanza» e mette l’accento sulla novità della concezione hegeliana della filosofia: «la filosofia diventa un metodo di pensiero piuttosto che una ricerca di entità fondamentali» (NCH, 87). I temi hegeliani che permettono di giustificare questa interpretazione sono quelli presenti anche in Dewey, vale a dire l’identificazione dell’essere con l’effettualità, la critica della problematica della cosa in sé e la definizione della filosofia come ricostruzione razionale dell’esperienza: «La realtà risiede nell’esperienza immediata, e in essa deve essere ricercata. Il pensiero può solamente renderci coscienti del modo in cui agiamo e darci il vantaggio di una tecnica cosciente. Quando Hegel sostituì un metodo alla cosà in sé, si è immesso nella stessa strada intrapresa dalle scienze fisiche abbandonando la sostanza metafisica, o atomi democritiani, per dedicarsi alle leggi del movimento» (NCH, 89). Nell’articolo sistematico questa interpretazione non metafisica di Hegel si inscrive in una critica generale della metafisica, poiché questa è caratterizzata da un metodo che consiste nel fornire una soluzione illusoria ai problemi incontrati nell’esperienza, negando la realtà a una parte della situazione problematica (per esempio ai mezzi di distinzione come l’essenza e la parvenza) (STT, 4-5). Mead si ispira chiaramente alla critica hegeliana dei dualismi metafisici così com’è sviluppata nella Dottrina dell’essenza, ed è in senso hegeliano che è portato all’idea che l’esperienza deve essere considerata come una totalità di elementi in relazione o come un sistema organico: «questo mondo è un tutto organico di cui non si può cambiare alcuna parte necessaria senza cambiare il tutto» (STT, 9). Allo stesso modo in Dewey le considerazioni epistemologiche sono affrontate dal punto di vista di una critica del dualismo soggetto-oggetto (che l’oggetto sia una cosa fisica o un altro individuo) e di una critica della tesi secondo cui il mondo sarebbe costituito solamente di enti e non anche di relazioni (da cui in particolare l’idea secondo cui la filosofia deve rinunciare a concepirsi come una ricerca di enti) (NCH, 95).

Che Hegel per Mead come per Dewey sia un autore che permetta di interpretare l’azione tanto dal punto di vista del suo fondamento naturale e passionale quanto dal punto di vista del primato del sociale, è un dato che appariva particolarmente nei due testi del 1899. Seguendo gli hegeliani di St. Louis che interpretavano la teoria hegeliana dello spirito oggettivo dal punto di vista di una teoria umanista e razionalista della storia, anche Mead riprende da Hegel a) che il mondo sociale e la storia sono governati da dei principi; b) che lo sviluppo storico è legato a uno sviluppo del sapere; c) che questo costituisce un processo di realizzazione progressiva della natura umana19.

Ciononostante, il rapporto di Mead con Hegel si distingue da quello di Dewey sia nella sua forma sia nel suo contenuto. Dal punto di vista della forma è allo stesso tempo più selettivo, o meno ricco e differenziato, e più fondamentale. Mead rivendica una fedeltà di principio al metodo hegeliano (NCH, 88) e non solo un’ispirazione dai suoi temi, ed è questo che lo conduce a richiamarsi alla dialettica hegeliana20. Dewey aveva già proposto una reinterpretazione pragmatista della dialettica21. Mead sviluppa questa reinterpretazione sostenendo che il pensiero dialettico possa essere concepito come lo sviluppo di una «dialettica interna all’atto» (STT, 2) (intendiamo uno sviluppo delle dinamiche pratiche insieme alle le contraddizioni caratterizzanti una situazione problematica) e fa proprio del metodo dialettico il modo d’esposizione adeguato del pensiero pragmatista (STT, 17).

Dal punto di vista del contenuto, la specificità del rapporto di Mead con Hegel sembra risiedere soprattutto nell’importanza accordata alla definizione dell’individuo come sé integrato e come sé sociale. Darcy rimproverava al monismo hegeliano di non poter rendere conto della trascendenza dell’altro il che pone allo stesso tempo il problema epistemologico della conoscenza di un alter ego (nella sua opposizione alla conoscenza dell’oggetto) e il problema morale del conflitto tra egoismi. Sul piano epistemologico (o psicologico), Mead evidenzia che per Hegel un’autocoscienza individuale è sempre indissociabile dai rapporti di riconoscimento che essa intrattiene con altre autocoscienze. Contrariamente ad altri autori, come ad esempio Hobbes, Hegel presenta «il sé sociale come il nucleo del sé personale» (NCH, 94)22. Sul piano morale, ricorda che Hegel concepisce l’individuo come un sé integrato (il momento singolare della volontà libera è in effetti quello dell’unificazione del momento universale con il momento particolare della volontà, dei fini universali con le diverse disposizioni e motivi nelle diverse sfere di attività). Ora, questo sé integrato dipende esso stesso da un lato dall’unificazione delle diverse disposizioni particolari in un volere dotato di una dimensione universale grazie alle mediazioni istituzionali e alla loro azione educativa-formativa, dall’altro dipende da un sistema di divisione del lavoro in cui le differenti azioni individuali possono concorrere a un bene comune e permettere così un’identificazione con questo bene comune. Mead può quindi concludere che il conflitto delle autocoscienze non è né epistemologico (non rinvia cioè a un abisso tra la coscienza di sé e quella altrui) né ontologico (non rinvia all’esteriorità essenziale degli individui) ma fondamentalmente sociale, ossia politico: «i chiasmi tra individui nella coscienza sociale rappresentano (…) un punto in cui deve essere condotta una riorganizzazione» (NCH, 95).

A partire da questo periodo l’idea del sé integrato viene messa in relazione con la teoria hegeliana del riconoscimento. Infatti, è appunto riprendendo Hegel che Mead elabora una concezione originale del sé come organizzazione di differenti rapporti di riconoscimento: «Non c’è alcun dubbio che l’analisi immediata della coscienza rileva la natura essenzialmente sociale del sé. Dopo l’infanzia, vediamo che l’individuo riconosce la personalità altrui e che la concepisce prima di riconoscere e concepire la propria. E vediamo anche che la formulazione della sua propria personalità è il risultato dell’organizzazione di quelle degli altri» (NCH, 95). È da Hegel che Mead riprende sia l’idea secondo cui il sé si costituisce nelle relazioni pratiche e comunicative verso gli altri, che sono relazioni di riconoscimento (idee che, come si è visto, già Dewey attribuiva a Hegel), sia quella che un sé integrato è possibile solo dall’unione delle differenti forme di riconoscimento in seno al processo sociale.

 

 

Che cosa c’è di ancora hegeliano in Mind, Self and Society

Hans Joas ha sostenuto che al passaggio del secolo «Mead ha attraversato una fase hegeliana, prima di fondare il suo pragmatismo intersoggettivo»23. Crediamo però che ci siano ottime ragioni per seguire Gerry Cook quando afferma che Mead non ha in realtà mai rotto con il suo hegelismo giovanile, avendo egli invece «semplicemente smesso di parlare del suo metodo come di un metodo hegeliano o dialettico, riferendosi piuttosto al metodo dell’intelligenza riflessiva, scientifica o sperimentale»24. Il percorso di Dewey mostra proprio come sia del tutto possibile sviluppare temi pragmatisti elaborati partendo da Hegel senza più riferirsi esplicitamente a Hegel. Mind, Self and Society, in cui Hegel è quasi totalmente assente, ne fornisce appunto un esempio25.

I temi generali di quest’opera sembrano in effetti poter essere inscritti nell’eredità del pragmatismo hegeliano d’inizio secolo. La tesi dell’unità del biologico e del sociale; l’idea che gli individui e le autocoscienze non debbano essere intesi come enti indipendenti dalle relazioni in cui si trovano; il primato del sociale sullo psichico; l’idea che la società deve essere considerata come un processo sociale inglobante «logicamente anteriore agli individui» (ESS, 279)26 l’ideale normativo di un sé integrato27. Si veda per esempio ESS, 213-214.]; l’importanza delle condizione istituzionali dell’integrazione delle diverse componenti del sé28; all’inizio del XX secolo tutto questo veniva attribuito a Hegel, e tutto questo rimane determinante. D’altronde il procedimento di Mind, Self and Society sembra poter essere spiegato appunto attraverso quel metodo hegeliano che Mead riteneva così importante. Infatti, non è forse vero che Mead si impegna in un’impresa di unificazione sistematica delle prospettive biologiche, psicologiche e sociologiche, analoga alla sistematizzazione delle discipline proposta nel 1901?

A una lettura hegeliana di questo tipo sembra si possano rivolgere principalmente due tipi di obiezioni. Un primo modo di contestare che gli avvicinamenti tematici siano veramente significativi sarebbe sostenere che ciò che è veramente importante in questa opera è piuttosto il modo in cui questi temi sono riformulati su basi appunto non più hegeliane. A ogni modo è però sorprendente come queste nuove tesi restino almeno in parte enunciate in un linguaggio hegeliano. Da un lato, l’importanza data al concetto di processo è davvero stupefacente: non solo la società, ma l’esperienza sociale (ESS, 207) e il comportamento (ESS, 278) sono considerati come processi, così come anche il sé29. D’altra parte Mead quando tenta di far prevalere la prospettiva dell’«atto completo» (ESS, 101-103), quando interpreta il sé come la riflessione del «processo sociale» (ESS, 241, 262) o quando si interroga sulla costituzione del sé come «sé completo» (ESS, 214, 223), continua ad assumere un approccio olistico e totalizzante nei confronti dell’azione e della personalità. Infine, la categoria del riconoscimento continua a svolgere un ruolo decisivo su due livelli: quello della costituzione intersoggettiva e quello della realizzazione del sé.

Per quanto riguarda il primo livello, la costituzione dell’io, oggetto dell’autocoscienza, è tematizzato in riferimento al concetto hegeliano di riconoscimento reciproco: «Nell’esperienza immediata di un individuo che prende questa attitudine [quella altrui] appare un “me”. Questo sé è capace di mantenersi all’interno della comunità. È riconosciuto dagli altri membri nella misura in cui lui li riconosce. È a questa fase del sé che ci riferiamo come a quella del “me”» (ESS, 257). Riconoscimento significa qui allo stesso tempo identificazione attraverso l’altro e valutazione (valuation) da parte dell’altro in funzione di un insieme di norme sociali. È questa valutazione che fa del riconoscimento una delle condizioni del «rispetto di sé» (ESS, 264). Ma è altresì degno di nota che l’idea di riconoscimento agisce anche su un altro piano, quello dell’io. Come Hegel rilevava che due autocoscienze vogliono essere riconosciute non solo nella loro comune universalità (o dignità di coscienza libera) ma anche nella loro specificità (nell’uso particolare che fanno della loro libertà), allo stesso modo Mead afferma che un sé si vuole realizzare non solo come «me» ma anche come «io», in altre parole come un sé che reagisce in maniera singolare alle aspettative sociali. E anche da questo punto di vista la realizzazione del sé presuppone il riconoscimento: «siccome il sé è sociale esso è un sé che si realizza nella sua relazioni con gli altri» (ESS, 264). Mentre il «me» non ha che doveri, l’«io» non può realizzarsi senza opporre dei diritti a questi doveri in seno a un processo in cui si rivolge all’altro per vedere i suoi diritti «riconosciuti pubblicamente» (ESS, 260). È quindi sia in quanto «me» sia in quanto «io» che il sé deve impegnarsi in ciò che Mead chiama, secondo una formula pienamente hegeliana (il capitolo IV-A della Fenomenologia compara riconoscimento reciproco e gioco delle forze) il «gioco del riconoscimento» (ESS, 256).

Si può notare come l’idea della lotta per il riconoscimento, presentata qui da punto di vista etico, assume in Mead, e in Dewey come vedremo, anche un significato politico. The Philosophy of the Act evoca così la lotta di classe («class war») tra l’operaio e il datore di lavoro in termini “hegeliani”, che sono appunto quelli della lotta per il riconoscimento. Essa è effettivamente paragonata «ai conflitti di classe del periodo medievale» e determinata come una lotta per la realizzazione del sé attraverso una lotta per la trasformazione dell’ordinamento sociale: «ciò che caratterizza un tale sviluppo è che un nuovo individuo si realizza in se stesso prima di tutto in opposizione ai nobili e che dipende da questa opposizione per conservare la propria autocoscienza»30.

Una seconda obiezione potrebbe consistere nel trarre argomenti dalle critiche rivolte a Hegel in Movements of Thought in the Ninetheenth Century, e concludere che i temi e il linguaggio hegeliani di Mind, Self and Society possono avere unicamente un senso non hegeliano. È vero che i passaggi dedicati a Hegel in queste lezioni, così come in quelli di The Philosophy of the Act, sono rivolti contro gli stessi principi della filosofia hegeliana, interpretati stavolta alla maniera dell’idealismo britannico, che era ricusato da Dewey e Mead al passaggio del secolo. Hegel è qui presentato come l’autore di una metafisica dell’assoluto (la differenza di soggetto e oggetto sarebbe riassorbita nell’auto-sapersi dell’assoluto)31 di tipo intellettualistico (non ci sarebbe altro processo se non quello del pensiero). D’altro canto è sorprendente come in Movements of Thought tutta la presentazione dell’idealismo tedesco sia orientata alla valorizzazione di alcune tematiche hegeliane che Mead cerca apertamente di fare apparire come all’origine delle proprie tesi: 1) Hegel è lodato per essere stato l’iniziatore del pensiero evoluzionistico; 2) gli è attribuito il merito, condiviso con Fichte e Schelling, di aver esplicitato la realtà come processo e di aver affermato che le forme emergono dal processo come dall’esperienza32; 3) a questi tre autori è riconosciuto anche di aver rivalutato l’esperienza reintegrando il mondo nell’esperienza del sé33; 4) di aver sostituito alla concezione statica del sé, sostanza semplice creata da Dio, una concezione processuale34; 5) a Hegel non è attribuito soltanto il merito di aver rappresentato un progresso sotto questi diversi aspetti ma anche quello di aver affermato che nella natura e nello spirito si sviluppa una un’unica vita35; 6) come all’inizio del secolo, Hegel è presentato come il primo ad aver compreso che il pensiero è fondamentalmente un tentativo di risoluzione riflessiva delle difficoltà incontrate nell’esperienza36 , e che il pensiero ha la capacità di ricomporre l’esperienza37; 7) allo stesso modo Hegel è lodato per aver affermato che è in quanto animale sociale che l’individuo arriva veramente a dominare il proprio ambiente, e «che è in quanto sociale che può diventare se stesso»38; 8) la grandezza della filosofia hegeliana consiste infine anche nel fatto che essa ha interpretato la storia come trasformazione progressiva delle istituzioni. L’insieme di tutti questi temi svolge un ruolo decisivo in Mind, Self and Society.

 

 

Psicologia, etica e politica del riconoscimento in Dewey

Negli scritti della fase non hegeliana del pragmatismo deweyano la questione del riconoscimento è meno centrale di quanto non lo sia in Mead, essa interviene tuttavia in diversi ambiti e svolge spesso un ruolo decisivo. Nel modo in cui questo tema viene utilizzato è a volte visibile la traccia della sua provenienza hegeliana. L’interpretazione della conflittualità sociale in termini di lotta per il riconoscimento ne è un esempio. Anche se il più delle volte l’uso deweyano del concetto di riconoscimento sembra essere più direttamente legato a Mead che all’origine hegeliana dei temi meadiani.

Così com’è formulata in Human Nature and Conduct, la psicologia sociale di Dewey è fondata sul concetto di abitudine e non, come in Mead, su quello di riconoscimento. In essa non è conservata nemmeno la tesi della costituzione intersoggettiva dell’individualità e in diversi testi degli anni 1930 Dewey riprende la problematica meadeana della vulnerabilità intersoggettiva del rispetto di sé. Sul piano dei principi della psicologia sociale deweyana, la problematica hegeliana del riconoscimento non svolge un ruolo decisivo o chiaramente identificabile. Ciononostante essa è utilizzata, nella sua versione meadiana, in diverse analisi applicate concernenti l’organizzazione del lavoro e gli effetti della precarietà e in generale del lavoro. Tocchiamo qui un altro punto di divergenza notevole tra le psicologie sociali di Mead e di Dewey: la centralità che è attribuita dal secondo al lavoro (e che è a volte interpretata come un’eredità hegeliana)39. Dewey fa del lavoro il fattore principale di sviluppo delle capacità e di unificazione del sé40. Fa altresì del lavoro la «chiave della felicità» sottolineando l’importanza di poter contribuire in maniera produttiva alla vita sociale e di vedere riconosciuta l’utilità sociale delle proprie capacità41.

Non stupisce quindi che si sia impegnato in analisi critiche rivolte all’organizzazione del lavoro, alla precarietà e alla disoccupazione dal punto di vista degli effetti di riconoscimento che producono. Nell’articolo “Psychology and Work” il principio secondo cui il lavoro dovrebbe essere accompagnato da forme di riconoscimento sociale delle capacità e delle competenze è sviluppato prendendo spunto da una lettera in cui un operaio descrive la frustrazione che prova nel suo lavoro nella fabbrica taylorista. Dall’analisi di questa lettera Dewey trae una critica delle condizioni di lavoro diffuse nell’industria e l’idea che il lavoro potrebbe forse essere organizzato più efficacemente se gli operai potessero ottenere delle forme più soddisfacenti di riconoscimento. Anche la critica alla precarietà del lavoro e alla disoccupazione è a volte condotta dal punto di vista di una psicologia sociale del riconoscimento. Siccome la professione è sia un fattore essenziale di unificazione del sé sia una delle principali fonti del rispetto di sé, non stupisce che Dewey faccia della precarietà del lavoro, che considera un tratto generale della situazione economica dell’epoca (e non solo un effetto della crisi del 1929), un fattore di distruzione dell’individualità e del rispetto di sé42. Allo stesso modo nel caso della disoccupazione Dewey sembra convinto che sia impossibile rendere conto dell’esperienza di questa situazione sociale specifica senza tematizzarla da un punto di vista psicosociale. Inoltre, sempre nello stesso scritto afferma che la gravità delle incidenze morali e psichiche di questa esperienza sociale ha eguali solo nell’ignoranza che abbiamo rispetto alla sua natura specifica, e individua in ciò una causa della distruzione dell’individualità e del rispetto di sé.43 La teoria hegeliana del riconoscimento è altresì evocata nell’ambito della teoria sociale e politica. In questo caso il riferimento è più direttamente hegeliano poiché concerne il tema della lotta di classe per il riconoscimento. I primi capitoli delle Lectures in China (1819-1820), propongono una filosofia sociale che anticipa le posizioni di Bourdieu e Honneth. I gruppi sociali sono descritti come entità primordiali di una vita sociale in cui entrano in relazione all’interno di rapporti di dominio44. Questi rapporti sono descritti nel linguaggio hegeliano del riconoscimento, all’occorrenza riferendosi alla relazione dominio/servitù45. I gruppi sociali dominanti monopolizzano il riconoscimento facendo apparire i loro interessi particolari come universali e negando qualsiasi vero significato sociale all’attività dei gruppi dominati46. Non resta dunque loro altro che impegnarsi in una lotta per vedere riconosciuto il valore del loro contributo alla vita collettiva (Dewey cita su questo punto l’esempio dello sviluppo del movimento operaio e delle lotte femministe)47. Nell’insieme del corpus deweyano le Lectures in China sono il solo esempio di pubblicazione o di conferenza pubblica in cui è sviluppata una teoria sociale sistematica articolando teoria sociale e teoria politica. Il ruolo che le Lectures attribuiscono all’idea di riconoscimento deve quindi essere attentamente preso in considerazione. È chiaramente partendo da Hegel che Dewey affronta il problema, che considera fondamentale, del dominio sociale: esso non è definito solo in termini di privilegi ma anche di distribuzione ineguale del riconoscimento sociale. È poi sempre in riferimento a Hegel che Dewey immagina il modo in cui il dominio sociale può essere all’occorrenza limitato attraverso l’intermediario di una lotta per il riconoscimento. Mentre nei testi degli anni 1930 (Individualism – Old and New, Liberalism and Social Action, Freedom and Culture) Dewey opporrà allo schema marxiano della lotta di classe una concezione dell’evoluzione sociale fondata su fattori di continuità come il progresso delle forze produttive e lo sviluppo della democrazia, le Lectures in China riconoscono invece largamente il ruolo della conflittualità sociale.

Lo schema del riconoscimento è infine utilizzato nell’analisi delle fonti della normatività sociale. Nell’articolo “Three Indipendent Factors in Morals”48, Dewey distingue tre fonti della normatività che corrispondono altresì a tre tipi di criteri morali. Le morali del bene si fondano su una prima fonte di normatività che concerne il perseguimento dei fini suscettibili di soddisfare i bisogni e i desideri. Le morali della legge, che invece si fondano sulla necessità di vedere rispettate le condizioni della vita collettiva. Dewey considera infine che il terzo tipo di teoria morale, fondato sul concetto di virtù, rinvii alla tendenza a lodare e biasimare gli altri in base alla qualità della loro condotta anche quando queste condotte non possono essere giudicate né dal punto di vista del bene né dal punto di vista della legge. Questa tendenza è indissociabile dalla ricerca di lode e approvazione. I passaggi dedicati a questa terza fonte di normatività sembrano rinviare più direttamente alle morali della simpatia che alla teoria hegeliana del riconoscimento. Ciononostante, nella misura in cui si può ritrovare l’eco di alcuni temi meadiani è possibile anche ricondurli alla problematica del riconoscimento.

 

Si potrebbe pensare che quello di Honneth sia un tentativo di usare Mead per attualizzare Hegel, e che questo sia indice di una ricostruzione retrospettiva che fa violenza sia a Hegel, sia alle problematiche specifiche di Mead. Rapportare le analisi meadiane al loro contesto originario, ossia al pragmatismo hegeliano che condivideva con Dewey all’inizio del XX secolo, conduce al contrario a scoprire negli autori delle intenzioni analoghe a quelle di Honneth. Il pragmatismo di Dewey e Mead trae gran parte della sua specificità dalla volontà di procedere con un’interpretazione non metafisica, naturalista e sociologica di Hegel, che nelle loro intenzioni procedeva innegabilmente da una volontà di attualizzare la filosofia hegeliana, ovvero di riformularla alla luce delle evoluzioni sociali, degli sviluppi del sapere scientifico e delle trasformazioni della cultura. Secondo Dewey e Mead la teoria hegeliana del riconoscimento costituisce innanzitutto una fonte di ispirazione (durante il loro periodo hegeliano). Da questo seguono una serie di trasformazioni e spostamenti fecondi e diversificati i cui echi sono udibili in Lotta per il riconoscimento di Honneth. La tesi della costituzione intersoggettiva dell’autocoscienza è interpretata sul piano della psicologia sociale e della teoria morale e allo stesso tempo i conflitti politici e l’evoluzione sociale sono analizzati in termini di lotta per il riconoscimento. Se dunque si confronta la maniera in cui Dewey e Mead si sono appropriati della tematica hegeliana del riconoscimento con i dibattiti contemporanei, si dovrebbe senza dubbio individuarvi, paradossalmente, una più grande affinità con l’attualizzazione francofortese (di Honneth) che con l’attualizzazione neopragmatista (di Brandom).


 


Traduzione di Manuel Guidi


 

 

  1. A. Honneth, Lotta per il riconoscimento, Il Saggiatore 2002.
  2. L’idea secondo cui Dewey avrebbe rotto con l’hegelismo a partire dagli anni 1880 o 1890 proviene dal fatto che la sua critica dell’idealismo britannico è stata letta erroneamente come una critica dell’hegelismo. Voltando le spalle all’idealismo britannico, Dewey non abbandonava Hegel ma passava da un’interpretazione metafisica e teologica della filosofia hegeliana a un’interpretazione non metafisica e umanista difesa dagli hegeliani di St. Louis. Sullo hegelismo di St. Louis si vedano le introduzioni di Michael H. DeArmey e James Good in The St. Louis Hegelians, Bristol, Thoemmes Press, 3 vol., 2001, e di James Good in The Journal of Speculative Philosophy, 1867-1892 (JSP), 22 vol. (reprint, Bristol England: Thoemmes Press, 2002), 1: v-xx.
  3. Per un confronto tra le interpretazioni pragmatiste e neopragmatiste di Hegel, mi permetto di rinviare a E. Renault, « Hegel’s Naturalist Pragmatism » – di prossima pubblicazione – per Critical Horizons.
  4. James Good, A Search for Unity in Diversity. The “Permanent Hegelian Deposit” in the Philosophy of John Dewey, Lexington Books, 2006. Secondo J. Good andrebbe relativizzata l’importanza di James nella formazione del pragmatismo di Dewey, costituita largamente da una fonte eterogenea, hegeliana; su questa controversia si veda Dewey’s “Permanent Hegelian Deposit”: A Reply to Hickman and Alexander in “Transactions of the Charles S. Peirce Society: A Quarterly Journal in American Philosophy », Volume 44, Number 4, Fall 2008.
  5. In The Theory of Emotion (1894-1895) si trova l’affermazione secondo cui la teoria di James sarebbe anticipata da Hegel (EW 4 :171).
  6. Lettera di Dewey a James del 27 marzo 1903.
  7. Le ragioni per cui in seguito ha smesso di riferirsi così spesso e così positivamente a Hegel riguardano in particolare la sua partecipazione all’impegno bellico in German Philosophy and Politics (1915), un testo in cui tuttavia la critica hegeliana di Kant rimane determinante. Si veda in particolare James A. Good, “Dewey’s ‘Permanent Hegelian Deposit’ and the Exigencies of War”, Journal of the History of Philosophy 44, no. 2 (April 2006), p. 293–314. James Scott Johnson, « Dewey’s Critique of Kant », Transactions of the Charles S. Peirce Society: A Quarterly Journal in American Philosophy, Volume 42, Number 4, Fall 2006, p. 518-551.
  8. Per questi punti ci permettiamo di rinviare a E. Renault, « Dewey et Mead hégéliens », à paraître dans A. Cukier E. Debray (dir.), La théorie sociale de George Herbert Mead, 2012 aux éditions La Découverte.
  9. Cfr. J. R. Shook, J. A. Good, John Dewey’s Philosophy of Spirit, with the 1897 Lecture on Hegel (cite 1897), Fordham University Press, 2010, p. 103-104.
  10. Nella stessa pagina dell’articolo Moral Philosophy, Dewey insiste sul fatto che Hegel è il punto culminante della tendenza a «sostituire la vita della società alla ragione formale” della moralità kantiana, e a tradurre l’imperativo categorico «nella coscienza da parte dell’individuo del suo posto nell’organismo sociale”.
  11. Cfr. Ethics and politics, EW 3, 371-373.
  12. Su questo punto si veda « Creative Democracy. A Task Before Us » e The Public and its Problems, cap. V.
  13. L’idea della storia come processo di “Bildung” era al centro dell’interpretazione di Hegel sviluppata dagli hegeliani di St. Louis. Invece che considerare la filosofia hegeliana come una filosofia dell’assoluto, concentrandosi principalmente sulla Scienza della logica, alla maniera dell’idealismo britannico, questi hegeliani non metafisici si appoggiavano principalmente sulla Fenomenologia dello spirito e sulla Filosofia dello spirito traendovi che l’essenza dello spirito è la libertà e che l’umanità può realizzare la propria essenza solo nella storia intesa come processo di formazione-educazione.
  14. Su questo punto si veda Jim Garrison Identifying Traces of Hegelian Bildung in Dewey’s Philosophical System, intervento presentato al meeting annuale della “Society for the Advancement of Americal Philosophy”, 8-10/03/2007. Consultabile all’indirizzo: http://www.philosophy.uncc.edu/mleldrid/SAAP/USC/pbt2.html.
  15. Articolo del 1928 contenuto in Philosophy and Civilization con il titolo “The Inclusive Idea”.
  16. George H. Mead, « Suggestions toward a theory of the philosophical disciplines », Philosophical Review 9, 1900, p. 1-17 (di seguito abbreviato STT).
  17. George H. Mead, « A new criticism of Hegelianism: Is it valid? », American Journal of Theology 5, 1901, p. 87-96 (di seguito abbreviato NCH).
  18. George H. Mead, « The Working Hypothesis in Social Reform », American Journal of Sociology 5, 1899, pp. 367-371; « Review of The Psychology of Socialism by Gustav le Bon », American Journal of Sociology 19, 1899, pp. 404-412
  19. Questi punti sono stati messi in evidenza da Garry A. Cook, George Herbert Mead: The Making of a Social Pragmatist, University of Illinois Press,1993, p. 41-42.
  20. Sull’importanza e la permanenza di questo motivo “dialettico” si concentra David Miller in Hegel’s Influence on George Herbert Mead, in “Southwest Philosophy Review”, Volume 4, Issue 2, July 1988, pp. 1-6.
  21. La tesi secondo cui il processo dialettico esprime la logica generale che conduce il processo vitale a trasformarsi in indagine si trova nelle Lezioni sulla filosofia dello spirito (1897, pp. 105-107) e sulla Scienza della logica: «Da un punto di vista psicologico la dialettica significa che ogni inibizione è allo stesso tempo uno stimolo, che contribuisce così a un nuovo ordinamento.», corso del 1996, p. 10. Hegel scrive altresì che il pensiero comincia solo «only when there is a tendency to doubt, and in doubt there is an ‘is not’» (p. 11). Citato da T. C. Dalton, Dewey’s Hegelianism Reconsidered: Reclaiming the Lost Soul of Psychology, in “New Ideas in Psychology”, vol. 15, No. 1, 1997, p. 8.
  22. G. A. Cook considera che l’articolo di Royce The External World and the Social Consciousness (1895), che sottolineava la tesi della costituzione sociale del sé riferendola espiicitamente al quarto capitolo della Fenomenologia dello spirito, sia una delle fonti di ispirazione di Mead su questo punto (George Herbert Mead: The Making of a Social Pragmatist, University of Illinois Press, 1993, p. 45). Aggiungiamo che in The Philosophies of Royce, James and Dewey in their American Settings, Mead continuerà ad attribuire a Royce la tesi della costituzione sociale del sé: «Royce points out that the individual reaches the self only by a process that implies still another self for its existence and thought» (p. 222).
  23. H. Joas, Praktische Intersubjektivität : die Entwicklung des Werkes von George Herbert Mead, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1989, p. 54.
  24. Garry A. Cook, George Herbert Mead: The Making of a Social Pragmatist, cit., p. 39.
  25. Ad eccezione di un’annotazione critica in Mente, sé e società, Giunti, Firenze 2009 (di seguito MSS – ESS . 342 -).
  26. «Particolare attenzione deve essere rivolta alla preesistenza logica e temporale del processo sociale rispetto all’autocoscienza dell’individuo vi avviene» (ESS p. 249).
  27. Si veda per esempio ESS, 213-214.
  28. «È l’unità del processo sociale che forma l’unità dell’individuo» ESS, p. 318.
  29. Mead parla del sé «come processo strutturale che si forma nella condotta dell’essere vivente» ESS, p. 232.
  30. The Philosophy of the Act (Edited by Charles W. Morris with John M. Brewster, Albert M. Dunham and David Miller, University of Chicago,1938), p. 655-656.
  31. Movements of Thoughts (Edited by Merritt H. Moore, University of Chicago Press, 1936), 138-139.
  32. Ibid. 154.
  33. Ibid. 87.
  34.  Ibid. pp. 86-87.
  35. Ibid. p. 127-129.
  36. Ibid. p. 135.
  37. Ibid. p. 138.
  38. Ibid. p. 168.
  39. Sulla centralità del lavoro in Dewey mi permetto di rimandare a E. Renault, Dewey e la centralità del lavoro, di prossima pubblicazione su “Travailler”.
  40. Démocratie et éducation, 366 (citato DE), MW 9 : 316-317 : «La professione (vocation) altro non è che una direzione delle attività della vita, in modo che questa assuma un senso determinato per l’individuo, e attraverso le sue conseguenze, in modo che queste abbiano un’utilità per le persone che vi sono associate. Il contrario dell’avere un mestiere non l’essere ozioso o colto, ma il vivere personalmente le proprie esperienze senza scopo, senza ordine e senza continuità: significa non realizzare nulla sul piano personale e una vana ostentazione, un vivere da parassita, sul piano sociale. Il mestiere (occupation) è l’espressione concreta della continuità»
  41. « La professione costituisce l’attività più caratteristica dell’individuo. Un mestiere è l’unica cosa che permette l’equilibrio tra le capacità particolari di un individuo e il servizio che deve assumere nei confronti della società. Scoprire che un individuo è capace di fare e dargli l’occasione di fare è la chiave della felicità. » (DE, 367, MW 9, 317).
  42. «Da un punto di vista economico il tratto che caratterizza maggiormente la vita odierna è l’insicurezza. È tragico che un milione di uomini desiderosi di lavorare siano regolarmente gettati nella disoccupazione; oltre alle recessioni cicliche esiste un esercito di individui privati di un lavoro regolare. Sul numero di queste persone non disponiamo di informazioni adeguate. Ma l’ignoranza riguardo al numero non è nulla in confronto alla nostra incapacità di misurare le conseguenze psicologiche e morali della condizione precaria in cui vive una vasta moltitudine. L’insicurezza erode più duramente e si estende maggiormente rispetto alla semplice disoccupazione. La paura della perdita del posto di lavoro, il timore per i giorni futuri, creano l’ansia e consumano il rispetto di sé in un modo che indebolisce la dignità personale. Là dove abbonda la paura l’individualità robusta e coraggiosa è erosa.» (LW 5: 68-69).
  43. Si veda in particolare l’articolo The Jobless – A Job for all of Us (LW 6: 153-156).
  44. J. Dewey, Lectures in China, The University Press of Hawaii, 1973, p. 73
  45. Ibid. p. 93.
  46.  Ibid. p. 73.
  47. Ibid. pp. 75-81.
  48. LW 5: 279-288.
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