Rappresentazione e linguaggio in Freud: a partire dal “Compendio di psicoanalisi”.

Roberto Finelli

1. L’ultima opera di Freud: variazioni e permanenze.

Sigmund Freud inizia a scrivere il Compendio di psicoanalisi, la sua ultima, impegnativa e sistematica, opera teorica, alla fine di luglio del 1938, secondo la data riportata all’inizio del manoscritto. Ma già all’inizio di settembre dello stesso anno l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, a motivo del tumore alla mascella che, ormai da molti anni, addolora e insidia la sua vita, lo obbliga a sospendere il lavoro, riducendo la sua attività solo alla scrittura epistolare. Morirà un anno dopo, il 23 settembre 1939, con un comportamento per quanto possibile stoico di fronte alle prolungate sofferenze.

Quando inizia a scrivere «questo breve scritto», destinato come egli stesso scrive nella Premessa, a « raccogliere le tesi della psicoanalisi nella forma più concisa possibile e nel modo più rigoroso, in un certo senso dogmatico», Freud è arrivato, da circa due mesi in Inghilterra, dopo essere riuscito ad avere il permesso di abbandonare con i familiari l’Austria ormai “nazificata”, grazie alla sua fama ormai internazionale e grazie all’intervento ai più alti livelli della diplomazia, soprattutto degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Freud non avrebbe mai voluto lasciar e Vienna, dove aveva vissuto, nella sostanza, l’intera sua vita. Nel 1938 ha 82 anni, è debole e molto malato. Ma in particolare non vuole disertare e lasciare il campo all’incultura e alla barbarie nazista.

Solo che la nazificazione dell’Austria ha assunto in breve tempo ritmi così drammaticamente  veloci e tinte di tale violenza 1, che Freud – anche dopo l’invasione a Vienna da parte della camice brune della sede della casa editrice psicoanalitica, la “visita” delle stesse nel suo appartamento al Berggasse e la convocazione della figlia Anna con l’altro figlio Martin all’Hotel Metropole, quartier generale della Gestapo – cede alle sollecitazioni degli amici più cari e all’evidenza della realtà per trasferirsi in treno, via Parigi, a Londra, dove, sostanzialmente, poter «morire in libertà».

Rispetto a tale sfondo drammatico e dolorosissimo di vita, tanto più assume rilievo, a mio avviso, la capacità di fermezza concettuale e di vigore sintetico che Freud deposita nel suo ultimo impegnativo lavoro teorico: il quale appare opporre, all’inesorabilità della morte e al disastro della finis Austriae che l’accompagna, il valore non transeunte dell’opera che lo studioso viennese è venuto elaborando e faticando per l’intera sua esistenza. Ed è proprio per tale pregnanza simbolica, oltre che per la trasparenza espressiva raggiunta in questo testo dall’ultimo Freud, che la lettura del Compendio può offrire l’occasione per un resumé complessivo della “metapsicologia” freudiana. Ovvero uno sguardo d’insieme, che ci offra l’occasione di riflettere, più che sulla pratica e la “tecnica” clinica inaugurata con il trattamento psicoanalitico nella stanza d’analisi, sulla teoria e la scienza che  Freud ha composto sulla natura dell’essere umano in generale e sull’attività, fisiologica e patologica, dell’ apparato psichico in particolare.

Anche nell’intenzione di comprendere, data il lungo svolgimento concettuale dell’opera freudiana e le modificazioni elaborate, ad es., nel passaggio dalla cosiddetta “prima topica” alla “seconda”, quale siano state le invarianti e le permanenze care al pensiero di Freud: nel convincimento da parte di chi scrive che, l’esperienza di genialità e di scoperta al sapere di ambiti ogni volta ancora inesplorati, si consuma sempre nel permanere fedeli e coerenti, pur attraverso tutte le possibili ed inevitabili variazioni in corso d’opera, al pensamento e all’elaborazione di un’unica idea.

Per il lettore che già possiede una certa familiarità con i testi metapsicologici freudiani non è difficile evidenziare, brevemente, le trasformazioni più rilevanti che la teoria freudiana subisce nel passaggio dalla sua prima visione dell’apparato psichico alla seconda, in quel trascorrere appunto dalla prima alla seconda topica che si consuma agli inizi degli anni ’20. Il passaggio dal modello articolato secondo la distinzione «Inconscio-Preconscio-Conscio» all’articolazione in «Es-Io-Super-io» è scandito da un abbandono della prima tipologia delle pulsioni, per la quale le “pulsioni libidiche” si opponevano alle “pulsioni di autoconservazione dell’Io”, a favore di una dialettica, che, sottraendo ogni carica pulsionale originaria all’Io, vede ora unicamente nell’Es inconscio il deposito affettivo-emozionale della personalità, strutturato a sua volta secondo un antagonismo, profondamente diverso da quello precedente e che ora è quello tra Eros e Thànatos, tra “pulsioni di vita” e “pulsioni di morte”. In conseguenza di questa nuova filosofia pulsionale, l’inconscio non coincide più e non si esaurisce nel rimosso ma diviene il luogo dove originano il desiderio e le passioni, in quanto, radicato nel corpo, se ne fa rappresentante emozionale nella mente. Come ne consegue ancora che le tre “stanze” della prima topica, o luoghi della mente, in ciascuna delle quali si gioca una logica e una funzionalità diversa del rappresentare/pensare, divengano ora, a partire dalla nuova tipologia delle pulsioni, più che luoghi, “istanze” – vale a dire, quasi persone – secondo il cui diverso desiderare e pensare si scinde e si compone la personalità.

Ma ciò che permane come fondamento immutevole dell’intero svolgersi della riflessione di Freud, includendo, come vedremo subito, perfino il periodo preanalitico di studi e di ricerche neurologiche, è la concezione biologica dell’essere vivente basata sul fisicalismo energetico da un lato e la teoria della rappresentazione/pensiero che ne consegue dall’altro: d’assumere, quest’ultima, si noti, quale “chiave di volta” della configurazione dell’apparato psichico complessivo, o detto con parole d’oggi, quale chiave di volta del rapporto mente-corpo.
Volendo cioè dire che la teoria del corpo vivente e la teoria, ad essa connessa, della genesi e del modo di funzionare della mente rimane l’architrave di tutta l’opera di Freud: in un intreccio tra il biologico e mentale il cui acume e la cui profondità è stato troppo frequentemente trascurato, vuoi per l’imperialismo che sul problema del conoscere a lungo ha preteso di esercitare la filosofia, vuoi per il campo limitato che in genere è stato imposto alla psicoanalisi quale terapia, capace al massimo d’intervenire sui disagi e le patologie della psiche, ma non in grado di tradursi e di eccedere in teoria.

Laddove a mio avviso, anche e proprio rispetto ai vari tentativi di nobilitare il blasone teorico di Freud, ritrovando di volta in volta nel suo discorso segmenti e fonti che derivano da altre discipline, quali, appunto, in primo luogo la filosofia, ciò che va affermato e riconosciuto è il valore autonomo ed originale – ovviamente tenendo conto degli autori dei vari campi del sapere che ha frequentato in tutta la sua vita – della sua visione sistematica del nesso mente-corpo, quale complesso fisiologico, prima che patologico, di funzioni ed attività. Per dire cioè del valore, qui intrinsecamente filosofico, che va attribuito, a parere di chi scrive, alla  metapsicologia freudiana, qualora per filosofia s’intenda un sapere che assume la prospettiva della totalità e che, per la sua intrinseca necessità di costruire sistemi, non può mai lasciar cadere, per scissione o astrazione, parte o funzione alcuna del suo oggetto d’indagine.

Per quanto concerne la biologia e la fisiologia del corpo umano Freud è rimasto fedele per tutta la sua vita a quella connessione strettissima tra scienza del vivente e scienza fisica della natura a cui, fin dai suoi primissimi anni di studio presso la Facoltà di Medicina dell’Università di Vienna, era stato introdotto dal suo maestro E.W. Brücke, il quale con H. Helmholtz ed E. du Bois Reymond aveva dato vita a Berlino ad una famosa Physikalische Gesellschaft fondata su un programma riduzionistico dell’intera articolazione delle scienze alla fisica e su una netta contrapposizione alla filosofia romantica della natura, d’ispirazione invece vitalistica e teleologica2. Così per Freud la vita del corpo umano è connotata dall’insorgere ciclico di bisogni, che producono nell’organismo un aumento progressivo di tensione – cioè, in termini fisici, di «energia» e, in termini di trascrizione psichica, di sentimento di mancanza o di «dispiacere» – che tende necessariamente e meccanicamente verso la scarica, ossia verso lo svuotamento energetico e, con ciò, in termini di vita della mente, verso il sentimento di soddisfacimento e di piacere. Anche quando Freud, dopo la stesura incompleta del Progetto di una psicologia (1895), abbandonerà il tentativo di ricondurre tutto lo psichico nel biologico-fisico considerato da un punto di vista solo quantitativo, ossia alla neurofisiologia del cervello basata sui neuroni come unità costitutive e sulla dinamica di moto e di quiete di quantità di energia nervosa, pure non verrà mai meno nella sua visione la concezione biologica della pulsione come accumulo di energia che tende alla scarica e, dunque, al ritorno ad una condizione originaria di quiete e di assenza di tensione. La biologia freudiana, lontana anche se non insensibile alla biologia evoluzionistica darwiniana, ancora impossibilitata a confrontarsi per contesto culturale con la contemporanea biologia dell’informazione, rimane di fondo una biologia meccanicistico-quantitativa.

La pulsione ha un’origine somatica, nasce nel corpo e vive secondo una dimensione fisico-quantitativa: in quanto aumento o diminuizione, crescita o decrescità di «quantità» di energia. Mentre lo psichico per Freud è il regno del qualitativo e all’ordine della qualità appartiene appunto l’ambito psichico del complesso “desiderio/ rappresentazione/pensiero”.

Ora l’originalità della teoria freudiana sta nel concepire il nesso tra corpo e mente, ossia tra ordine quantitativo e ordine qualitativo della vita, né secondo casualismo materialistico, secondo cui la vita della mente sarebbe tutta causata e riducibile alla vita del corpo, né secondo parallelismo.  Bensì secondo una curiosa applicazione nel campo della biologia e della psicologia di una relazione, propria delle istituzioni e della filosofia politica, qual è quella di «rappresentanza». L’ordine quantitativo dell’eccitazione del soma che, come tale, non entra nell’ordine qualitativo della mente, entra a far parte dello psichico attraverso un suo rappresentante delegato, che Freud chiama rappresentante psichico, formato a sua volta da due elementi: che sono da un lato l’importo di affetto (Affektbetrag), ossia il sentimento di piacere o di dispiacere che, essendo sentire e non conoscere, della rappresentanza psichica costituisce il livello più prossimo al “rappresentato” somatico, e dall’altro il rappresentante ideativo (Vorstellungsrepräsentanz) , ossia la scena presente alla mente – costituita da oggetto, persona, mondo esterno – che consente la realizzazione-scarica dell’affetto/desiderio.

Il concetto di rappresentazione (Vorstellung) mentale in Freud implica dunque tanto la presenza di fronte a sé dell’oggetto ideato del desiderio (vor-stellen) quanto la rappresentanza, attraverso delega assunta dall’affetto, della biologia del corpo nella vita della mente. Ed appunto tale connessione tra sentire e conoscere, tra quota di affetto e rappresentazione pensata, esclude per principio che per Freud l’essere umano sia un essere volto in primo luogo a vedere-conoscere e a relazionarsi in modo neutrale al mondo, ossia che costituisca la sua identità sulla contrapposizione soggetto-oggetto, o  che, per dirla con M. Heidegger si rapporti primariamente alla realtà attraverso una rappresentazione che sia «semplice presenza» dell’oggetto di fronte al soggetto. Va inoltre considerato che Freud, coll’istituire la base dell’apparato psichico sull’istituto della rappresentanza, giunge a concepire il nesso corpo-mente secondo una dimensione essenzialmente verticale, secondo la quale un evento bio-fisico che accade a un determinato livello dell’apparato – e secondo la logica specifica di organizzazione di quel livello – viene, ad un livello superiore, mantenuto, ma contemporaneamente trasformato, perché inserito in un ordine ulteriore di relazioni la cui logica organizzativa non può che essere eterogenea rispetto a quella del livello inferiore.

Ma la teoria della rappresentazione e della vita dell’apparato psichico non si limita in Freud alla sola connessione tra rappresentante quantitativo e rappresentante ideativo-qualitativo. Essa si complica e si arricchisce dell’ulteriore distinzione tra «rappresentazione di cosa» (Sachvorstellung o Objektvorstellung) e «rappresentazione di parola» (Wortvorstellung): una coppia concettuale la cui presenza attraversa e accompagna l’intera opera freudiana. Tanto che, per avere qualche dilucidazione su di essa – così come, va aggiunto, per la dinamica quantitativo-economica dell’eccitazione corporea e la tendenza idraulica al suo svuotamento – è al Freud del periodo neurologico che dobbiamo rivolgerci. Ricordando, a proposito dell’importanza di tale periodo nella vita di Freud e degli interessi ad essi connessi, che gli studi di Freud sul sistema nervoso sono durati ininterrottamente per vent’anni almeno dalla fine del 1876, quando entrò come allievo ricercatore nell’Istituto di Fisiologia dell’università di Vienna, diretto da E.W. Brücke, fino al 1897 con lo scritto dedicato alla paralisi cerebrale infantile (Die infantile Cerebrallähmung).

2. La teoria della ‘rappresentazione’ per il Freud neurologico.


E’ allo studio su L’interpretazione delle afasie del 1891 che dobbiamo infatti la teorizzazione più chiara ed analitica della distinzione/connessione tra rappresentazione di cosa (Sachvorstellung o Objektvorstellung) e rappresentazione di parola (Wortvorstellung). In questa operetta, in cui Freud, confrontandosi con la letteratura internazionale più accreditata di neuropatologia sui disturbi del linguaggio, studia le connessioni possibili tra i diversi tipi di afasie e la struttura del cervello, argomenta che in una condizione non patologica del parlare quell’unità elementare del linguaggio che è la parola risulta sempre essere connessa a una rappresentazione di cosa. «La parola è […] una complessa rappresentazione […], alla parola corrisponde un intricato processo associativo in cui vengono a immettersi gli elementi già menzionati, di provenienza visiva, acustica e cinestetica. Ma la parola acquista la sua portata per l’annodarsi con la ‘rappresentazione d’oggetto’ [Objektvorstellung] per lo meno se ci limitiamo alla considerazione dei sostantivi» 3.

Sia la Wortvorstellung che la Sachvorstellung risultano comporre ciascuna, oltre alla loro connessione reciproca, una struttura di relazioni specifica. Ogni rappresentazione di parola forma un processo associativo in cui confluiscono quattro componenti corrispondenti a diverse funzioni dell’attività di linguaggio: l’«immagine acustica», l’«immagine visiva di una lettera»,  l’«immagine dei movimenti di fonazione» e l’«immagine dei movimenti di scrittura» 4.

La parola, da un punto di vista neuro-fisiologico, non è dunque una rappresentazione semplice bensì una «complessa rappresentazione che si presenta composta di elementi acustici, visivi, cinestetici» 5. Di quattro elementi, rispettivamente due sensoriali e due motori. Quelli sensoriali sono l’immagine mnestica della parola udita e l’immagine ottica della parola vista, mentre quelle motorie sono costituite dalla rappresentazione motoria della parola pronunciata e dalla rappresentazione motoria della parola scritta.

Così come, per suo verso, anche la rappresentazione di cosa, risulta essere un complesso associativo formato da componenti visive, acustiche, tattili, olfattive e di gusto, cinestetiche.

Ora, è facilmente comprensibile che, essendo rappresentazione di cosa e rappresentazione di parola non dei semplici ma dei composti, le varie patologie del linguaggio non possano che derivare dalla sconnessione dei loro rispettivi insiemi e, in particolare (con un rilievo teorico che avrà un grandissimo  significato e che che rimarrà fondamentalmente immutato per l’intero svolgersi dell’opera freudiana) dallo “slegamento” di quello che al Freud de L’interpretazione delle afasie appare costituire il vincolo più funzionale ed importante e che è quello che connette tra loro i due ordini rappresentativi considerati – appunto rappresentazione di parola e rappresentazione di cosa – legando, in una funzione non patologica del linguaggio, rispettivamente, l’immagine acustica della prima e l’immagine visiva della seconda. «La rappresentazione di parola, scrive Freud, è annodata alla rappresentazione d’oggetto a partire non da tutte le sue componenti ma solo dall’immagine acustica: tra le associazioni oggettuali sono quelle visive a rappresentare l’oggetto; così analogamente, l’immagine acustica rappresenta la parola» 6. Ed è proprio tale specifico rapporto che costituisce per Freud la parte più delicata e fragile di una mente (qui ancora mente = cervello) che pensa normalmente usando e sintetizzando entrambi i due ordini rappresentativi: «qualcosa fa pensare che il collegamento fra rappresentazione di parola e rappresentazione di linguaggio sia la parte più facilmente esauribile dell’attività di linguaggio, in un certo senso il suo punto più debole»7.

Infatti mentre nelle afasie di primo e di terzo ordine, secondo la classificazione che qui propone Freud, vengono meno solo associazioni tra i singoli elementi della parola o della cosa, che possono essere in qualche modo compensati con gli altri elementi dello stesso ordine, le afasie del secondo ordine o «afasie asimboliche» sono quelle «in cui è disturbata l’associazione fra la rappresentazione di parola e la rappresentazione di cosa8 [9], ossia dove ciò che viene meno è proprio la stessa funzione simbolica costitutiva del linguaggio. Dove il significato più proprio di «simbolico» non è quello di un contenuto rappresentativo della mente che si riferisce in qualche modo ad un oggetto o a un contenuto del mondo esterno, bensì è quello che si riferisce alla relazione di diversi ambiti interiori dello psichismo. Come dichiara esplicitamente Freud: «mi pare che l’attributo ‘simbolica’ si addica più alla relazione tra parola e rappresentazione d’oggetto che non alla relazione tra oggetto e rappresentazione d’oggetto»9.

Inoltre è da sottolineare che per il Freud dell’Auffassung der Aphasien, allorché si dà la significazione simbolica, si mettono in relazione un insieme chiuso, qual è per lui la rappresentazione di parola, e un insieme aperto, qual è la rappresentazione di parola. La Sachvorstellung, la rappresentazione di cosa, infatti per Freud, nella sua insorgenza mentalistica e intrapsichica, non desume forma ben delimitata e determinata del suo apparire dalla mimesi o dal riflesso di oggetti esterni o di presunte cose in sé. Essa è bensì un complesso interiore di sensazioni, di varia origine sensoriale come si diceva (visiva, acustica, tattile, etc.), il quale tanto più acquista confine e spessore di delimitazione quanto più replica nella medesima trama associativa immagini sensoriali, altrimenti capaci di associazioni nuove e illimitate. La rappresentazione di cosa è perciò un insieme aperto, costituito da un confine potenzialmente sempre pronto ad aprirsi per altri percorsi associativi, mentre la rappresentazione di parola si struttura come un insieme ben chiuso dalla serie finita delle sue quattro immagini costitutive (immagine acustica, visiva, di lettura e di scrittura). «Dalla filosofia apprendiamo che la rappresentazione d’oggetto non comprende altro che questo [impressioni sensoriali] e che la parvenza di una ‘cosa’, delle cui diverse ‘proprietà’ parlano quelle impressioni sensoriali, insorge soltanto in quanto nel ventaglio delle impressioni sensoriali ottenute da un oggetto includiamo anche la possibilità di una lunga successione di nuove impressioni nella stessa catena associativa […]. Insomma, la rappresentazione d’oggetto ci appare come una rappresentazione non chiusa e difficilmente superabile di chiusura, mentre la rappresentazione di cosa ci appare come qualcosa di chiuso anche se suscettibile di ampliamento».

Un oggetto esterno produce un multiversum d’impressioni sensibili che tendono a conchiudersi in un unicum e in una facies determinata attraverso, in primo luogo, la reiterazione delle impressioni sulle medesime catene associative e in secondo luogo, attraverso la determinazione e chiusura che produce la corrispondente rappresentazione di parola. L’emergenza di un’immagine acustica nella Wortvorstellung e la sua connessione con l’immagine visiva della Sachvorstellung costituisce pertanto la chiave di volta di un apparato psichico-cerebrale che produce e distingue rappresentazioni nel momento in cui, attraverso il linguaggio, circoscrive e delimita l’oggetto e il suo complesso rappresentativo-associativo, tendenzialmente aperto e infinito.

3. Il linguaggio come cerniera intrapsichica tra conscio e inconscio.


a) Progetto di una psicologia (1895).


La monografia freudiana sulle afasie si colloca, come ben sanno i lettori di questo testo freudiano, in un orizzonte teorico rigorosamente neuroanatomico. E’ estranea ancora a Freud l’economia e la dinamica delle pulsioni, che sarà invece di lì a breve, con l’apertura e la scoperta della psicoanalisi, a base della sua teoria della psiche. Al Freud neurologico interessa essenzialmente il nesso tra patologie del linguaggio e localizzazione/funzione dei centri cerebrali. Rappresentazione di cosa e rappresentazione di parola non si stringono ancora, in un ordine triplice, con la natura e l’importo dell’affetto. Eppure con quella connessione tra Sache– e Wortvorstellung il Freud neurologo ha raggiunto un’acquisizione teorica che sarà fondamentale per l’intera sua metapsicologia psicoanalitica.

Proviamo in tal senso a scorrere rapidamente l’intera produzione degli scritti di Freud per vedere quanto quella prima riflessione sul linguaggio ritorni fecondamente, diversamente contestualizzata ma inalterata nella sua struttura, a costituire uno snodo fondamentale nella teoria freudiana della soggettività. Nel Progetto di una psicologia del 1895, in cui,  com’è noto, Freud tenta ancora di presentare una versione neurologica del funzionamento dell’apparato psichico e quindi di tradurre tutti gli aspetti qualitativi della mente psichica negli aspetti quantitativi e misurabili del cervello neuronale investito da accumulazione, circolazione e scarica di quantità di energia, si teorizza esplicitamente, proprio attraverso la diversa funzionalità neuronale, che si dia attenzione e pensiero cosciente solo in presenza ed attivazione di linguaggio.

Nel Progetto Freud argomenta di una tripartizione dei neuroni cerebrali in neuroni φ, ψ, ed ω. I neuroni φ corrisponderebbero alla funzione della percezione, perché non sarebbero modificati in modo permanente dal passaggio dell’eccitazione: “sono neuroni permeabili (cioè che non offrono resistenza e che non trattengono nulla)” 10, tr. it. di G. Soavi rielaborata, in Opere, 2, Boringhieri, Torino 1968, p.    205]. I neuroni ψ corrisponderebbero invece alla funzione della memoria, perché resterebbero  permanentemente modificati dopo il passaggio del loro eccitamento e costruirebbero attraverso le loro barriere di contatto facilitazioni di legami e connessioni con altri neuroni ψ. Mentre i neuroni ω corrisponderebbero alla funzione della coscienza. Essi sarebbero investiti, più che da quantum di energia, da variazioni di frequenza (che Freud chiama «periodo») degli investimenti energetici, cioè da variazioni di oscillazione e di vibrazione, i quali darebbero origine per tale via al mondo qualitativo, e non quantitativo-cerebrale, della rappresentazione/pensiero: mondo che Freud appunto definisce come l’ambito caratterizzato dai «segni di qualità».

Ma se è sufficientemente chiaro come si giunga a coscienza del mondo esterno (attraverso le percezioni, come si diceva, i periodi dei cui eccitamenti giungono fino al sistema dei neuroni ω), più difficile è comprendere, nota Freud, come possano giungere fino alla coscienza quei legami associativi, depositati nei neuroni φ , che diversamente dai neuroni ψ orientati verso l’esterno, hanno stabilito memorie e associazioni interiori. «Il compito – aggiunge Freud – è adempiuto dall’associazione verbale. Questa consiste nel collegamento dai neuroni ψ con i  neuroni che servono alle rappresentazioni sonore e sono intimamente associati con le immagini verbali motorie»11 .

E’ il linguaggio perciò, qui sintetizzato nella compresenza di rappresentazione auditiva e rappresentazione fonica, ad associare segni di qualità alle movenze quantitative che legano i percorsi della memoria nei neuroni psi ed a consentire di condurli fino all’accesso alla coscienza. «Durante questo flusso sorgono i segni di qualità (del linguaggio) e, come conseguenza, il decorso associativo diventa cosciente e riproducibile»12.

Pensiero e linguaggio, «segni di pensiero» e «segni di linguaggio» nel modo d’esprimersi di questo Freud, coincidono. Per cui egli può concludere, scrivendo: «Abbiamo quindi trovato che la caratteristica del processo del pensiero conoscitivo è che l’attenzione è sin dall’inizio diretta ai segni di scarica del pensiero, ai segni di linguaggio»13.

Per altro va notato che, proprio attraverso la tessitura neurologica della sua esposizione, Freud già nel Progetto Freud ha avuto modo di concepire che al di sotto del pensiero verbale vi devono essere processi ideativi, o di pensiero, che, si compiono privi di connessione con i segni di qualità prodotti dalla rappresentazione di parola, com’è testimoniato dalla seguente affermazione: «la riproducibilità dei processi di pensiero si estende di gran lunga al di là dei loro segni di qualità; essi possono essere resi coscienti successivamente»14 . Per il Progetto i segni di qualità, ossia il dar luogo alla vita psichica della coscienza, sono generati solo dalla percezione del mondo esterno e dal pensiero interiore quando è connesso a rappresentazioni linguistiche. Altrimenti si svolgono automatismi associativi e mnemonici nei neuroni di mera quantità che sono privi di linguaggio: secondo una separazione/scissione di funzioni che è del resto già implicita nell’ipotesi iniziale di una possibile triplice tipologia di neuroni.

b) L’inconscio (1915).


Ma ora conviene fare un bel salto nel tempo dell’opera freudiana. Saltare a vent’anni dopo, al saggio su L’inconscio (Das Unbewusste) che Freud include nella sua Metapsicologia, dunque nel pieno della maturità dell’elaborazione teorica e clinica della psicoanalisi, per comprendere quanto centrale rimanga, oltre tali prime riflessioni di contestualizzazione neurologica, lo snodo della funzione linguistica a fondare la distinzione, nella psiche umana, tra conscio e inconscio, e a derivarne la dualità delle logiche che ne derivano e di cui quella attinente all’inconscio si caratterizza come una logica caratterizzata dall’assenza di linguaggio: diversamente di quanto poi avrà a  concepire Jacques Lacan con la sua celebre, e celebrata, concezione dell’inconscio strutturato come il linguaggio.

A tal fine, per quanto estesa, sarà opportuno riproporre per intero la citazione dal testo del 1915, nella quale Freud torna a tematizzare la distinzione tra rappresentazione di cosa e rappresentazione di parola. «Ciò che abbiamo potuto chiamare la rappresentazione conscia dell’oggetto si scinde ora nella rappresentazione della parola e nella rappresentazione della cosa; quest’ultima consiste nell’investimento, se non delle dirette immagini mestiche della cosa, almeno delle tracce mestiche più lontane che derivano da quelle immagini. Tutto a un tratto pensiamo di aver capito in che cosa consista la differenza fra una rappresentazione conscia e una rappresentazione inconscia. Contrariamente a quanto avevamo supposto, non si tratta di due diverse trascrizioni dello stesso contenuto in località psichiche differenti, e neanche di due diverse situazioni funzionali dell’investimento nella stessa località; la situazione è piuttosto la seguente: la rappresentazione conscia comprende la rappresentazione della cosa più la rappresentazione della parola corrispondente, mentre quella inconscia è la rappresentazione della cosa e basta. Il sistema Inc contiene gli investimenti che gli oggetti hanno in quanto cose, ossia i primi e autentici investimenti oggettuali; il sistema Prec nasce dal fatto che questa cosa viene sovrainvestita in seguito la suo nesso con le relative rappresentazioni verbali. Abbiamo il diritto di supporre che siano tali sovrainvestimenti a determinare una più alta organizzazione psichica, e rendere possibile la sostituzione del processo primario con il processo secondario che domina nel Prec. A questo punto siamo in grado di indicare con precisione cos’è la rimozione ricusa nelle nevrosi di traslazione alla rappresentazione respinta: le ricusa la traduzione in parole destinate a rendere congiunte con l’oggetto. La rappresentazione non espressa con parole, o l’atto psichico non sovrainvestito, resta allora nell’Inc, rimosso» 15.

La tesi sintetizzata nel passo appena citato è quanto mai esplicita: il passaggio tra quei due diversi modi di rapportarsi della mente agli affetti del proprio mondo pulsionale (che Freud definisce rispettivamente «processo primario» e «processo secondario») è scandito dall’intervento del linguaggio, dalla funzione cioè della Wortvorstellung, la quale sarebbe in grado d’immettere e tradurre il complesso rappresentativo-pulsionale in questione da un modo di funzionare della mente ad uno più elevato e con una diversa modalità d’articolazione. E’ dunque la  presenza o meno di linguaggio che segna quindi per il Freud della prima topica la differenza più chiara  tra Inconscio e Preconscio-Conscio.

c) L’interpretazione dei sogni (1899)

Nell’ambito della nostra ricostruzione, non può essere per altro dimenticato, facendo ora un passo indietro, quanto già il Freud della Interpretazione dei sogni aveva concepito sulla modalità inconscia di comporre pensieri, quale si manifesta nella produzione onirica, e di quanto, nella visione freudiana, la logica di composizione del pensare onirico differisca profondamente dalla logica del pensare propria della modalità conscia.

Il sogno, come è noto, è per Freud la realizzazione di un desiderio attraverso allucinazione e sospensione del confronto con la realtà esterna. Tale sospensione del principio di realtà, e della conseguente ricerca del soddisfacimento del desiderio attraverso l’ausilio del mondo esterno, comporta per Freud il prevalere della raffigurabilità sulla discorsività, ossia il darsi di un pensiero che si serve essenzialmente di sintesi figurative più che non di sintesi discorsive e articolate linguisticamente. «Nel sogno, come avrà a dire Freud nelle Lezioni di Introduzione alla psicoanalisi,  si sperimentano ogni sorta di fatti, e ad essi ci si crede […]. Prevalentemente si vive il sogno in immagini visive; possono esservi anche sentimenti, qua e là anche pensieri; anche gli altri sensi possono esperire qualcosa, ma in prevalenza si tratta di immagini»16 trasformati in una somma di immagini sensoriali e di scene visive. Lungo questo cammino avviene in essi ciò che ci appare tanto nuovo e sorprendente. Tutti i mezzi linguistici con i quali vengono espresse le relazioni di pensiero più sottili –  le congiunzioni e le proposizioni, i modi della declinazione e della coniugazione – vengono meno, mancando per essi i mezzi di raffigurazione; come in un linguaggio primitivo privo di grammatica, solo il materiale grezzo del pensiero viene espresso, quello astratto viene ricondotto al concreto che ne costituisce il fondamento»17

Sembra dunque di poter dire che la differenza che Freud ha stabilito tra processo primario e processo secondario sia definibile anche come differenza tra pensiero capace solo del concreto e pensiero capace dell’ astratto e che a questo nesso di distinzione tra astratto e concreto corrisponda una diversa economia e dinamica dell’affetto. Ossia nel senso che nel pensiero capace di astrazione la rappresentazione di cosa connessa a un affetto sarebbe connessa a una rappresentazione verbale a sua volta connessa, per il sistema della lingua, a una catena di significanti che consentirebbero di raffreddare e relativizzare l’affetto, agganciandolo a una scena più ampia e contestualizzata che lo sottrarrebbe da una presenza e un’urgenza irrelata e pressoché assoluta18.

È cioè la discorsività del linguaggio, quale funzione per eccellenza della mente conscia, che appare tradurre in Freud la freie Energie (energia libera) del processo primario, tendente all’immediata soddisfa­zione, in gebundene Energie (energia legata), cioè in un movimento più ritardato e controllato che, capace di una relativizzazione tra pulsioni interne e ambiente esterno, appartiene a una strutturazione più elevata dell’ apparato psichico e che, con la sua trasformazione di ciò che è liberamente mobile in ciò che è dinamicamente contenuto, richiama quella distinzione tra rappresentazioni aperte e rappresenta­zioni chiuse che il Freud dell’ Interpretazione delle afasie aveva usato, come ab­biamo visto, per designare rispettivamente la Sachvorstellung e la Wortvorstellung.

Sulla tesi, per cui il pensiero onirico è un tipo di pensiero che associa e compone fondamentalmente senza linguaggio, Freud per altro si esprime con estrema chiarezza. Con l’attività del sogno, al pensiero capace di concettualizzazione e discorsività subentra un sistema associativo fatto di imma­gini e percezioni sensoriali. “Chiamiamo regressione il fatto che nel sogno la rappresentazione si ritrasforma nell’immagine sensoriale da cui è sorta in un momento qualsiasi”19. Il processo primario, quale si esprime attraverso il sogno, appare curvato e concluso in un orizzonte fondamentalmente percettivo-­sensoriale, a dominanza rappresentativo-visiva. Ma proprio ciò implica che il pensiero senza linguaggio dell’inconscio possieda un linguaggio specifico e determinato. Ossia che il tipo peculiare di pensiero che si forma nella parte inconscia della mente utilizzi metodi (nel senso etimologico di percorsi) determinati di costruzione, di associazione e di sintesi che non sono quelli propri della verbalizzazione. “Se guardiamo al processo onirico come a una regressione all’interno dell’apparato psichico da noi adottato, possiamo senz’altro spiegare il fatto, stabilito per via empirica, che nel lavoro onirico tutte le relazioni logiche dei pensieri onirici vanno perdute o trovano soltanto espressione travagliata. Secondo lo schema, queste relazioni logiche non sono contenute nei primi sistemi Tmn, ma in altri situati più avanti, e nella loro regressione sino alle immagini percettive perdono di necessità la loro espressione. Nella regressione la struttura dei pensieri del sogno viene disgregata nella sua materia prima [corsivo di Freud]”20. Nella parte inconscia della psiche vengono meno le relazioni del logos – ossia del pensiero che lega e raccoglie attraverso le catene linguistiche – e rimane un contenuto che va legato e composto altrimenti. “L’apparente pensare del sogno riproduce il contenuto dei pensieri del sogno, non i loro reciproci rapporti, nella cui istituzione consiste il pensare” 21.

Insomma la parte inconscia della mente appare per Freud essere caratterizzata da una assenza della funzione linguistica nel senso di un’assenza della possibile connessione discorsiva e relativizzante dei propri contenuti emozionali. Tant’ è che lo stesso linguaggio, quando è presente – come a tutti accade di notare nel sognare – sembra che vi sia per Freud solo nei termini di una scenografia rappresentativa che tratta i significanti verbali alla stregua di rappresentazioni di cosa e che dunque tratta le parole, o la singola parola, secondo norme e sensi associativi che sono del tutto eterogenei rispetto alle catene semantico-sintagmatiche del linguaggio vero e proprio. “Per quanti discorsi e controdiscorsi possano esserci nei sogni, assurdi o sensati che siano, l’analisi ci mostra ogni volta che il sogno ha colto effettivamente dai suoi pensieri frammenti di discorsi effettivamente fatti o uditi, procedendo poi con essi in modo estremamente arbitrario. Non soltanto li ha strappati dal loro contesto e ridotti a frammenti, accogliendo ne uno e scartandone un altro, ma spesso li ha connessi in modo nuovo, cosicché il discorso del sogno, apparentemente coerente, all’atto dell’analisi si scompone in tre o quattro frammenti. In questa utilizzazione esso ha spesso lasciato da parte il significato che le parole avevano nei pensieri del sogno ed è riuscito a ricavare dal testo un significato completamente nuovo” 22.

«Condensazione» e «spostamento» (Verdichtung/Verschiebung) agiscono non solo sulle rap­presentazioni visive ma anche su quelle auditive: giacché ogni immagine sensoriale, nella sua dissoluzione da ogni piano concettuale e proprio nella sua dominanza e origine di senso specifica, è contenuto congruo e disponibile per la sintesi dell’inconscio. “Il lavoro di condensazione del sogno riesce particolarmente evidente quando sceglie a suoi oggetti parole e nomi. Infatti il sogno tratta spesso le parole come cose e le sottopone alle medesime combinazioni delle rappresenta­zioni di cose. Ne risultano creazioni verbali bizzarre e inconsuete” 23. Con la conseguenza assai di rilievo che il cosiddetto principio di non contraddizione, posto nella Metafisica aristotelica a base del pensiero discorsivo e dell’intera logica occidentale, per Freud manifesta invece una validità limitata alla sola parte conscia della mente, indicando con il suo limite il darsi di un’altra logica e di un altro modo di funzionare del pensiero. Il principio di non contraddizione non si può estendere all’attività inconscia della mente, giacché qui è appunto possibile, proprio per il lavoro della condensazione e dello spostamento, che in una stessa immagine e nella medesima unità di tempo siano compresenti due contrari o, se si vuole, due catene ideative di significato opposto, o, ancora, che una medesima scena stringa insieme due significati, uno normale e palese, l’altro straordinario ed obliquo.

4. Il linguaggio nel Freud della seconda topica e i tre ordini  del “rappresentare”.


Ma cosa accade a questa funzione centrale che Freud ha assegnato al linguaggio nella connessione/distinzione tra pensiero conscio e pensiero inconscio quando, a partire dagli anni ’20 con l’estensione del campo pulsionale alla pulsione di morte, Es, Io e Super-io, ridisegnano in modo nuovo la struttura e l’articolazione dell’apparato psichico? Quando l’inconscio non coincide più unicamente e solo con il rimosso ma affonda sempre più, come Es, le sue radici nel soma, nella biologia del corpo e di lì detta i suoi dettami originari all’Io? Quando, a segno della profondità del passaggio dalla prima alla seconda topica, anche la censura si autonomizza a funzione specifica della psiche, traducendosi nell’istanza del tutto inconscia del Super-io? Ma quando, soprattutto, la pulsione di morte riscrive la natura del desiderio, caricandolo di componenti destrutturati e distruttive?

Possiamo rivolgerci al Compendio di psicoanalisi, quale ultima opera sistematica di Freud, per valutare la questione. Di quanto appunto la funzione linguistica, anche dopo la svolta del ’20, rimanga per Freud consustanziale o meno alla funzione della coscienza, e di contro assente o minoritaria nella vita inconscia della mente. Ed ancora una volta troviamo inalterata la riproposizione da parte del maestro viennese della sostanziale coincidenza tra funzione linguistica e larga parte del pensiero conscio, insieme alla definizione del linguaggio come cerniera di confinte e di transito tra vita conscia e vita inconscia della psiche. Giacché anche nel Compendio Freud distingue due fonti della coscienza. Da un lato le informazioni che attraverso le percezioni e le modificazioni degli organi di senso derivano dal mondo esterno. «Il diventar cosciente è legato innanzitutto alle percezioni che i nostri organi di senso ricavano dal mondo esterno. Dal punto di vista topico, dunque, è un fenomeno che si verifica nello strato corticale più esterno dell’Io» 24. E dall’altro le informazioni che derivano «dall’interno del corpo, dai nostri sentimenti, i quali influenzano la nostra vita psichica perfino più imperiosamente che non le percezioni esterne».

Ma affinché il mondo interno riesca a giungere alla coscienza è necessario anche qui che le scene emozionali e i pensieri del desidero si connettano a rappresentazioni verbali che appunto costituiscono il medium percettivo con cui il mondo inconscio giunge a farsi conscio. «Processi consci alla periferia dell’Io, – scrive Freud –  e tutto il resto che è nell’Io inconscio: sarebbe questa la situazione più semplice che dovemmo supporre. Può darsi che in effetti le cose stiano così per gli animali, ma per gli uomini si aggiunge una complicazione in virtù della quale anche alcuni processi interno dell’Io possono acquistare la qualità della coscienza. Ciò è opera della funzione linguistica, la quale stabilisce uno stretto collegamento fra i contenuti dell’Io e i residui mnestici delle percezioni visive, e più ancora con quelli delle percezioni auditive».

La continuità concettuale di questa pagina del 1938 con le pagine degli scritti neurologici del 1893-95 è, a mio avviso, assai evidente, offrendo con la sua chiarezza una testimonianza di poco dubbio su quanto il pensiero di Freud sia rimasto immutato, nell’intero arco del suo sviluppo, per quanto concerne la collocazione del ruolo del linguaggio nell’articolazione della vita psichica.

Ma non solo. Giacché la riaffermata centralità della funzione linguistica nel transito dall’inconscio al conscio ci dice anche, insieme alle altre tesi metapsicologiche riassunte nel Compendio, quale sia la struttura teorica invariante, e di fondo, che il Freud, dell’intero periodo psicoanalitico, ha definito e mantenuto nella sua indagine metapsicologica sull’apparato psichico considerato nella sua complessità: al di là delle trasformazioni, pure estremamente rilevanti, in termini di teoria delle pulsioni che segnano il passaggio dalla prima alla seconda topica.

Ancora dalle pagine del Compendio emerge infatti la configurazione di un sistema psichico basato sulla compresenza di tre ordini, che si possono qualificare rispettivamente l’ordine dell’affetto, l’ordine della rappresentazione di cosa e l’ordine della rappresentazione di parola. O meglio come la compresenza di tre diverse modalità e funzioni del rappresentare, visto che la rappresentazione – nel senso della presenza/avvertenza di un contenuto nel contenitore della mente – costituisce l’elemento indispensabile a che si dia vita psichica.

I tre ordini della rappresentazione che mantengono inalterata la conmposizione dello psichico in Freud dai primi scritti psicoanalitici fino alla conclusione della sua opera risultano, almeno a parere di chi scrive, essere i seguenti:

I) rappresentazione come “Triebrepräsentant” o rappresentante pulsionale;

II) rappresentazione come “Sachvorstellung”, o rappresentazione di cosa;

III) rappresentazione come “Wortvorstellung”, o rappresentazione di parola.

Questi sono nello svolgimento dell’intera opera freudiana le tre componenti che concorrono a formare quell’atto elementare della vita della mente che Freud chiama rappresentazione (Vorstellung). Tre componenti o è meglio dire tre funzioni che nella diversità del loro agire, nella diversità delle loro tre logiche, spiegano per Freud la mente dell’essere umano come sintesi di due relazioni che sono rispettivamente la relazione verticale della mente con il proprio corpo e la relazione orizzontale della stessa mente con un’altra mente.

I) Il Triebrepräsentant (o nel lessico freudiano anche Triebrepräsentanz), sta a significare fondamentalmente l’Affektbetrag, ossia l’importo o il carico di affetto, che si lega a una qualsiasi scena rappresentata e pensata della mente. L’ambito dell’affetto costituisce per Freud l’ambito che più propriamente coincide con il corpo: ma, si badi, con un corpo che è già anche tradotto ed avvertito quale risonanza emozionale, interna ad una mente. Tale natura originariamente bina, duale (perché al confine tra corpo e mente) dell’affetto, o pulsione, io credo si possa connotare come l’ambito intermedio tra quantità e qualità, cioè come l’ambito della traduzione di variazioni quantitative di energia cinestetica, elettro-fisica ed elettro-chimica, di natura somatica, in processi qualitativi avvertiti dalla mente come emozioni. La Triebrepräsentanz, o rappresentazione pulsionale, è dunque una «rappresentanza» (secondo il significato politico di questo termine di cui si diceva già all’inizio di queste pagine), la quale traduce ed esprime, in termini di sentimenti, processi e modificazioni di natura somatica. Scandita, per dirla schematicamente, secondo i due estremi, del piacere e del dispiacere, rappresenta, il luogo e la fonte del senso, nel significato di sentire se stessi. E’ l’ordine del sentire, e non del rappresentare o del pensare, perché ci viene dato e imposto da quel corpo che è l’esteriorità della nostra interiorità e come tale è la vera fonte inesauribile del significato del vivere: nella sua inesauribilità e verità mai completamente riducibile alla mente.

La Triebrepräsentanz può dunque essere interpretata, usando un linguaggio filosofico, come il luogo e la genesi “materialistici” della trascendenza: quale trascendersi di una soggettività all’interno di sé. Riguardo alle altre due funzioni o luoghi “rappresentativi” della mente, l’ordine dell’affetto, o della pulsione, può essere definito come un ordine della mente di natura né eidetico-percettivo né linguistico. Infatti l’affetto pulsionale, nel complesso dell’opera freudiana, vive essenzialmente secondo il modo idraulico della diffusione. Per la sua natura originariamente quantitativa, esso si muove e si trasforma lungo delle scale di diminuzione o di crescita non sottoponibili a segmentazioni o articolazioni discontinue. E’ il luogo dell’energia emozionale, che Freud caratterizza come “energia libera”, la quale corre liberamente, e quanto più rapidamente possibile, verso il soddisfacimento del piacere o alla fuga precipitosa dal dispiacere.

II) Se nella Vorstellung freudiana il Triebrepräsentant è strutturato sul senso interno, la funzione che Freud definisce Objektvorstellung o Sachvorstellung è la funzione della mente strutturata sui cinque sensi esterni, capace di dar vita a rappresentazioni percettive di varia natura, con una dominanza eidetico-visiva. Ma non è solo la mancanza di linguaggio ciò che caratterizza la Sachvorstellung. E’ anche l’essere una rappresentazione “aperta”, come la definisce Freud, nel senso che la mente, per concepire l’idea dell’esistenza extramentale di un oggetto, per rappresentarsi cioè la parvenza durevole e la consistenza di una cosa, oltre che percepire delle sensazioni attuali ed effettive in un momento determinato – sensazioni che sono per altro assai fuggevoli e rapsodiche – deve potervi includere la percezione di una permanente possibilità che nel futuro analoghe impressioni si vengano ad associare nel medesimo modo, nella stessa catena associativa. Aperta cioè, la rappresentazione di cosa nel senso teorizzato da John Stuart Mill, la cui Logica Freud nello scritto sulle afasie esplicitamente cita, e secondo cui l’innumerevole possibilità di sensazioni future che ripeteranno la medesima associazione è più determinante nel definire l’esistenza di un oggetto che non le sensazioni attuali.

La logica che costituisce tale ambito del rappresentare – rappresentare cosale o figurale, a dominanza eidetico-visiva – non è quella quantitativo-diffusiva dell’affetto, bensì quella della articolazione-configurazione qualitativa di figure e dati sensibili, come suoni, odori, sensazioni tattili, che si definiscono, si relazionano, si associano e si oppongono tra di loro attraverso contiguità spaziale o temporale, attraverso analogie o discordanze di forma, attraverso concordanze di colori, attraverso gradi e intensità di suoni.

III) Infine la Wortvorstellung, o rappresentazione di parola, identifica la funzione simbolico-linguistica della mente. A differenza della logica quantitativo-diffusiva e della logica qualitativo-associativa per similarità sensoriali, rispettivamente della prima e della seconda funzione rappresentativa, la logica della rappresentazione di parola è simbolico-discorsiva. Si svolge attraverso l’associazione di nessi linguistici e attraverso la verbalizzazione consente l’accesso alla coscienza degli altri due ordini.

La compresenza, la mediazione, la sintesi di tali tre funzioni che compongono la Vorstellung costituisce per Freud il funzionamento non-patologico della vita della mente nel suo rapporto con il corpo. Il legame tra affetto, rappresentazione della scena di soddisfacimento o di dispiacere, attraverso cui quell’affetto si risolve, e loro messa in parola attraverso il linguaggio, struttura la forma del pensare che Freud definisce “processo secondario”, ossia la capacità della mente di legare attraverso il linguaggio l’energia aperta che invece nel “processo primario”, o forma inconscia del pensare, fluisce liberamente verso la sua risoluzione. L’effetto di linguaggio, per la sua valenza simbolica e discorsiva di simboli linguistici che “stanno al posto di”, ossia sostituiscono le cose e gli affetti che simboleggiano, sembra dunque poter dire che per Freud consista fondamentalmente in un effetto di raffreddamento, di eclisse degli affetti, come si diceva, e delle scene pulsionali da quelli scritte e sceneggiate. E fa ciò, in una sorta letterale di Aufhebung alla Hegel,  agganciando la rappresentazione di cosa affettivamente investita alle catene delle parole: le quali, nel momento in cui ne imbrigliano l’energia, contemporaneamente la relativizzano, prendendone appunto distanza attraverso la loro capacità di simbolizzazione.

Così attraverso la rappresentazione di «parola» e la rete di parole a cui essa è strutturalmente legata nella struttura più generale della «lingua», l’urgenza del processo primario, che obbedisce solo al principio di piacere/dispiacere, viene moderata, mitigata e alla risoluzione coatta della pulsione subentra un benefico raffredamento pulsionale che consente di guardarsi attorno, fare entrare in gioco anche il principio di realtà, e attraverso un pensiero che tiene conto anche del mondo esterno, cercare il soddisfacimento più opportuno e meno obbligato della tensione affettiva: un soddisfacimento, non solo immaginato o allucinato, ma concretamente possibile e reale.

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Anche da questo percorso veloce e schematico sulla funzione del linguaggio nell’opera di Freud non è chi non veda la distanza che separa l’originario impianto teorico di Freud da quella riscrittura in chiave strutturalistico-linguistica, con forti accentuazioni ontologico-esistenziali, che nella seconda metà del ‘900 ne ha fatto Jaques Lacan, a muovere dalla sua tesi di fondo della sua ispirazione, che l’inconscio sia strutturato come linguaggio. Ma è un confronto, quello tra Freud e Lacan, cui va destinato un approfondimento specifico e che non può essere affrontato in questo saggio.  Qui quello che si è voluto soprattutto sottolineare è che dalle argomentazioni di Freud sul linguaggio emerge un sistema psichico basato sulla compresenza di tre ordini, che sono rispettivamente l’ordine dell’affetto, l’ordine della rappresentazione di cosa e l’ordine della rappresentazione di parola.

L’ordine dell’affetto appare istituirsi come un ambito di natura non solo a-linguistica ma in qualche modo anche a-rappresentativa. Costituisce per Freud l’ordine che più propriamente coincide con la corporeità: ma con una corporeità che è già anche avvertita come risonanza emozionale, interna ad una mente. Per tale natura originariamente bina l’ambiente dell’affetto è definibile anche come quello della traduzione della quantità in qualità, della traduzione cioè di stati quantitativi di energia elettro-fisica ed elettro-chimina in presenze avvertite dalla mente. La rappresentazione affettiva è dunque, a ben vedere, una rappresentanza, la quale traduce in termini di sentimento processi e modificazioni di natura somatica. Basata sull’affezione emozionale, che trascorre dal sentimento di piacere a quello di dispiacere e viceversa, essa è senso interno. E come tale è eterogenea rispetto alla rappresentazione di cosa, fondata sui sensi esterni e a dominanza eidetico-percettiva.

Infatti l’affetto vive essenzialmente secondo il modo della diffusione, ossia per la sua base quantitativa si muove e si trasforma lungo una scala di diminuzione o di crescita non sottoponibile a segmentazioni o articolazioni discontinue. Laddove la rappresentazione di cosa vive essenzialmente secondo il modo dell’articolazione e della divisibilità: ossia secondo una logica combinatoria profondamente diversa da quella, appunto diffusiva, dell’affetto-quantità 25. Ma se la rappresentazione di cosa possiede una struttura articolabile e scomponibile in parti, essendo già per il Freud neurologo una sintesi di un molteplice di immagini sensoriali, tanto più ciò vale per la rappresentazione di parola, decomponibile, com’è noto, per la linguistica moderna in parti, fino a quelle unità minimali generalmente definibili come monemi.

Ciò che è in questione nel nesso corpo-mente, per l’antropologia e la clinica freudiana, è appunto il coordinamento di tali tre ordini rappresentativi: la congruenza cioè di una rappresentazione d’affetto nella sua connessione con una rappresentazione di cosa e nella sua elaborazione attraverso una rappresentazione di parola. Con la tesi che ne consegue che lo specifico venir meno del rapporto tra Sachevorstellung e Wortvorstellung produce necessariamente una fissazione della rappresentazione affettiva alla Sachevorstellung. Tale fissazione emozionale può essere definita anche come reificazione: nel senso di appartenenza a un orizzonte propriamente desombolizzato in cui una rappresentazione di cosa, priva dell’aggancio alla rete linguistica, vale appunto, con tutta la pesantezza e l’immobilità di una cosa, a connettere a sé in modo coattivo e non elaborabile l’affetto. Per cui si può giungere a intendere la rimozione non tanto come l’istituzione di un linguaggio privato, come l’ebbe a definire Habermas in delle pagine orami di molti anni fa, quanto come una vera e propria distruzione di linguaggio, cioè come esclusione radicale di una parte della mente dall’ambito linguistico-comunicativo. E concepire perciò il mondo psichico del rimosso come un mondo sostanzialistico e pietrificato che, sottraendo al nesso rappresentanza d’affetto-rappresentazione di cosa l’intermediazione e il distanziamento del segno linguistico, dà vita a una scena dominata dal principio d’identità (A è A), ossia alla ripetizione tautologica di un contenuto emozionale-ideativo che ripropone un motivo che è sempre lo stesso.

Così il nesso corpo-mente può valere come sintesi non problematica di natura e cultura solo quando una funzionalità profonda ed estesa del linguaggio garantisca la connessione degli ordini rappresentativi qui considerati. Altrimenti quando tra essi si dà destrutturazione e il conseguente prevalere dell’uno sugli altri, tra natura e cultura si apre un’asimmetria, per cui la natura può divenire invasiva e distruttiva mentre la cultura farsi moralistica e anaffettiva. Alla distruzione del linguaggio nell’ambito della coscienza individuale corrisponde d’altro canto l’intensificazione ipostatizzante del linguaggio, fino al suo deporsi estenuato nella deformazione ideologica del senso comune. A mezzo tra i due piani, dell’inconscio individuale e dell’inconscio collettivo, sta perciò la forza di una coscienza che attraverso l’intreccio delle sue relazioni, intersoggettive e infrasoggettive, sia capace di affrontare e fare buon uso di quello che gli antichi definivano η μεγάλη δυναστεια του λουγου, ossia misurarsi con «la grande potenza della parola».

  1. «Nel corso della primavera del 1938, circa cinquecento ebrei austriaci decidono di uccidersi per sfuggire all’umiliazione, all’angoscia intollerabile o alla deportazione nei campi di concentramento», così nota P. Gay, in Id., Freud. Una vita per i nostri tempi, Bompiani, Milano 1988, p. 564.
  2. Per un’esposizione fisico-matematica del principio di conservazione dell’energia cfr. H. Helholtz, Sulla conservazione della forza, tr. it. di V. Cappelletti, in Id., Opere, UTET, Torino 1995, pp. 39-116.
  3. S. Freud, Zur Auffassung der Aphasien. Eine kritische Studie, tr. it. di L. Longato, L’interpretazione delle afasie,  Sugarco, Milano 1989, p. 142
  4.  Freud si era occupato da un punto di vista neurologico dei problemi del linguaggio già nello stesso anno (1891), componendo la voce «Afasia» per il primo volume del Dizionario medico del Villaret (A. Villaret, a cura di, Handwörterbuch der gesamten Medizin, vol. 1, Ferdinand Enke, Stuttgart 1888). Le voci del Dizionario non sono firmate, ma come scrive Freud nell’Autobiografia: « Nello stesso anno fui invitato a collaborare alla stesura di un trattato di medicina con un articolo sulla teoria dell’afasia; tale teoria era allora dominata dai unti di vista di Wernicke e Lichtheim che si basavano esclusivamente sulle localizzazioni cerebrali. Frutto di questa mia ricerca fu un libretto critico speculativo intitolato La concezione delle afasie» (S. Freud, Autobiografia, in Opere, vol. 10, Boringhieri, Torino 1978, p. 86). Sulla concordanza concettuale e lessicale tra la voce del Dizionario e il Zur Auffassung der Aphasien cfr. il testo di Massimo De Lillo, assai utile, per seguire analiticamente l’intera elaborazione di Freud sul tema del linguaggio, Freud e il linguaggio. Dalla neurologia alla psicoanalisi, Pensa, Lecce 2005
  5. Ivi, p. 136
  6. Ivi, p. 143
  7. Ivi, p. 150
  8. Ivi, p. 144
  9. Ibidem
  10. S. Freud, Progetto di una psicologia [1895
  11. Ivi, p. 263
  12. Ivi, p. 270
  13. Ivi, p. 265
  14. Ivi, p. 277
  15. S. Freud, L’Inconscio,  tr. it. di R. Colorni, in Opere, 8, Boringhieri, Torino 1978, p. 85
  16. S. Freud, L’interpretazione dei sogni, tr. it. di E. Facchinelli e H. Trettl Facchinelli, in Opere, 3, Torino 1980, p. 488. Il sistema espressivo del sogno si struttura secondo quello che Freud definisce “riguardo per la raffigurabilità” (Rucksicht auf Darstellbarkeit): ossia la capacità di mettere in scena un contenuto psichico essenzialmente concreto, fatto di materiale sensibile tra cui prevalgono le immagini visive, e di eliminare con­temporaneamente ogni nesso di sintesi e di connessione mediato dai concetti astratti. Ovvero  di non servirsi di quel pensiero che fa uso di parole e della loro intrinseca capacità di generalizzazione/universalizzazione: secondo quanto, potremmo aggiungere, teorizza la linguistica moderna che in ogni rappresentazione verbale vede sia un unico suono dai molti significati sia l’iscriversi di ogni segno linguistico in una rete complessiva di suoni significanti qual’è quello che ogni lingua costituisce e costruisce implicitamente attorno ad ogni pronunciamento individuale di parola. «I pensieri onirici latenti – scriverà Freud ancora nel 1932 – vengono […
  17. S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni) (1932), p. 135
  18. Cfr. su questo tema A.B. Ferrari, L’eclissi del corpo. Una ipotesi psicoanalitica, Borla, Roma 1992
  19. S. Freud, L’interpretazione dei sogni, op. cit., p. 496
  20. Ivi, p. 146
  21. Ivi, p. 288
  22. Ivi, p. 383
  23. Ivi, p. 274
  24.   S. Freud, Compendio di psicoanalisi, tr. it. di R. Colorni, in Opere, 11, Boringhieri, Torino 1979, p.  388
  25. Cfr. su ciò A.Green, Il linguaggio nella psicoanalisi, Borla, Roma 1991, pp. 42-43
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