Quali nomi per un Presidente? Alcune note a margine

Anna Maria Sassone

 

parlamentovuoto18 aprile 2013, mattina: mi sono ritrovata a pensare ad alcuni pazienti, a quelli  che hanno un terrore panico non della sconfitta ma della vittoria; a quelle persone, e  sono molte,  che hanno più volte avuto  le chiavi per il successo e che tuttavia  all’ultimo momento sono riuscite,  nell’abilità della disabilità, a convertire una possibile vittoria in una nuova sconfitta.

E mi sono immaginata il PD in una stanza d’analisi, al pari di un paziente che dopo il suo ennesimo  agito  autodistruttivo riesce a chiedersi, se non altro, i motivi  di questa sua coazione a ripetere. Una coazione che solo superficialmente può ricondursi alla mancanza di un atto di coraggio, forse anche  eroico.

Nella storia di una ambivalente, quanto ambigua,  sinistra il  compromesso, a partire da quello storico,  ha prima o poi portato  alla sconfitta, sempre.

Seguendo una lettura centrata sui meccanismi di funzionamento  della psiche, uno dei motivi della riproposizione dello  stesso refrain sembrerebbe stare nella imprescindibile necessità  di narrare, prima di tutto a se stessi, una realtà Altra che non ha nessun punto di contatto con il mondo reale.

Quando ad esempio un paziente si e ci dice che  le sue azioni sono volte SOLO al bene altrui, e dunque dettate dai soli altruistici sentimenti, l’ascolto analitico si fa più attento  poiché teso a ricercare quelle incongruenze  capaci di spiazzare una narrazione tanto sbilanciata quanto irrealistica.

Il compromesso sul nome dell’ onorevole Marini, non aveva molto di onorevole perché sembrava trovare le sue motivazioni in un tentativo malriuscito di falsificazione del reale.

Alla fine della riunione dei grandi elettori del centro sinistra da un impeccabile personaggio  abbiamo infatti potuto ascoltare  che si era trovato non un nome ma IL nome con lo scopo (anche questo pareva “onorevole”) di tenere  uniti gli italiani. La mistificazione, più o meno consapevole, sembra ormai dominare lo spirito del nostro tempo… e la percentuale di coloro che cadono nella seduttiva trappola è da tempo sotto gli occhi di noi tutti.

Quale sarebbe l’ ipotizzata unione degli italiani se una parte sempre più consistente delle persone che abitano questo paese ha espresso con gli strumenti della democrazia un esasperato dissenso verso una politica individualistica? E dove sarebbe la ricercata unione degli italiani se in tanti, come la sottoscritta, hanno votato la coalizione democratica  quale ennesimo atto  di fiducia per un cambiamento possibile che pretenderebbe nuove, diverse,  immagini rappresentative? Sarebbe Romano Prodi la risposta da standing ovation?

Il nostro mestiere di analisti  porta  a  farci delle domande, a volte a fare domande, per poter svelare le molteplici voci negate della soggettività.

E tali  domande  gettano uno sguardo sugli allarmanti vissuti di tradimento che stanno di ora in ora creando  una rottura sempre più profonda con una buona parte dei “signori” del Partito Democratico. Non si tratta del tradimento dei cosiddette franchi tiratori, che potremmo considerare molte volte  “franchi” con se stessi nell’attuare l’unico tentativo possibile per destabilizzare, con un colpo a sorpresa, un ordine precostituito.  Si tratta dei vissuti di tradimento che serpeggiano tra la gente comune per aver dato una delega a chi poi impunemente tradisce  un accordo di fiducia.

Il tradimento è uno di quegli atti che difficilmente si perdonano, nella vita privata come in quella pubblica,  importante è esserne consapevoli. Nulla a che vedere col giudizio morale, poiché dobbiamo solo chiederci: per quali motivi sembrerebbe che le inevitabili conseguenze non siano state contenute nella mente dei più?

Non occorrono certo  strateghi della politica per considerarle; a volte seguire le strade suggerite dalla freddezza calcolatrice è perdente  perché nella scissione del mondo emotivo  non si riesce più a contemplare   quel dato  caratterizzante l’umano a cui diamo il nome di affettività.

Ancora una volta quella parte di un’area presuntivamente democratica sembrerebbe aver messo tutte le condizioni per andare verso  uno scontato obiettivo destinale autodistruttivo capace di riconsegnare, ancora una volta, il paese ad una destra populista.

Questa volta i numeri, se fossero stati “onestamente” sommati, preludevano alla  vittoria delle istanze di cambiamento senza dover ricorrere ad alleanze mortifere con il nome di Marini o, all’opposto, a violente spaccature del paese con il nome di Prodi.

Ma il “diavolo” è entrato in scena – il lato diabolico della nevrosi, quello mortifero e  distruttivo  che, nel prestare ascolto alle sole orchestrazioni del potere, instrada sia un singolo individuo sia un partito intero verso l’autodistruzione.

Ma c’è anche un nucleo depressivo che percorre la sinistra, lo stesso che fa dire a molti pazienti “non posso farcela” e  che si trasforma in una profezia che si autodetermina per l’ostinata cecità, più o meno consapevole, nei confronti della possibile mossa vincente .

Se fossimo su un campo di calcio si potrebbe dire che l’aspetto depressivo è l’autogol o il rigore mancato nella finale dei mondiali.

Le ragioni di questo nucleo depressivo si situano a mio avviso nelle origini dell’albero genealogico  della sinistra che  di generazione in generazione ha preteso di scindere la dimensione individuale da quella collettiva per giungere poi, a causa di un irrealizzato processo di  integrazione,  a sposare il versante individualistico e privatistico. Ma questa è altra storia che meriterebbe uno spazio altro di approfondimento.

Mascherati dalla falsificazione del “politicamente corretto” si celano il più delle volte i tanti volti del narcisismo  che portano a relazionarsi e a unirsi  con il proprio simile. L’area del rispecchiamento sta nella comune illusione di poter ottenere un consenso generalizzato. E che tale consenso venga ricercato negando i presupposti che sostanziano opposte visioni del mondo col fine di  mettere insieme il diavolo  e l’acqua santa,  non è poi troppo dissimile da quel tentativo di sedurre congiuntamente, e con armi improprie, sia le giovani fanciulle che le loro madri, i lavoratori  e i padroni della finanza.

L’ascolto dell’altro e di altro, la definizione della propria individualità, l’onestà intellettuale sono gli acerrimi nemici del narcisismo: della loro esistenza oggi solo deboli tracce.

Ed è sull’onda di questa lettura rivolta ai sentieri della mente che possiamo considerare quanto l’ombra distruttiva e autodistruttiva di un’immaginaria sinistra abbia  fortemente contribuito a partorire in una buia notte della nostra storia il nome di Marini e quanto questa ombra continui a stendere le sue ali mortifere nell’evocare i nomi di Prodi,  D’Alema, Amato, o nel correre in una infantile regressione da Papà con dei costi, anche  psichici, che saranno  prima o poi da pagare.

 

Anna Maria Sassone, analista con funzione didattica dell’Associazione Italiana di Psicologia Analitica (AIPA) e dell’International Association for Analytical Psychology, fa parte di un gruppo di colleghi analisti che da anni studia le relazioni tra mondo psichico e mondo politico, tra realtà interna e realtà esterna.

Questa voce è stata pubblicata in Freudiana. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento